Febbraio in mostra
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La ricca offerta, che anche questa volta siamo costretti a selezionare in un mare di proposte, preferisce mostre un po’ fuori dai soliti canoni: mostre di arte moderna e contemporanea a tema profano, mostre fotografiche che documentano gli scenari più drammatici di oggi, mostre su culture lontane e affascinanti. Unica rassegna con temi “tradizionali” è quella milanese dedicata ad un piccolo crocifisso di casa Buonarroti. La nostra proposta seguirà questa volta un criterio spaziale: partiremo da Milano e con un giro d’Italia arriveremo a Roma.
A Milano presso la Pinacoteca Ambrosiana, antica istituzione culturale fondata nel Seicento dal cardinal Federico Borromeo, troviamo una piccola ma interessantissima mostra dal titolo Michelangelo. Il piccolo Crocifisso ligneo di casa Buonarroti. Con ogni probabilità fu il nipote di Michelangelo, Leonardo, al suo ritorno da Roma dopo la morte dello zio, a portare nella casa di famiglia il piccolo Crocifisso, un bozzetto di Crocifisso probabilmente frutto degli ultimi anni di attività dell’artista. Tale opera sfuggì nei secoli all’indagine degli studiosi e solo nell’Ottocento esso fu identificato anche grazie ad alcuni documenti d’archivio. Da una lettera del 1562, veniamo a sapere che il Maestro voleva infatti fare “uno Crocifiso di legnio”, forse per donarlo al nipote, come è stato supposto. Il manufatto è molto bello e significativo, anche confrontandolo con altre opere tarde di Michelangelo: particolarmente coinvolgente è il rapporto con il disegno Cristo in croce con la Vergine Maria e San Giovanni, oggi al British Museum, il quale a sua volta si collega per contenuti non soltanto formali con la dolorosa Pietà Rondanini. Nel nostro piccolo Crocifisso si rinviene la stessa cifra di queste opere sconvolgenti, espressione estrema di uno spiritualismo geniale, ma anche esempio supremo di quel “non finito” di Michelangelo di cui si intravedono le motivazioni solo se lo si interpreta come esistenziale impossibilità di procedere oltre. Passiamo ora, in modo forse un po’ provocatorio e disorientante ad una mostra dedicata ad un artista contemporaneo Yvan Salomone. Rear View Mirror, presso la Galleria del Gruppo Credito Valtellinese al Palazzo delle Stelline. L’artista francese, al quale di recente è stata dedicata una rassegna anche al Beaubourg di Parigi, presenta cinquanta acquarelli di grandi dimensioni che raccontano i porti di Saint-Malo, Le Havre, Rotterdam, Shanghai, Dakar e altre città di mare. Questi vengono visti come luoghi dove finisce la città più che come spazi di apertura verso l’immenso acqueo. Il mare anzi è escluso da queste visioni anche se è presupposto e immaginabile, mai direttamente raccontato o mostrato. Sono luoghi situati “ovunque purché da nessuna parte”, che rientrano più nel campo dell’immagine mentale che della descrizione topografica. Quando il pittore decise questo soggetto in fondo raccoglieva due sfide: l’una, trasformare un luogo ordinario in paesaggio singolare; l’altra, attualizzare una tecnica desueta. Sono immagini raccolte da Yvan Salomone fotograficamente in lunghi viaggi su lontane rotte, oppure dietro casa. Istantanee che vengono selezionate in studio e poi alcune diventano dei grandi lavori realizzati con la tecnica da lui preferita, l’acquarello appunto. Un lavoro a settimana fatto con una regolarità certosina, maniacale: una vera e propria disciplina. Questa è forse una parola chiave, qualcosa che conduce a dichiarare un metodo, ad adottare una procedura di lavoro che è una filosofia dell’arte.
L’austriaco Boris Koller, presenta alla Barbara Frigerio Contemporary Art, le sue opere in cui ama riprodurre la magia e l’incanto del paesaggio nordico, conosciuto durante un viaggio nel 1993 in Svezia e Norvegia e mai abbandonato. Con una grande maestria pittorica riporta nelle sue tele gli ampi spazi aperti dei fiordi norvegesi, dove il ghiaccio delle montagne incontra il blu profondo delle gelide acque del mare. Terre incontaminate e solitarie nelle quali sembra davvero di trovarsi davanti a quella Natura “bella e terribile” decantata nella poesia romantica, dove la vita e la morte si susseguono senza mai scalfire il bianco candore di quelle cime innevate. Uno scenario nello stesso tempo bellissimo e terribile con il quale l’uomo cerca di confrontarsi rimanendo però sgomento di fronte al mistero che l’avvolge. Il riferimento è chiaro: una poetica contemporanea che affonda le sue radici nella grande tradizione paesaggistica nordica e ad importanti pittori tedeschi del passato, da Friedrich a Bocklin, la cui vena romantica e crepuscolare, tesa ad indagare sentimenti e timori dell’uomo di fronte ai misteri della mondo e della morte, viene ripresa dall’artista.
Spostiamoci ora a Legnano per una mostra, oseremmo dire, “evento”: presso lo spazio espositivo del Palazzo Leone da Perego troviamo la rassegna dedicata allo scultore Rodin. Le origini del genio. La prima di produzione di Rodin (Parigi, 1840 - Meudon, 1917), oggetto della mostra in questione, è documentata a Legnano da 65 sculture, 26 disegni e 19 dipinti inediti, foto e documenti dell’epoca, per un totale di circa 120 pezzi, i più dei quali mai visti in Italia. Tra i capolavori assoluti possiamo ammirare: Giovanni Battista, il Pensatore, il Bacio, le Grandi Ombre. Inoltre sono interessanti i gessi (spesso poco considerati dal grande pubblico), prestati eccezionalmente dal Museo Rodin di Parigi perché estremamente fragili. Altra novità è l’esposizione di 19 quadri, per lo più vedute della foresta di Soignes (Belgio) e alcune copie di maestri del passato. Già queste opere della giovinezza dello scultore ci mostrano il suo tratto peculiare e incisivo, tratto che rende ben riconoscibile la scultura di Rodin e lo inserisce tra i grandi di questa tecnica. La rassegna ha come data limite gli anni ‘80 dell’Ottocento, anni che vedono Rodin cimentarsi con la Porta dell’Inferno. Si tratta di undici bassorilievi che lo Stato commissionò a Rodin per la porta monumentale di un museo di arte decorative. I rilievi dovevano presentare scene dell’inferno dantesco; Rodin trasse ispirazione dalle porte del Ghiberti per il Battistero di Firenze. Dopo tre anni di lavoro l’artista giunse a risultati che lo soddisfecero, ma nel frattempo il commissionato progetto era stato abbandonato.
Arriviamo ora in Veneto, a Pieve di Soligo (Tv) per una mostra del titolo Nel paesaggio tra Venezia e le Dolomiti. Springolo, de Pisis, Cadorin, Barbisan, Pizzicato, Music, Zigaina. Un luogo paesaggisticamente singolare per ospitare una mostra che indaga il connubio, incontro-scontro tra l’arte e il paesaggio in artisti legati per residenza, attività, ispirazione al particolarissimo territorio che dalle Alpi discende alla Laguna veneziana. Cento opere, molte inedite, per documentare l’intrecciarsi di differenti filoni creativi, il formarsi ed evolversi di universi linguistici e spunti immaginativi nuovi. La mostra presenta accanto a nomi conosciuti al grande pubblico, anche artisti meno noti, ma i cui quadri hanno una poesia e una presa dal vero particolare e significativa. Fermenti che contagiano anche maestri dalla personalità consolidata, come evidenzia il rarefarsi della pittura di Filippo De Pisis, mentre Guido Cadorin rende magici i colori, le luci artificiali, la modernità di Venezia e Giuseppe Cesetti sperimenta nuove e più trasognate variazioni coloristiche. Per parte sua Nino Springolo penetra con sempre maggior lucidità la poesia del comune vivere quotidiano, mentre Pio Semeghini viene ulteriormente distillando le proprie immagini, quasi esplorando la loro fatica ad apparire. Fedeli allo spontaneo mito delle atmosfere locali, artisti dotati di grandi qualità pittoriche e disegnative come Fioravante Seibezzi, Luigi Scarpa Croce, Eugenio da Venezia, Neno Mori, Carlo Dalla Zorza e i loro amici Marco Novati, Eugenio Varagnolo, Mario Vellani Marchi, Gigi Candiani, pur senza sconvolgere il loro ormai consolidato universo creativo, sanno variarlo e arricchirlo, mentre, quasi a reagire alla loro mobilissima e raffinata pittura di tocco, Giorgio Valenzin, Remigio Butera, Girolamo De Stefani, Aldo Bergamini, Guido Carrer e Mario Dinon, vanno enucleando visioni più segreta e ferma espressività. Se per questi pittori sarà soprattutto Venezia con le sue lagune a costituire il riferimento più frequente, per altri artisti di grande sensibilità e raffinatezza come Orazio Celeghin, Luigi Cobianco, Juti Ravenna, saranno soprattutto Treviso, le sue strade, le sue abitazioni, i suoi giardini, unitamente all’ampio corollario delle sue campagne, dei suoi fiumi e dei suoi colli a offrire lo spunto per le loro equilibrate ricerche cromatiche e formali, ricerche che troveranno magistrale espressione anche nelle acutissime indagini grafiche e pittoriche di Giovanni Barbisan e di Lino Bianchi Barriviera. Un capitolo a parte meriterebbe poi un’indagine sui pittori legati alle proprie origini montanare: ci si dovrà limitare a documentare la dura consapevolezza esistenziale dei paesaggi di Fiorenzo Tomea, le robuste cadenze consapevolmente popolaresche e vernacole di Davide Orler, il sapido naturalismo di Luigi Cillo. Venezia è officina dell’arte che assorbe personalità di diversa tradizione. Quella ebraica di Giorgio Valenzin, o l’armena di Leone Minassian o quella dei confini orientali di Zoran Music.
Rimaniamo sempre in Veneto, ma ora trasferiamoci a Padova: presso il Palazzo Zabarella troviamo la rassegna dal titolo Il volto dell’Ottocento. Da Canova a Modiglioni. Canova e Modigliani. Due personalità diversissime tra loro, così come diversissimo è il mondo che rappresentano. Tra essi passa non più di un secolo, eppure in quei cento anni l’arte si è completamente rivoluzionata, così come si è rivoluzionato il modo di ritrarre l’essere umano. Ma in particolare nell’uomo è il volto che sa suscitare emozione e solo i grandi artisti sono capaci con un solo sguardo di dare storie, sentimenti, personalità..
Ad essere ritratti non sono re e regine, generali o prelati ma uomini e donne della borghesia, a rimarcare come la Storia sia fatta di tante, apparentemente piccole, storie. A Padova ecco allora una rassegna dedicata all’Ottocento e allo sviluppo del ritratto in quest’epoca, uno sviluppo sottolineato dall’accostamento di ritratti pittorici e scultorei. Si inizia con ritratti fatti da Appiani, Hayez, Piccio, Signorini; per giungere alle novità dei futuristi Balla, Boccioni, Severini fino all’originalità novecentesca di Modiglioni. Da semplici personaggi arriviamo ai ritratti dei grandi come Napoleone o Manzoni, dai giovani agli anziani, passando per tutte le condizioni sociali, umane e psicologiche.
Spostiamoci verso est e andiamo nella Venezia-Giulia, a Trieste e per la precisione nelle Scuderie del Castello di Miramare per la mostra Giorgio de Chirico. Un maestoso silenzio. Il percorso espositivo prende avvio dagli anni Dieci del XX secolo, con capolavori quali La grande Tour del 1915, Enigma della partenza del 1914, Tempio di Apollo a Delfi del 1909-1910, o Vaso di Crisantemi del 1912. Proprio quello della piazza rappresenta uno dei temi cardine della Metafisica: De Chirico libera questo spazio, tradizionalmente luogo d’incontro, e lo rende vuoto, quasi irriconoscibile, dove il passato e il presente s’intrecciano dando vita a un tempo sospeso, fino a diventare un palcoscenico popolato da Muse, Manichini, Statue, Oracoli, Arianne. In quegli anni, l’artista inseguiva un nuovo linguaggio che si differenziasse dagli stilemi impressionisti o dalle nuove ricerche cubiste e futuriste, e che lo portasse a una originale rappresentazione e a sintetizzare le suggestioni provenienti dalla cultura classica della natia Grecia, e dalla scoperta del pensiero di Nietzsche e Schopenhauer. De Chirico pone l’uomo, e non come forma, al centro dei propri lavori. Infatti se gli Impressionisti “fotografano” il mondo esterno come loro appare, se Picasso delinea un nuovo spazio non più prospettico e i Futuristi il moto universale, a lui preme rappresentare quelle sensazioni interiori che sono la linfa vitale dell’animo umano. Così dal palcoscenico delle sue piazze de Chirico prende oggetti reali, togliendo loro ogni funzione reale; struttura così un nuovo linguaggio, ovvero la Metafisica, che ha sì dato avvio al Surrealismo e ai suoi sviluppi, ma che si pone anche alla base di molte ricerche contemporanee. Negli anni Venti e Trenta de Chirico ha ampliato la propria indagine metafisica, mutando totalmente l’iconografia classica delle piazze, per giungere a felici invenzioni quali gli Archeologi, i Gladiatori, i Mobili nella valle o i Bagni misteriosi.
Da Trieste a Gorizia per una mostra che vuole presentare uno scrittore-filosofo quasi sconosciuto a cento anni dalla sua tragica morte, Carlo Michelstaedter. Il 17 ottobre 1910 un filosofo di ventitré anni muore suicida a Gorizia. Dopo pochi mesi i suoi compagni di studio pubblicano a loro spese le sue opere. Nel corso dei decenni successivi il suo nome diventa sempre più noto. Passa il secolo, passa il millennio e i testi di Carlo Michelstaedter vengono tradotti nelle principali lingue europee e pubblicati in vari continenti. Perché le sue opere e la sua vicenda personale sono diventati materia di studi e di tesi di laurea? Perché la sua tesi di laurea, diventata poi il libro La persuasione e la rettorica, ormai è considerato uno dei contributi più originali alla filosofia del Novecento? Credo che l’esame spietato della condizione umana di Carlo Michelstaedter riassuma in sé tutti i problemi, tutte le potenzialità di talento, creatività, immaginazione, onestà, capacità di lavoro, voglia di vivere dei giovani di questi ultimi cento anni. Ma qual è stato il contesto, l’humus peculiare in cui si è formata la figura di Carlo Michelstaedter? Nel primo decennio del Novecento erano sorti in Europa movimenti d’avanguardia assai significativi, il cui intento di fondo era quello di contrapporsi al passato, di superarlo con nuove e rivoluzionarie visioni del mondo e della vita. Essi costruiscono il loro pensiero scoprendo e trasmettendo quella grandissima cultura europea che diagnostica e porta a effetto la crisi del sapere e della sua organizzazione. Ibsen, forse il più grande poeta di quest’intuizione nichilista del conflitto fra la vita e la rappresentazione, appare come tragico demistificatore della “megalomania della vita” – com’egli diceva – che non permette la realizzazione dell’individuo e lo rende colpevole di quest’impossibilità. Ma che cosa sappiamo di questo giovane uomo, della sua vita, di ciò che l’ha portato al suicidio? Questa mostra, grazie anche ai molti documenti che la famiglia ha conservato, ce ne fornisce importanti testimonianze. Suddivisa in quattro percorsi fondamentali, la mostra è composta da oltre 250 pezzi che raccontano il mistero di una vocazione esuberante e tragica attraverso una rassegna straordinaria di dipinti, schizzi, fotografie, documenti, manoscritti, edizioni, cimeli, in parte inediti. Il percorso comincia da Gorizia, la “Nizza austriaca”, una città-giardino a misura d’uomo, circondata da dolci alture e sovrastata dal castello, sede di una comunità ebraica ristretta ma fiorente. La seconda parte del percorso è dedicata a Firenze dove Michelstaedter frequenta l’Istituto di Studi Superiori venendo a contatto con professori famosi e colti condiscepoli. Si scoprono le prime relazioni sentimentali e amorose di Carlo, rimaste sino ad ora in ombra. Nella terza parte il discorso ci riconduce a Gorizia dove Michelstaedter rientra definitivamente e, consegnata la tesi si laurea, il 17 ottobre 1910, si toglie la vita.
Il nostro giro d’Italia fa tappa ora in Emilia per due mostre fotografiche a Modena. La prima è allestita presso il Fotomuseo Panini ed ha come titolo La Persia Qajar 1848 – 1864 Fotografi italiani nell’Iran dell’Ottocento. L’iniziativa nasce dall’interesse rivestito dall’attività di un singolare gruppo di fotografi italiani che operarono nella Persia Qajar e la cui loro opera è oggi ancora largamente trascurata. L’identificazione, il recupero e lo studio del loro lavoro, ha consentito di aggiungere alla conoscenza della storia della rappresentazione fotografica un episodio singolare e di particolare significato, sia per la cultura fotografica italiana, sia per la vicenda fotografica iraniana. La presenza italiana in Persia ha giocato infatti un ruolo centrale fin dal periodo delle origini della fotografia, tracciando alcune delle prime e piuttosto rare testimonianze fotografiche di questo Paese. La produzione dei fotografi italiani in Persia nel periodo compreso tra il 1848 e il 1864, oltre a costituire la più precoce documentazione a noi nota, che rappresenta aspetti rilevanti del mondo cagiaro, si caratterizza anche per offrire l’esemplificazione di un caso, significativo per la storiografia fotografica, delle relazioni che hanno caratterizzato, in particolari ambiti produttivi, la formazione di modelli rappresentativi nati dalla negoziazione tra culture differenti.
La seconda mostra fotografica è invece presentata nella sede espositiva dell’Ex-Ospedale Sant’Agostino ed ha come titolo Breaking News. Fotografia contemporanea da Medio Oriente e Africa. In un percorso di oltre 115 opere, tra video, film, installazioni e fotografie che rimandano alla ricchezza di culture millenarie, Breaking News offre uno sguardo approfondito sulle criticità che, a partire da quest’area geografica, attraversano il mondo contemporaneo. Dominata per oltre un secolo dalle visioni prodotte dal colonialismo, l’Africa esprime oggi una molteplicità di voci creative capaci di indagare tanto i retaggi del passato quanto la complessità contemporanea, locale e globale. Se il ritratto, genere ampiamente praticato nel continente, è stato storicamente un mezzo per rivendicare un’identità autonoma, le immagini di Apagya e Fosso sembrano inserire la realtà africana nell’insieme del mondo globalizzato per giocare o mettere criticamente in discussione tutti gli stereotipi, mentre le opere video di Leye, muovendo da un’elaborazione delle teorie della Negritudine, ridicolizzano con ironia i preconcetti occidentali sull’Africa. Le fotografie di un nutrito gruppo di autori sudafricani delineano la parabola storica di un Paese che, uscito dall’apartheid con il sogno della Rainbow Nation di Nelson Mandela, si trova oggi ad affrontare nuovi problemi, tra i quali una fortissima disgregazione sociale e nuove forme di classismo. Anche il Medio Oriente presenta oggi una vivace scena artistica, capace di esprimere la complessità politica sociale e religiosa della realtà contemporanea, persino in contesti in cui la libertà d’espressione o il diritto all’esistenza stessa sono messi a dura prova. Il conflitto arabo-israeliano si impone quale oggetto di indagine nelle ricerche di diversi artisti che con linguaggi e approcci differenti ne indagano le implicazioni umane, sociali e simboliche: tra loro la videoartista israeliana Yael Bartana, i palestinesi Ahlam Shibli e Taysir Batniji, il libanese Akram Zaatari, l’egiziano Wael Shawky. Le rapide mutazioni vissute da alcuni dei paesi arabi e mediorientali negli ultimi decenni emergono dalle opere di artisti quali il siriano Hrair Sarkissian, le cui fotografie sono visioni, a cavallo tra il poetico e il documentario, dell’Armenia, il suo paese d’origine; o Yto Barrada, che sembra guardare il Marocco attraverso “buchi” aperti sulla memoria fotografica, e ancora Jinoos Taghizadeh che, con i suoi collages, riporta all’attualità dell’Iran e delle sue contraddizioni illibertarie. Il dilagare del fondamentalismo religioso, che da anni investe trasversalmente diversi paesi dell’area, è al centro infine della riflessione di Mounir Fatmi, il cui video sembra contrapporre all’attuale modello sociale e politico basato sulla violenza, il potere universale della cultura.
Arriviamo a Roma, traguardo del nostro viaggio tra mostre, per una rassegna imponente dedicata alle antiche popolazioni dell’America Centrale dal titolo Mexico. Teotihuacan la città degli Dei. La rassegna intende presentare al grande pubblico, e per la prima volta, la storia, l’arte e la cultura di uno degli imperi più prestigiosi, quanto misteriosi e affascinanti del centro America che, prima degli Aztechi, dominò l’intera area mesoamericana. Attraverso l’esposizione dei numerosi reperti, rinvenuti nel sito archeologico della città-capitale dell’impero, attualmente uno dei siti più importanti del Messico, il progetto espositivo mette i visitatori in contatto diretto con una delle società precolombiane i cui misteri ed enigmi, tuttora irrisolti, continuano a suscitare un fascino ineguagliato. Oltre 300 capolavori fra sculture, rilievi in onice e pitture murali, che riproducono elementi e credenze religiose e racconti mitici, statuette in ossidiana e pietra verde, vasi in terracotta dipinta o intarsiata, bracieri in terracotta con richiami antropomorfi, mitologici e rituali, testimoniano la raffinatezza, la creatività e la passione per l’arte e la decorazione, di un popolo la cui capacità espressiva, la sapienza, l’abilità e la cultura continua ad essere ammirata e studiata ancora oggi. Molto prima dell’avvento della civiltà europea sul suolo americano, Teotihuacan era conosciuta da tutti i popoli che abitavano nello stesso territorio e il rispetto per il suo nome si profuse in tutte le culture che occupavano quello che oggi è il Messico e parte dell’America centrale. L’origine di Teotihuacan si fa risalire intorno al II secolo d.C. nella zona centrale del Messico, ove si stabili e proliferò, fino a raggiungere nel corso dei secoli una popolazione di quasi 200.000 persone, ed estese il proprio dominio fino a comprendere la maggior parte dell’attuale Messico. La città di Teotihuacan raggiunse il culmine del suo splendore nel periodo compreso tra il 150 e il 450 d.C. L’impero eccelse in ogni genere di arte, spesso apportando soluzioni originali, ma anche rielaborando e diffondendo elementi che la capitale attraeva dal Mesoamerica e, attraverso l’importazione di materiali litici, anche dal grande Nord.
Michelangelo. Il piccolo Crocifisso ligneo di casa Buonarroti
Milano – Pinacoteca Ambrosiana
21 dicembre 2010 – 6 marzo 2011
Orari: martedì – domenica 10.00-18.00, chiuso lunedì
Biglietti: 10€ intero (ci sono sconti per famiglie e per itinerario scelto)
Informazioni: www.ambrosiana.eu
Yvan Salomone. Rear View Mirror
Milano – Galleria Gruppo Credito Valtellinese (C.so Magenta 59)
26 gennaio 2011 – 16 marzo 2011
Orari: martedì – domenica 10.00-18.00
Biglietti: 4€
Informazioni: www.creval.it
Boris Koller. Abissi
Milano – Barbara Frigerio Conntemporary Art (Via Fatebenefratelli 13)
17 febbraio 2011 – 12 marzo 2011
Orari: martedì – sabato 10.00-13.00/16.00-19.30 chiuso lunedì
Ingresso gratuito
Informazioni: www.barbarafrigeriogallery.it
Rodin. Le origini del genio(1864-1884)
Legnano (Mi) – Palazzo Leone da Perego
20 novembre 2010 - 20 marzo 2011
Orari: martedì – domenica 9.30-19.00, chiuso lunedì
Biglietti: 9€ intero, 7€ ridotto
Informazioni: www.mostrarodin.it
Nel paesaggio tra Venezia e le Dolomiti. Springolo, de Pisis, Cadorin, Barbisan, Pizzicato, Music, Zigaina
Pieve di Soligo (Tv) – Villa Brandolini
21 novembre 2010 – 27 febbraio 2011
Orari: venerdì 15.00-19.00; sabato e domenica 10.00-13.00/15.00-19.00 Informazioni: tel 0438 985335
Il volto dell’Ottocento. Da Canova a Modigliani
Padova – Palazzo Zabarella
2 ottobre 2010 – 27 febbraio 2011
Orari: tutti i giorni 9.30-19.30
Biglietti: 10€ intero, 8€ ridotto
Informazioni: www.palazzozabarella.it
Giorgio de Chirico. Un maestoso silenzio
Trieste – Scuderie del Castello di Miramare
3 dicembre 2010 – 27 febbraio 2011
Orari: tutti i giorni 9.00-19.00
Biglietti: 8€ intero, 6€ ridotto
Informazioni: www.castello-miramare.it
Carlo Michelstaedter. Far di se stesso fiamma
Gorizia – Fondazione Cassa di Risparmio di Gorizia
17 ottobre 2010 – 27 febbraio 2011
Orari: martedì-venerdì 10.00 – 13.00/16.00–19.00, sabato e domenica 10.00- 19.00 chiuso lunedì
Ingresso libero
Informazioni: www.fondazionecarigo.it; www.isontina.librari.beniculturali.it
La Persia Qajar 1848 – 1864 Fotografi italiani nell’Iran dell’Ottocento
Modena – Fotomuseo Giuseppe Panini
27 novembre 2010 – 13 marzo 2011
Orari: martedì – venerdì 9.30-12.00/ 15.00-17.00; sabato-domenica 10.00-13.00/15.00-19.00
Ingresso gratuito
Informazioni: www.fotomuseo.it
Breaking News. Fotografia contemporanea da Medio Oriente e Africa
Modena – Ex-Ospedale Sant’Agostino
28 novembre 2010 – 13 marzo 2011
Orari: martedì – domenica 11.00-19.00; chiuso lunedì
Ingresso gratuito
Informazioni: www.mostre.fondazione-crmo.it
Mexico. Teotihuacan la città degli Dei
Roma – Palazzo delle Esposizioni
9 novembre 2010 – 27 febbraio 2011
Orari: domenica, martedì, mercoledì e giovedì 10.00-20.00; venerdì e sabato 10.00-22.30; chiuso lunedì
Biglietti:12€ intero, 10€ ridotto
Informazioni: www.palazzoesposizioni.it