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Grandezze e antinomie del Seicento

Autore:
Roda, Anna
Fonte:
CulturaCattolica.it ©

Si sta assistendo in Italia ad una riscoperta del Seicento; un’epoca tormentata, grande e oscura insieme, della quale in fondo non si sa molto, o meglio si conoscono gli stereotipi che tanta cultura illuminista, e poi positivista e marxista, ci hanno lasciato in eredità nei libri di storia.
Le rassegne che quindi vogliamo presentare hanno il pregio di portare un contributo interessante ed insostituibile per la cultura artistica, meglio figurativa di quell’epoca: accanto ai centri del potere e ai maestri noti, sta emergendo un iceberg sommerso di centri provinciali e di artisti di seconda fila, forse meno dotati ed aggiornati, ma che danno però il respiro di un secolo, le sue aspirazioni, le sue tensioni religiose ancora intessute della sensibilità della riforma cattolica.
Le prime due mostre, di Milano e Genova, ci permettono di conoscere i gusti e la ricchezza ostentata della nobiltà e della ricca borghesia mercantile dell’epoca, grazie alla maestria del pennello di Van Dyck e di Rubens, in particolare.
Iniziamo da Milano. Dal 19 febbraio al 20 giugno 2004, presso il Palazzo Reale sarà possibile visitare Van Dyck. Riflessi italiani. Nella suggestiva cornice della Sala delle Cariatidi, con un allestimento volutamente scenografico e teatrale, realizzato da Ronconi, si possono ammirare una trentina di quadri del maestro fiammingo.
Il mito antropocentrico trova in queste tele il suo culmine di bellezza e maestria, rivelando però di già, a nostro parere, il suo limite e il suo perire nella quieta malinconia dei volti e degli sguardi. Il cattolico Van Dyck (1599-1641), allievo prediletto e tra i più dotati di Rubens, fu un artista famoso che in breve raggiunse la notorietà e la ricchezza proprio per la bravura nei ritratti, tanto che gli storici dell’arte lo indicano come uno dei più grandi ritrattisti di tutti i tempi. Nato ad Anversa, fece la sua fortuna a Genova, divenendo uno dei cantori della ricca ed opulenta classe di mercanti, che trovava nell’arte un segno del suo prestigio e un mezzo per i suoi investimenti. Dopo il viaggio di rito a Roma, raggiunta a bordo di una feluca, raccontano i biografi, visiterà anche Palermo (ritraendo un’anziana Sofonisba Anguissola, una delle poche pittrici che la storia ricordi), Venezia (dove studierà l’amato Tiziano), Bologna.
Ritornato in patria dopo i successi italiani, verrà chiamato alla corte di Federico Enrico, re d’Olanda e successivamente a Londra, quale pittore ufficiale del re.
I ritratti, molto più imponenti dell’altezza naturale, raffigurano personaggi di spicco dell’elite genovese: cavalieri, magistrati, mercanti gentildonne. Soprattutto le figure femminili sono rese con un’intensità ed una finezza che non ha pari, rivelando un amore al particolare e un profondo scavo psicologico. Ne proponiamo due: Ritratto di Elena Grimaldi Cattaneo (1623-1624, olio su tela, 246x173, Washington, National Gallery of Art).
È uno dei capolavori della ritrattistica di tutti i tempi. Il dipinto si impone per l’eleganza della figura, per la naturalezza della posa e per il leggero e soave movimento che il pittore sa dare al soggetto, nell’atto semplice di raccogliere l’ampia gonna con la sinistra. Il volto, girato di tre quarti verso lo spettatore, ci guarda e ci interroga con un silenzio eloquente fatto di consapevolezza della propria grandezza e di velata malinconia per il divenire e il perdersi delle cose e della vita. La dama, dal ricco abito, austero nelle linee, arricchito solo dalla ampia gorgiera e dai risvolti rossi delle maniche, è accompagnata in questa suo incedere da un servo di colore che la ripara con un ombrellino rosso. Sullo sfondo il paesaggio e le colonne del palazzo da cui la signora sta uscendo. Gli impasti veneti del colore sanno rendere la trama dei tessuti e il delicato incarnato di Elena Grimaldi.
Non meno interessante Dama genovese col figlio (1625, olio su tela, 189x139, Washington, National Gallery of Art). La dama si presenta seduta ai margini di una terrazza, ricoperta da un tappeto orientale; veste un sontuoso e raffinatissimo abito nero, dal ricco colletto e dai risvolti di pizzo sulle maniche. Tiene per mano il figlio fanciullo, abbigliato in modo fastoso, rosso con ricami argentati. La donna è ritratta di profilo, il suo sguardo è perso nella lontananza; il figlio, dallo sguardo vivace puntato diritto verso di noi, la tiene stretta per mano: questi due dettagli hanno indotto gli studiosi ad ipotizzare che la dama fosse cieca. Colpisce comunque la delicatezza del pittore anche nel presentare una menomazione fisica: grandezza e miseria insieme dell’uomo.
Di natura analoga la più ampia mostra genovese, L’Età di Rubens. Dimore, committenti e collezionisti genovesi (20 marzo-11 luglio 2004, presso il Palazzo Ducale e nelle sedi di Palazzo Tursi e Palazzo Rosso). Rubens (1577-1640) giunse a Genova agli inizi del Seicento, in una città al culmine della sua potenza economica e politica, nella quale, presso i facoltosi mercanti, si stava consolidando la moda di destinare le pareti delle sale dei palazzi all’esposizione di quadri, dando il via al fenomeno del collezionismo che tanto caratterizzerà la nobiltà e gli intellettuali dell’epoca. Nelle sale del Palazzo Ducale sono state quindi ricostituite, grazie allo studio degli inventari seicenteschi, alcune delle più prestigiose collezioni del periodo, nelle quali vi erano opere di: Veronese. Tiziano, Tintoretto, Caravaggio, Orazio e Artemisia Gentileschi, Reni, Ribera, Procaccino e moltri altri. Le tele in mostra sono tutte belle ed interessanti, quella però che, a nostro avviso, ci restituisce il secolo barocco in tutto il suo fulgore è il ritratto della marchesa Brigida Spinola Doria (1606, Washington, Gallery of Art) di Rubens. La maliziosa giovinezza tutta concentrata nello sguardo, che fissa distratto e quasi con sufficienza lo spettatore, l’altolocata raffinatezza dell’abito dal prezioso tessuto di raso argenteo, la fitta gorgiera di pizzo inamidato, i capelli di un castano ramato trattenuti da pettinini con perle: tutto ciò ci racconta di un’epoca di sfarzo e di raffinati costumi.
Meno appariscenti e di minor richiamo le due rassegna che presentiamo ora, ma che, a nostro avviso, mostrano aspetti inediti e non certo secondari del costume dell’epoca, in particolare dell’intenso sentimento religioso dei centri minori dello Stato Pontificio.
Seicento inquieto. L’arte a Rimini fra Cagnacci e Guercino (Rimini, Castel Sismondo, 27 marzo- 27 giugno 2004) e Storie barocche. Da Guercino a Serra e Savolini nella Romagna del Seicento (Cesena, Biblioteca Malatestiana e Palazzo Romagnoli, 28 gennaio- 27 giugno 2004).
Particolare è, infatti, del Seicento emiliano e romagnolo, debitore a Carracci, Reni e Correggio, un ‘arte che doveva rispondere ai precetti di docere, movere, delectare, principi fondamentali che avevano informato il contesto figurativo in risposta alle esigenze di un rinnovato clima spirituale e religioso che si andava formando sulle ceneri del rigorismo controriformista cinquecentesco.
Nelle tele presenti nelle due mostre, frutto anche di sistematiche recognizioni territoriali di valore documentario fatte dalle sovrintendenze, possiamo v edere l’aspetto devozionale dell’arte italiana del primo Seicento. Il clima tra la fine del XVI secolo e gli inizi del XVII era segnato da una intensa religiosità. La forte spinta riformistica data con il concilio, la crisi dei valori umanistico-rinascimentali, avevano fatto nascere una sensibilità fatta di incertezze, tormenti interiori, fragilità, senso di imponenza e mistero della natura, le scoperte di Copernico e Galileo avevano aperto lo spazio all’infinito e a forze misteriose che regolavano l’universo, tutto ciò creava un legame ancora più forte tra l’io e Dio, come unica e sola certa ancora a cui aggrappare vita e speranze.
In tale temperie culturale, lo sforzo della religione era proprio di esprimere un fiducioso abbandono a Dio, un anelito dell’animo inquieto come bene esprimevano anche gli scritti dei mistici di quei tempi. Tale messaggio poteva essere trasmesso solo emotivamente, creando composizioni che esaltassero la componente miracolistica, ricorrendo anche a espressioni dolenti, sentimentali nelle quali la luce era mezzo indispensabile per creare effetti, suggestioni, implicazioni simboliche. Proprio a Bologna, centro di irradiazione di questa nuova sensibilità figurativa a servizio della fede, nel 1582 era stato pubblicato il Discorso intorno alle immagini sacre e profane del cardinale Paleotti. Tali norme chiedevano che le immagini dovevano essere rigorose nel rispettare la verità storica, dovevano adottare un linguaggio semplice perché tutti, anche i meno colti potessero comprendere, ma soprattutto dovevano saper movere l’affetto di che le guardava. Con la forza delle immagini l’arte poteva veicolare un messaggio religioso e soddisfare il proprio compito di elevare spiritualmente gli animi.
Vediamo quindi alcune di queste opere. Della rassegna riminese poniamo attenzione a una delicata Annunciazione del Visacci, creata nel contesto della spiritualità legata alle confraternite: entro un interno rinascimentale, caratterizzato da una porta sul fonda e da un tavolinetto con un vaso di fiori, avviene il misterioso incontro di Maria con Gabriele. La Vergine è inginocchiata, manifesta stupore e accettazione per l’insolito messaggio, mentre l’angelo, su una nuvola e tra lo sfolgorio del Paradiso, la saluta con un giglio in mano.
Della mostra di Cesena, forse più articolata, vorremmo invece presentare tre tele.
Due stupende per tagli e suggestione del Sassoferrato: Vergine annunciata e Vergine orante. Il taglio ravvicinato della prima quasi ci pone in diretto dialogo con il Mistero di Maria, nella seconda lo sguardo al cielo della Vergine, la sua dolce confidenza non possono non muovere il fedele all’orazione e all’imitazione della Madre di Dio.
Da ultimo, forse meno riuscita ma sicuramente tipica per contenuto Il transito di san Guarino del Razzani. Il santo vescovo, sorretto da due angeli, passa da questa vita al cielo in un’estasi: in alto Maria e il Bambino tra due angeli musicanti accompagnano il suo passaggio al Cielo.

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