Dialoghi dell'anima
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Silenzi. La natura morta contemporanea fra l'Italia e i Paesi Bassi.

Fino al 9 gennaio, nella prestigiosa sede di Palazzo Te a Mantova, sarà possibile visitare la mostra "Natura e Maniera tra Tiziano e Caravaggio. Le ceneri violette di Giorgione".
Curata da Sgarbi, la rassegna vuole, con ben 130 dipinti, mostrare i diversi aspetti della pittura padana tra Cinquecento e Seicento, cioè la tradizione pittorica italiana da Tiziano e Caravaggio.
Il visitatore, sprovveduto di solidi riferimenti artistici, può rimanere disorientato davanti ad una messe tanto considerevole di opere d'arte, di diversa qualità artistica e di maestri spesso sconosciuti. Vorremmo tentare allora di offrire una chiave di lettura, o meglio una bussola per trovare la strada ed uscire indenni ed arricchiti dalla visita all'esposizione.
Perché un così suggestivo titolo? E cosa si intende per "maniera"?
I curatori hanno tratto il titolo da un saggio di Roberto Longhi, noto studioso d'arte, il quale così scrisse: "…Giova insomma ritenere che il Dosso si trovasse a Venezia verso il 1510 accanto a codesti trentini - era oriundo trentino egli stesso - e friulani; accanto ai bresciani, ai bergamaschi, ai lodigiani, come il Palma, il Romanino e il Calisto. La sua arte, come quella di tutti costoro, è di una sola fumata sorta su immensa dalle ceneri violette di Giorgione, mescolatasi nella dolce nebbia della valle padana con qualche soffio gemente di espressionismo boreale, e diratasi alla lucidezza dell'antichissimo classicismo ritmico dell'Italia centrale che splendeva fisso verso il sud…"
Si comincia allora a determinare lo spazio, il tempo e la peculiarità di quest'epoca di transizione, che in termini tecnici è detta "maniera" (da una citazione del Vasari). Di fronte alla profonda crisi religiosa, politica e morale che travaglia la società italiana e che raggiunge il suo culmine negli anni successivi al Concilio di Trento (metà secolo XVI), gli artisti non si sentono di riproporre quegli ideali di ordine ed armonia, di serena fiducia nel dominio dell'uomo sul mondo che avevano fatto la grandezza dell'arte rinascimentale. Così l'imitazione si coniuga con un inquieto e non ancor ben definito desiderio di novità: da un lato gli artisti si aggrappano ansiosamente al modello dei grandi maestri, come ad ancora di salvezza nella generale crisi dei valori, dall'altra tendono ad esasperare o sottolineare singoli aspetti, fino alla deformazione o a rifugiarsi in un mondo antico, talvolta anacronistico. In mostra si possono vedere e scoprire tutti questi aspetti, in un'area, la padana, non molto studiata dagli storici dell'arte perché sempre considerata marginale e provinciale rispetto alla grande arte fiorentina e romana.
Il percorso, iniziando dalla zona veneta, prende avvio da Tiziano (1490?-1576), del quale sono esposte ben otto tavole (una cromia intensa, particolare, tesa a rendere già con il colore la drammaticità del soggetto, ad esempio "San Francesco riceve le stimmate"), per poi passare ad altri pittori forse meno noti al pubblico dei meno esperti: Sebastiano del Piombo (1485 ca. - 1546), con l'accentuato arcaismo delle sue rappresentazioni religiose, Paris Bordon (1500- 1571), il Pordenone (1584 ca. -1539) fino alle opere di Lorenzo Lotto (1482-1556), che nei ritratti e nelle altre figurazioni, soprattutto religiose (come non menzionare l'"Annunciazione" di Jesi?) fa già pregustare un clima e una drammaticità diversa e più intima.
Ampio spazio viene poi dato ai pittori della scuola lombarda: i bresciani Savoldo (1480-1548), Moretto (1498-1554 ca), Romanino (1485-1560), nei quali la semplicità e il realismo popolare si stemperano in temi religiosi tradizionali (ad esempio l'"Incoronazione della Vergine" di Moretto, o "Cristo e l'adultera" di Romanino) e i cremonesi Campi (1524-1587) e Altobello Melone (1505 ca-1540 ca. notizie sulla sua attività), i quali invece propongono un 'aura mistica che trasfonderà nelle tensioni dei pittori milanesi dell'epoca borromaica. Tra le altre sezioni vogliamo solo porre attenzione ai pittori della scuola emiliana, tra i quali spicca il Correggio (1489-1534) con la sensuale "Maddalena", immersa in un dolce e languido paesaggio.
A conclusione del percorso la "Conversione di san Paolo" di Caravaggio (1573- 1610), pervenuta in mostra dopo numerose polemiche; Caravaggio segna idealmente il punto di arrivo delle tensioni e contraddizioni della "maniera": realismo, senso particolare della luce e del colore, un afflato religioso permeato da una sensibilità moderna, gusto per la tradizione ritrovata e originalmente riproposta.
Le ceneri violette di Giorgione. Natura e maniera tra Tiziano e Caravaggio
Dal 5 settembre 2004 al 9 gennaio 2005
Palazzo Te, Mantova orari: lunedì 13.00- 18.30; da martedì a domenica 9.00- 19.30
I nostri dialoghi dell'anima continuano con un'altra mostra, più piccola, più contenuta ma non meno suggestiva dell'imponente rassegna mantovana.
Altro genere altro tempo: natura morta ai nostri giorni.
Presso la piccola e raffinata Galleria milanese di Rob Smeets dal 1 ottobre al 6 novembre 2004 si potranno ammirare i pezzi della mostra: Silenzi. La natura morta contemporanea fra l'Italia e i Paesi Bassi.
Il genere pittorico della natura morta nasce e si diffonde nei paesi nordici a seguito della Riforma Protestante che vietava l'uso delle immagini religiose, perché fonte di errore, superstizione ed idolatria da parte dei fedeli.
La natura morta, quindi, sostituisce la narratività del quadro religioso con un cerebrale e difficile discorso allegorico-simbolico, nel recupero di segni ed emblemi della più antica tradizione cristiana.
A partire dalla "Canestra di frutta" di Caravaggio, conservata nella Pinacoteca milanese dell'Ambrosiana, il cui significato è da connettersi al tema del peccato e della redenzione, tale genere dal Seicento si diffonde anche in Italia e nei Paesi cattolici, spesso però perdendo le pregnanza delle origini nel venir meno di un terreno comune, tra pittore e spettatore, di simboli, emblemi e riferimenti colti.
La penombra della Galleria Smeets, gli spazi raccolti, bene si adattano ad un genere oggi così poco diffuso, creando un'atmosfera di intima familiarità, di quotidianità tra chi guarda e ciò che è dipinto.
Il lucido realismo delle figurazioni sa trasfigurare gli oggetti quotidiani, rendendoli simbolo della vita, della drammaticità dell'esistenza e persino della morte; operazione consapevole nel pittore (qui espongono dieci maestri, cinque italiani e cinque olandesi) ma spesso inconscia nel fruitore che accoglie quei frammenti di realtà in silenzio, quasi religioso.
La nitida ed essenziale visione di Van Albada (1968), soprattutto nella linearità di "Scatola di Livarot", fa da contrappunto alla tensione chiaroscurale de "L'Ombra" di Arrivabene (1967), le orbite cave dei due teschi sono riferimento scoperto alla fine della vita, al corrompersi inesorabile delle forme create. All'iperrealismo freddo ed asettico di Bottoni (1950), uno dei maestri del genere, rispondono le composizioni di frutti di Corona (1969; bellissimo a nostro avviso "Grappolo d'uva antica") e Helmantel ((1945) dal sapore antico e atemporale. Gli olandesi Lijftogt (1963), Jaap (1960) e De Vree (1966) prediligono composizioni più complesse in un interno rimando di simboli e suggestioni; da ultimo gli italiani Scazzosi (1960) e Salmoiraghi (1936) fanno rivivere le tensioni delle nature morte lombarde seicentesche, dal Campi al Baschenis.
Silenzi. La natura morta contemporanea fra l'Italia e i Paesi Bassi
Dal 1 ottobre al 6 novembre 2004
Galleria Rob Smeets, Via Camperio 9, Milano, tel. 02. 86. 92. 530
Orari: martedì- sabato 10.00- 19.30; lunedì 15.00- 19.30; domenica chiuso
Entrata libera.