I Compianti in terracotta quattrocenteschi
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Ai frequentatori del nostro sito vorremmo proporre, sul limitare delle vacanze estive, un itinerario legato al tema della Passione di Gesù, un itinerario che non sia solo cammino dello sguardo, ma anche percorso di paese in paese, di luogo in luogo alla scoperta di frammenti d’arte ormai dimenticati, ma di rara suggestività per chi li scopre, conosce, frequenta.
I Compianti (detti anche Sepolcri o Pietà) in terracotta (una serie di statue a grandezza naturale, finemente dipinte, poste a semicerchio attorno al Cristo deposto dalla croce e compianto prima di essere messo nel sepolcro, raffiguranti le Marie, la Vergine, la Maddalena, Giovanni, Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo) ebbero un’enorme diffusione nell’area padana a partire dagli anni Ottanta del Quattrocento.
Prima di passare in rassegna ai gruppi più significativi (ne sono stati mappati circa una ventina di autori noti e anonimi) vorremmo delineare i caratteri della religiosità padana all’alba della riforma protestante, un periodo compresso, e quindi poco studiato, tra le luci del Medioevo e la crisi dell’epoca moderna.
Aspetti della sensibilità religiosa del Quattrocento
La religiosità quattrocentesca prosegue in gran parte temi e motivi medioevali, abbandonando però le cristalline speculazioni teologiche per abbracciare un afflato più intimo ed emotivo, le cui origini derivano dalla figura e dalla predicazione di san Francesco d’Assisi (1181-1226), la cui visione religiosa era fondata più sul sentimento che su un sapere filosofico e teologico. Da poeta qual era Francesco non analizzava la natura come gli scolastici, che erano alla ricerca di simboli, ma ne contemplava direttamente la grandezza e la bellezza.
L’insistenza sul sentimento ebbe presto vasta risonanza, dando vita ad alcune pubblicazioni religiose che si diffusero largamente ed ebbero un’influenza decisiva sul modo in cui il credente viveva la propria fede. Tra i testi che influenzarono anche le espressioni artistiche troviamo il Laudismus de Sancta Cruce, nel quale il francescano Bonaventura da Bagnoregio (1221-1274) pubblicò le sue riflessioni sulla crocefissione di Cristo e su come il credente possa prendere parte alla passione e alla morte del Salvatore, così le Meditationes Vitae Christi di Giovanni de Caulibus da San Gimignano o le Revelationes di santa Brigida di Svezia (1303-1373).
Tali libri vennero subito tradotti ovunque Europa e rielaborati in volgare, spesso diffusi ad opera di predicatori itineranti, giullari o recitati come misteri o laude drammatiche.
La letteratura francescana ispirata, i misteri e le prediche popolari favorirono non solo il realismo nell’arte, ma anche una maggiore attenzione al sentimento. Tale insistenza sulle emozioni era qualcosa di più di un effetto secondario derivato dalle rappresentazioni pittoriche sulla passione di Gesù. La nuova pratica devozionale mirava a far piangere gli uomini per muoverli attraverso la forza del sentimento, facendo loro provare le stesse emozioni dei santi. Tale pratica di immedesimazione con l’evento sacro era molto diffusa, come si evince da questo brano tratto da un manuale di devozione per fanciulle del 1454:
“Per meglio far agire in te il racconto della Passione, e poter meglio ritenere tutti i dettagli, è utile figurarsi alla mente luoghi e persone; per esempio una città che rappresenti Gerusalemme: a questo scopo puoi prendere una città che conosci bene…E quando a un certo momento proverai un sentimento intenso di devozione non trattenerlo, ma assecondalo affinché si trasformi in un sentimento durevole, dolce e pio…”
Accanto a questa sensibilità religiosa “emotiva” non possiamo non menzionare il fatto più considerevole di questo periodo: la nascita dell’Osservanza. Si tratta di un vasto movimento di riforma della Chiesa sviluppatosi dalla seconda metà del XIV secolo fino al 1530 circa, che proponeva un ritorno alla stretta osservanza degli antichi ordini religiosi contro la decadenza e il rilassamento che si era insinuato in essi. Tutti gli ordini religiosi maschili ne furono determinati, tranne i Certosini e gli ordini di recente costituzione come i Gesuiti.
Tra gli elementi più significativi per l’ambito della nostra ricerca evidenziamo la riscoperta dell’assimilazione battesimale a Cristo crocefisso, da tradurre esistenzialmente con l’osservanza dei voti monastici e con un’esemplare austerità di vita animata da amore alla croce e da motivi penitenziali, come la povertà più rigorosa e l’ascesi affettiva. Inoltre veniva anche proposto un metodo di preghiera semplice e affettiva incentrata sull’umanità di Cristo; da tutti questi elementi scaturì una ripresa della predicazione popolare, la fondazione o rifondazione di confraternite laicali per la formazione cristiana e, da ultimo, un’attenzione agli aspetti sociali, come la creazione di ospedali o Monti di Pietà.
Ipotizziamo dunque che sia stato tale contesto religioso complesso ed articolato a promuovere e favorire la nascita e la diffusione dei Compianti in terracotta.
I Compianti: genesi e traduzioni
Sono molto carenti gli studi relativi a questo genere artistico; il motivo ha molteplici aspetti: i manufatti in terracotta sono sempre stati considerati “arte minore”, il marcato realismo dei soggetti era poco considerato in un contesto di idealità neoclassica, relegandoli ai generi dell’arte popolare, anche il carattere squisitamente devozionale di queste statue ha pesato sulla loro notorietà, senza contare le difficoltà conservative, per cui molti esemplari sono andati distrutti, l’inamovibilità all’interno delle chiese e da ultimo il generale anonimato degli artisti interessati.
La loro recentissima rivalutazione, grazie alla riscoperta di maestri come Guido Mazzoni, Niccolò dell’Arca e Vincenzo Onofri, mettendo in evidenza il forte impatto emotivo che da essi ne scaturisce, ha permesso di conoscere la temperie religiosa del Quattrocento, le sue grandezze e insite debolezze.
Davanti ai Compianti ci colpisce una doppia comunicazione della sofferenza: quella interiore di ciascun personaggio, che si dilata al gruppo, e quella che, con la marcata gestualità, esplode verso l’esterno coinvolgendo il fedele-spettatore. Il fedele si sente trascinato “dentro” la scena e indotto a dar voce a quel dolore attraverso la rievocazione della Passione di Cristo, già elemento fondamentale, come si è scritto, della lauda drammatica medioevale, cantata e recitata durante le cerimonie dei Disciplini.
Non possono quindi non tornare alla mente quelle Lamentatio Beatae Mariae de Filio o quelle De compassione Filii ad Matrem tempore Passionis sue, recitate in forma dialogica che rievocano il tragico percorso di Gesù dal Golgota al sepolcro.
Ma come spesso avviene dal rito del Venerdì Santo si passa alla messa in scena della sacra rappresentazione, per giungere poi a forme d’arte stabili, che si fissano nell’animo come continua possibilità di memoria e di conversione per il cristiano.
Il culmine rappresentativo di tale dolore è però raggiunto dalla lauda XCIII di Jacopone da Todi, detta anche Pianto della Madonna. Il dialogo tra i vivi e il morto e la struttura drammatica del testo coinvolgono tutti in una rappresentazione corale del dolore. Il discorso inquieto, intermittente, dialogico veniva da un lato interpretato da voci recitanti, dall’altro rappresentato dalle immagini il cui urlo di dolore appare incessante attraverso i secoli.
Gli scultori padani del tardo Quattrocento collocano, al centro di questa sacra rappresentazione scolpita, la Vergine, che incarna il culmine del dramma, in cui è facile riconoscersi e commuoversi e che personifica la desolata constatazione della morte del figlio, disteso e composto sulla lastra tombale. La dimensione a grandezza naturale delle statue rende il tutto molto coinvolgente, così la positura delle singole figure, le cui espressioni sono forzate in gesti estremi che coinvolgono tutto il corpo, come probabilmente doveva accadere nei quadri viventi allestiti durante le liturgie pasquali.
I Compianti: gli autori
Vogliamo menzionare solo due degli artisti autori di Compianti. Il primo è Niccolò dell’Arca, detto anche Nicolò d’Antonio d’Apulia o Niccolò da Bari (Bari? 1435/40 ca.- Bologna 1494), scultore di ascendenze gotiche, in cui si inseriscono influssi dell’arte meridionale più classica. Egli opera soprattutto a Bologna, presso l’Arca di san Domenico; altra opera di lui nota è il Compianto della chiesa di Santa Maria della Vita (Bologna, dopo il 1485).
Il più noto scultore di Compianti è sicuramente Guido Mazzoni, detto il Modanino o il Paganino (Modena 1450 ca. - Modena 1518). Inizia la sua attività come creatore di apparati effimeri per feste, passando alla scultura nel 1475 quando su commissione dei Pallavicino realizzò due gruppi plastici a Busseto; fra il 1477 e il 1480 scolpisce un Sepolcro per la Confraternita della Buona Morte di Modena, per passare nel 1485 a Ferrara dove esegue una Pietà. In questa città entra nelle grazie della duchessa Eleonora d’Aragona, grazie alla quale è chiamato alla corte di Napoli (1489) dove è impiegato in diversi lavori di allestimento scenico e dove compie anche una Pietà nel 1492 per la chiesa di Monteoliveto. Segue in Francia Carlo VIII, dal quale è nominato cavaliere, si stabilisce a Tours e a Parigi lavorando per le sepolture dei re francesi (tutte distrutte dalla furia rivoluzionaria). Nel 1516 rientra in Italia, dove esegue il Compianto di Modena; morirà due anni dopo.
Itinerario tra gli esemplari più significativi
Tutti i gruppi considerati possono essere raggruppati in alcune precise tipologie: quello “classico” delle figure addolorate attorno al Cristo morto, quello che pone al centro il Cristo morto sulle ginocchia di sua Madre, quello che ha come momento culminante lo svenimento di Maria e da ultimo, forse di derivazione francese, quello in cui il corpo di Cristo sul sudario è sorretto alle due estremità da Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea (quest’ultimo spesso si presenta nella forma dell’altorilievo).
Il nostro percorso inizia dall’Emilia-Romagna, dove sono reperibili i più antichi esempi di Compianto e forse i più noti.
A Busseto, nella chiesa di Santa Maria degli Angeli si trova un Compianto di Mazzoni. Il gruppo comprende otto figure in terracotta dipinta ed è situato in una nicchia alla sinistra dell’altare maggiore. Le statue sono state ridipinte più volte e alcune rivelano danneggiamenti nelle basi. In origine la chiesa era officiata dai Minori Osservanti, i quali avevano come benefattori Gianludovico e Pallavicino Pallavicini, marchesi di Busseto. Questi ultimi furono munifici mecenati e probabilmente commissionarono al Mazzoni il Compianto, tanto da essere ritratti nelle vesti di Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea (1476-1477).Al centro del gruppo, in atteggiamento dolente sul Cristo, In Bologna troviamo ben tre esemplari: il più noto è quello di Niccolò dell’Arca in Santa Maria della Vita (1485). Attorno al Cristo deposto troviamo sei personaggi percorsi da un dolore feroce e disperato. La Vergine sfoga la sua sofferenza in un muto urlo, la Maddalena e una delle donne si agitano con gesti convulsi e disordinati, Giovanni poggia il volto sul palmo della mano trattenendo in una smorfia le lacrime. Il monocromo della terracotta rende ancora più cruda l’atmosfera che esala dai volti e dai gesti.Maria; simmetrici rispetto a lei gli altri personaggi. In rilievo, a chiudere il cerchio, i donatori-Pallavicino in abiti quattrocenteschi.
Vincenzo Onofri, da poco rivalutato dalla critica, realizza in San Petronio, verso la fine del XV secolo, un gruppo più misurato nelle espressioni. Anche in questo caso sei personaggi gravitano attorno al simulacro di Gesù morto. Maria tiene le mani strette premute contro il viso, il suo dolore è tutto interiore, anche se il volto è una maschera di sofferenza. Solo la Maddalena, a destra, è scomposta: ha la bocca aperta in un grido, le braccia spalancate, un motivo ricorrente in molti Compianti, tanto da far supporre, vista la predominanza di questa figura, una dedicazione a lei della chiesa o della cappella interessate.
Da ultimo il Compianto di Alfonso Lombardi nella chiesa di San Pietro, nel quale è significativo l’inserimento dello svenimento della Vergine, in un contesto formale molto più teso e nervoso dei precedenti.
Nella chiesa di San Giovanni Battista a Modena si può ora ammirare uno dei Compianti di Guido Mazzoni, realizzato tra il 1477 e il 1479. Il gruppo fu trasferito dall’oratorio dell’ospedale di San Giovanni alla Conforteria del Palazzo Comunale nel 1774 e dal 1853 nella sua attuale collocazione. I Confratelli della Buona Morte, che ebbero un ruolo primario nella committenza di opere d’arte a Modena nella seconda metà del Quattrocento, commissionarono al Mazzoni un Sepolcro da porre nella chiesuola dell’ospedale di loro competenza, costituito da otto statue, da mettere in una nicchia poi chiusa con cancelli.
I sette personaggi si dispongono a semicerchio attorno al Cristo morto; la Vergine, in abiti monacali, è inginocchiata, con le braccia aperte, in dolorosa contemplazione del Figlio; anche gli altri astanti convergono con i movimenti verso Gesù: in particolare la Maddalena e Giovanni. Il ritmo serrato, la mimica più accentuata, la ricerca formale più elegante fanno di questo gruppo uno dei più espressivi dell’opera del Mazzoni.
A Reggio Emilia in San Giovanni evangelista si trova il Compianto fino a poco tempo fa attribuito al Mazzoni, ma ora riconosciuto di altra mano. Anticamente il complesso scultoreo si trovava nella cappella del Sepolcro della chiesa di San Francesco dei Minori Osservanti. Il patronato della cappella era della Compagnia dei Battuti, costituitosi Consorzio di San Francesco della Concezione di Maria Vergine nel 1321. Nel 1807 la Confraternita viene dispersa e il Compianto passa alla chiesa di San Giorgio e da lì alla attuale collocazione. A Reggio Emilia i confratelli erano noti per essere veri e propri registi delle cerimonie del Venerdì Santo, forse proprio a partire dalla data di fondazione della cappella contenente il Compianto (1480). Il gruppo è costituito da sette statue poste attorno al Cristo morto, ma il tutto è anomalo perché al posto della Maddalena compare per due volte Giovanni (tale particolare ha fatto avanzare l’ipotesi che l’attuale sia il risultato di due precedenti Compianti). L’atteggiamento di Maria è evidenziato dalle braccia aperte e dal grido che le deforma il viso, allo stesso modo i due Giovanni presentano un sentimento di dolore molto caricato.
Nella chiesa del Gesù a Ferrara, proveniente da Santa Maria della Rosa, si trova l’ultimo Compianto padano del Mazzoni. Il gruppo forse venne commissionato dagli stessi Estensi, poiché la duchessa Eleonora d’Este ricompensa lo scultore e la moglie (“uxor etiam eius finxit et filia”, lei stessa e anche la figlia scultrici!) con il dono di stoffe pregiate e con l’esenzione dalle tasse e gabelle dello stato, un riconoscimento molto alto per i suoi meriti artistici. Il Compianto di Santa Maria della Rosa lo consacra come artista di corte, in un momento di ripristino della città e della sua ricostruzione dopo la disastrosa guerra contro Venezia. Le sette figure in terracotta dipinta sono disposte a semicerchio attorno al corpo martoriato di Gesù, e oggi rivelano una situazione conservativa molto precaria. Di esse, due, figurano con il volto di Eleonora e di Ercole I (Nicodemo); per la prima volta Giuseppe d’Arimatea è raffigurato con abiti orientaleggianti e con un gran turbante. Il contesto è quindi quello a sfondo politico-dinastico, in particolare per Ercole I che era anche promotore di spettacoli sacri. Proprio da Ferrara Mazzoni partirà alla volta di Napoli, a motivo dei rapporti dinastici tra le due corti.
Dell’area romagnola ci limitiamo a segnalare le presenze di Compianti a Imola, nella chiesa di San Michele dell’Osservanza, a Lugo nella chiesa di San Francesco da Paola e a Brisighella nella chiesa di Santa Croce.
Spostiamoci ora in Lombardia, dove era documentato a Cremona un Compianto del Mazzoni ora distrutto: è suggestivo pensare che tale esempio possa aver dato inizio alla diffusione di questo tema in tutta la Pianura Padana.
La Lombardia è luogo di grande sperimentazione della terracotta come materiale decorativo negli edifici, ed è anche territorio dove, a partire dagli anni Ottanta del Quattrocento, si realizza un altro progetto che rientra nei programmi iconografici dei Francescani, custodi dei luoghi santi e perciò depositari di un’idea ancora più pregnante di mimesi religiosa, quella di riprodurre al vero, persino nelle misure, i luoghi della Passione di Gesù in Terrasanta, visitabili ora con più difficoltà a causa delle conquiste turche. La prima opera in tale senso fu il Sacro Monte di Varallo, ad opera del beato Bernardino Caimi (1486).
Fuori dai Sacri Monti i Compianti realizzati a partire dagli esempi emiliani mantengono un rapporto molto stretto con l’insieme decorativo della chiesa per la quale sono stati creati e costituiscono l’episodio centrale dell’ambientazione di una cappella o di un altare.
Tra i più noti segnaliamo a Milano il gruppo presente nella chiesa di Santa Maria presso San Satiro, opera di Agostino de’ Fondutis. Le tredici statue costituiscono un rinnovamento rispetto ai modi del Mazzoni. Il Fondutis era un plasticatore di origini cremasco-padovane, la cui presenza in San Satiro è documentata nel 1483, non solo per detto Sepolcro, ma anche per altre decorazioni in terracotta, sotto la sovrintendenza di Bramante. IL Cristo è tenuto tra le braccia di Maria, che sviene, e di altri due personaggi, attorno il dolore si dilata in soluzioni diverse: alcuni piangono sommessamente, altri sono più vibranti nella resa dei loro sentimenti. Da notare l’introduzione di una madre di pelle scura che tiene il suo piccolo tra le braccia e mesta contempla la scena.
Sempre in Milano è rimasto, dei tanti (scomparsi quelli di Santa Maria Bianca della Misericordia e di San Vittore al Corpo), quello nella cripta di San Sepolcro (secondo decennio del Cinquecento). Il gruppo ad otto figure con un Cristo ligneo di epoca barocca comprende al centro lo svenimento di Maria, sostenuta dalle pie donne. Molto accentuata la figura di Maddalena, comprensibile poiché San Sepolcro un tempo era intitolata proprio alla Maddalena.
Altri esempi lombardi sono reperibili a Soncino nella chiesa di San Giacomo: otto figure di ignota provenienza collocate nella cripta della chiesa: al centro sempre lo svenimento della Vergine, mentre la Maddalena si sporge in avanti verso il Cristo morto con una leggera flessione delle ginocchia. L’insieme è spoglio di particolari descrittivi, le figure sono allungate e i volti affilati, ma manca l’ampia e coinvolgente coreografia emiliana.
A Palazzo Pignano, nella chiesa di San Martino si trova un altro Compianto. Il documento rogato dai Provvisori della Comunità e Deputati dell’ospedale di Santo Spirito nel 1510 ad Fondutis per un Sepolcro per la chiesa di Santa Maria Maddalena di Crema, potrebbe in realtà essere riferito al nostro esemplare. In effetti la qualità delle statue è molto alta, così la loro impostazione monumentale, che media tra novità lombarde e tradizione emiliana. Il tono è di grande patetismo e di enfasi oratoria, soprattutto nel particolare centrale dello svenimento di Maria. Nella chiesa parrocchiale di Medole ha trovato posto un Compianto (anni Ottanta del Quattrocento) proveniente dal convento degli Agostiniani al confine tra il territorio di Medole e quello di Castelgoffredo, fondato insieme alla chiesa nel 1466 e soppresso nel 1782. Elemento caratterizzante del gruppo di otto figure è lo svenimento di Maria, il cui patetismo è accentuato dal soggolo slacciato pendente sul petto e l’atteggiamento esasperato di Giovanni; si nota inoltre la grande raffinatezza del modellato dei personaggi. Il Cristo è deposto tra Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea inginocchiati, forse i più mazzoniani tra le statue e i più danneggiati; in particolare Nicodemo ha l’aspetto del committente laico per l’estremo realismo del volto che si distanzia dai caratteri un po’ generici degli altri.
Sempre vicino a Milano l’esemplare di Melegnano, nella chiesa dei Santi Pietro e Biagio. Il gruppo, di quattordici figure, era situato nella preesistente chiesa dalla omonima intitolazione, consacrata nel 1537, adiacente ad un ospedale. La struttura del Compianto è quella di Gesù deposto sulla sindone trattenuta da Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea, quasi un solo blocco di figure sbozzate a stregua di possente altorilievo e collocate in una nicchia angusta da cui fuoriescono con forte effetto drammatico e comunicativo. Se i volti femminili sono improntati a severo classicismo, quelli maschili spiccano per intenso e ricercato realismo, vestiti nella foggia caratteristica del luogo.
Arriviamo ora a Brescia nella chiesa del Carmine con un Compianto (secondo o terzo decennio del Cinquecento) di dieci statue, ora collocato in una cappella a sinistra del presbiterio. L’impostazione iconografica è tradizionale: il Cristo morto in primo piano e il semicerchio delle figure attorno, con al centro l’episodio dello svenimento di Maria. Il modo è asciutto e contenuto, il panneggio e la tipizzazione fisionomica più rigidi, mentre più realistica la resa di Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea.
Da ultimo in Lombardia il Compianto di Gandino, conservato nella chiesa di San Giuseppe, proveniente da Santa Maria Assunta: l’assetto delle otto statue è tradizionale con Gesù e le altre figure attorno tra cui spicca la Vergine in atto di svenire, ma ancora in piedi sorretta da due donne, la Maddalena è in corsa con le braccia spalancate, Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea sono due ritratti ben individuati nei volti e nei particolari degli abiti; uno dei due tiene tra le mani la corona di spine: motivo nuovo ma non certamente originario, forse frutto di successive manomissioni.
Anche in Veneto possiamo reperire alcuni Compianti, a cominciare da Venezia. Nel Museo Civico di Padova si possono ammirare i frammenti di quattro figure di quella che fu l’opera del Mazzoni per la chiesa veneziana di Sant’Antonio in Castello. Nella chiesa di Sant’Antonio ai Canonici antoniani si erano succeduti i Canonici regolari di San Salvatore, i quali avevano inaugurato il loro arrivo con una imponente serie di lavori destinati all’assistenza pubblica come un ospedale, l’abbellimento del refettorio e del chiostro. In questo fervore è possibile inserire l’opera del Mazzoni documentata nel 1485. I frammenti sono molto belli e fanno percepire le vibrazioni di dolore tipiche delle statue mazzoniane.
Abbiamo notizia anche della presenza di Compianti in due chiese di Padova, in San Benedetto (ora pochi frammenti al Museo Diocesano) e in San Canziano, nonché nel vicino Sarmego nella chiesa di San Michele Arcangelo.
Di spiccato interesse il gruppo di Portogruaro, nella chiesa di Sant’Agnese. Le otto figure seguono il modello di Melegnano, ma qui è più decisa l’impostazione ad altorilievo; le figure femminili sono più classiche rispetto alle due maschili che tengono il Cristo nella sindone.
Concludiamo il nostro iter con i Compianti piemontesi. Il primo esempio è nel Duomo di Asti; il gruppo di otto figure è collocato in una nicchia rettangolare ricavata nel muro della navata sinistra. Lo schema compositivo è quello lombardo con Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea come ritratti realistici posti alle due estremità; si accenna all’episodio dello svenimento di Maria, sorretta da Giovanni e Maria di Cleofa. L’artista del gruppo non ha sicuramente l’abilità di Mazzoni, anche per le modalità tecniche con cui ha realizzato le statue.
A Vinovo nella chiesa di San Domenico è presente un Compianto che manifesta la ripresa iconografica dei gruppi lombardi ed ora è in fase di restauro.
Si segnalano presenza nel Duomo di Chivasso, con il modello di Cristo tenuto sollevato nella sindone, in quello di Saluzzo e nella chiesa della Maddalena a Novi Ligure.
Abbiamo maggiori informazioni sul Compianto (terzo/quarto decennio del Cinquecento) di Alessandria, conservato nella chiesa di Santa Maria di Castello. Le nove figure sono in una nicchia che simula una grotta al fondo del transetto destro, nella cappella del Sacro Cuore; attribuite ai fratelli Tabacchetti, operanti alla fine del XVI secolo nei Sacri Monti, sono ora invece assegnati ad un artista valsesiano formatosi sugli esempi di Gaudenzio Ferrari. Questo Compianto contempera elementi nuovi con alcuni vecchi:non ha l’estensione prevista per una cappella di Sacro Monte, ma mantiene ancora l’assetto ad altorilievo che consente lo spazio limitato della cappella di una chiesa.
A conclusione presentiamo il Compianto che Mazzoni realizzò a Napoli e che si trova nella chiesa di Sant’Anna ai Lombardi di Monteoliveto. Il gruppo di otto statue ha perso l’originario cromia e quindi si presenta in modo più suggestivo, evidenziando le capacità plastiche del Mazzoni, in genere un po’ nascoste dai colori sovrapposti.
L’opera non fu mai spostata dalla chiesa per la quale fu eseguita e non si esclude che anche in origine si trovasse in questa cappella. Il Mazzoni fu invitato a Napoli dalla corte stessa nel 1489 e nel 1492 gli viene corrisposto un acconto per l’opera che sta realizzando.
Probabilmente nella stessa chiesa, ad opera dei signori napoletani, avvenivano delle sacre rappresentazioni in occasione del Giovedì Santo e quindi tale gruppo potrebbe inserirsi in questo contesto di sacra e, allo stesso tempo, civile ritualità. Infatti gli studiosi, antichi e moderni, testimoniano come Giusepe d’Arimatea e Nicodemo siano i ritratti rispettivamente di Alfonso d’Aragona e Ferrante d’Aragona, suo padre.