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Mostre di Novembre 2012

Autore:
Roda, Anna
Fonte:
CulturaCattolica.it

Proposte in gran parte moderne e contemporanee quelle che proponiamo ai nostri lettori per il prossimo mese di novembre. Tranne la prima rassegna, realizzata ad Avellino, tutte le altre trattano di temi d’arte e storia in Alta Italia.

Ad Avellino, in un contesto museale veramente suggestivo, l’ex Carcere Borbonico, è stata realizzata una mostra che vuole valorizzare l’arte della vasta area attorno alla cittadina, chiamta Terra di Mezzo. La Mostra, attraverso circa ottanta opere, selezionate tra dipinti e sculture provenienti da tutto il territorio provinciale in una ragionata successione cronologica dal Medioevo al Barocco, racconta la storia dell’arte irpina, mettendo in evidenza un vero e proprio patrimonio culturale misconosciuto, spesso ignorato, che grazie anche ad una serie di iniziative sul territorio, viene posto sotto attenzione e considerazione. Per la prima volta, viene offerta la possibilità di ammirare in un unico contesto omogeneo opere d’arte di grande qualità estetica ed alto valore culturale della Terra di Mezzo, l’Irpinia, terra di passaggio obbligato tra il Tirreno e l’Adriatico. La finalità del progetto Capolavori della Terra di Mezzo. Opere d’arte dal Medioevo al Barocco è stata quella di favorire la divulgazione del racconto della Campania, vista dal palcoscenico irpino, degli eventi, della produzione artistica e culturale dal medioevo al barocco e di promuoverne la sua conoscenza ai fini dello sviluppo di un turismo culturale di qualità attraverso un’attività di conservazione, promozione e valorizzazione di un circuito di risorse cosiddette minori. Il filo conduttore dell’evento Capolavori dalla Terra di Mezzo. Opere d’arte in Irpinia dal Medioevo al Barocco è la storia dell’arte irpina, dei suoi luoghi, dei suoi protagonisti, dei suoi artisti ed artigiani che attraverso la realizzazione del progetto diventano studio appassionato, progetto di conoscenza e promozione di una storia affascinante e ricca di avvenimenti che, in definitiva, costituisce un tassello di non poco conto nel racconto della storia della Campania.

Dalla Campania giungiamo ora a Firenze per una mostra interessante, tra la storia e l’etnografia dal titolo La nuova frontiera. Storia e cultura dei nativi d’America dalle collezioni del Gilcrease Museum. Nel 2012 ricorre il quinto centenario della morte di Amerigo Vespucci, uno degli scopritori del continente americano, e soprattutto colui che gli ha conferito il nome.
Firenze vuole ricordare il grande navigatore nato appunto in questa città nel 1454, con una mostra dedicata alla civiltà del popolo indigeno del Nord America, ed in particolare di quelle terre dove dal Seicento, fino a tutto l’Ottocento, i colonizzatori europei penetrarono nella loro avanzata verso l’occidente. Per la realizzazione di questo ci si è avvalsi della collaborazione del Gilcrease Museum di Tulsa, in Oklahoma, uno dei musei più importanti per la ricchezza di testimonianze storiche del continente nord-americano e per la più grande collezione di manufatti d’arte e artigianato relative alla storia del West americano. Fondato nel 1949 dal petroliere Thomas Gilcrease, della nazione indigena Muscogee della popolazione dei Creek, il museo costituisce un unicum nel panorama americano per l’eccezionale vastità delle sue collezioni raccolte in gran parte dal suo stesso fondatore, animato da un profondo interesse per la storia dei suoi antenati e delle altre popolazioni indigene. L’esposizione fiorentina presenta una scelta dei pezzi più preziosi e significativi del museo americano mettendo in luce le varie fasi della scoperta dell’America e della sua colonizzazione; attraverso una mappa su cui sono localizzati gli insediamenti delle maggiori tribù prima e dopo l’esodo dalle loro terre. In questa stessa sezione vengono toccati aspetti come l’organizzazione sociale delle tribù prima della colonizzazione e la successiva contaminazione della cultura indiana con la cultura occidentale; particolare attenzione avranno le testimonianze iconografiche dei primi del Novecento di un grande fotografo ed etnologo statunitense, Edward Curtis, che si dedicò a documentare la civiltà dei nativi ormai a rischio di estinzione.
Uno dei luoghi più suggestivi della mostra è costituito dal soffitto con l’affresco settecentesco del pittore di corte medicea Anton Domenico Gabbiani, dove si celebra Amerigo Vespucci accanto a Galileo Galilei, con allusioni alla scoperta del Nuovo Mondo ed ai suoi abitanti. Questa che è la sezione più importante e dal taglio antropologico, espone manufatti delle varie Nazioni indigene, oggetti d’uso e cerimoniali: i ben noti caschi piumati, vasellami, armi, gioielli delle più varie forme, tipologie e materie, quali collane fatte con zanne e unghie di animali, splendidi abiti in pelle animale con vivaci decori realizzati il più delle volte con perline di vetro dai colori brillanti, e altri capi d’abbigliamento maschile e femminile. Come ricco corredo iconografico, alle pareti si potranno vedere esposti dipinti, sculture e fotografie del XVIII e XIX secolo, eseguiti da artisti che entrati in stretto contatto con i nativi ne hanno rappresentato la vita quotidiana.

La nostra proposta si affaccia ora a Venezia con una imperdibile rassegna dedicata a Francesco Guardi, uno de pittori più importanti del Settecento lagunare. la Fondazione Musei Civici di Venezia dedica un’ampia retrospettiva che testimonia – con una ricchezza di prestiti mai vista in precedenza e con opere in alcuni casi per la prima volta esposte insieme – la lunga e complessa parabola artistica di uno degli ultimi grandi maestri della pittura veneta. Un itinerario insieme cronologico e tematico che si sviluppa attraverso settanta dipinti e altrettanti disegni, scelti per il loro particolare valore qualitativo e storico, all’interno di un corpus assai vasto ed eterogeneo che va dalle meno note opere giovanili di figura, ispirate alla pittura di costume ai dipinti sacri alle prime vedute, dai paesaggi e capricci, in cui risalta la sua originalità rispetto agli altri maestri veneti alle tele che immortalano le feste e le cerimonie della Serenissima, fino alle splendide vedute di Venezia degli anni della maturità, dove il suo stile personalissimo si fa sempre più libero e allusivo. La prima parte dell’esposizione è dedicata sulla produzione di opere di figura, in particolare scene di vita quotidiana contemporanee al pittore, poi troviamo la sezione riguardante i paesaggi di fantasia, capricci e le prime vedute, mentre la terza parte ci mostra un Guardi cronista delle grandezze della Repubblica, con la realizzazione di quadri con le feste e le celebrazioni della grandezza della Serenissima.

Arriviamo ora a Milano per due mostre. Una presso una nuova sede espositiva a due passi dal Duomo, in cui è allestita una mostra dedicata al Divisionismo e ai suoi protagonisti. In essa si ripercorrerà gli sviluppi in terra lombarda del Divisionismo, movimento artistico che nasce a cavallo tra Ottocento e Novecento in piena autonomia rispetto al Neoimpressionismo francese e che ha proprio a Milano il suo centro propulsore a partire dalla prima esposizione del 1891 alla Triennale di Brera. Il percorso si apre con Alpe di Maggio di Segantini (1894), dipinto assai rappresentativo della sua produzione e della spiccata tendenza all’allegoria e al simbolismo.
Il tema delle montagne, infatti, è un leitmotiv nelle opere del pittore, che nel 1886 lascia l’Italia per trasferirsi a Savognino, nel cantone Grigioni, e da lì nel 1894 sceglie poi l’Engadina come dimora sino al giorno della sua morte, che lo coglie sulle vette del rifugio Schafberg – poi ribattezzato Capanna Segantini – dove si era spinto per dipingere il celebre Trittico della Natura, rimasto incompiuto. Altra opera chiave della produzione divisionista è il pannello sinistro del pentittico L’Amore nella vita (1901-1902) di Pellizza da Volpedo. Realizzato nel periodo successivo al compimento e alla prima esposizione pubblica de Il Quarto Stato ma rimasto incompiuto, costituisce uno dei punti di arrivo delle ricerche del pittore sulla luce e sulla scomposizione dei colori ed esprime l’attenzione di Pellizza per la compenetrazione tra uomo e natura. L’itinerario prosegue con L’ultima battuta del giorno che muore e Varenna vista da Fiumelatte di Grubicy de Dragon, pittore, teorico e mercante a cui si deve la diffusione del movimento all’estero attraverso i suoi scritti. Per la prima volta verrà presentata la grande tela Il presagio di Carlo Fornara il cui soggetto, quasi un omaggio al Trittico della Natura di Segantini, è appunto quello della continua rinascita della natura, che si rigenera nel suo ciclo interminabile. La rassegna continua con opere di Emilio Longoni e Angelo Morbelli, tra cui Inverno al Pio Albergo Trivulzio, dove l’artista alessandrino raffigura i vecchi emarginati, ricoverati in ospizio in condizioni di degrado, soggetto su cui ritornerà più volte a partire dal 1883, quando i temi pittorici di Morbelli si orientano verso l’interpretazione della realtà. La tecnica divisionista, definita proprio da Morbelli "la prospettiva dell’aria", nasce dall’esigenza di rappresentare gli effetti della luce del sole attraverso l’accostamento dei colori puri non mescolati sulla tavolozza e applicati sulla tela a piccoli tratti, in modo filamentoso. Secondo tale principio, sarà poi l’occhio dell’osservatore a dover ricomporre tonalità e sfumature con l’acquisizione "naturale" delle tinte a livello retinico. Per Gaetano Previati, “compito dell’artista non è quello di copiare letteralmente tutto ciò che si vede, ma è una funzione intellettiva sulle forme e i colori del vero”. Questa ricerca prende spunto dalle teorie ottiche di Michele Eugene Chevreul (1786-1889), scienziato che studiò i rapporti reciproci dei colori e la loro classificazione influenzando fortemente la storia dell’arte. I valori formali divisionisti daranno all’arte italiana un contributo fondamentale, poiché da questi muoveranno giovani artisti come Balla, Boccioni, Carrà, Severini che daranno poi origine al Futurismo, adottando la separazione del colore come mezzo per esprimere la dinamica del movimento. Il Divisionismo costituirà un passaggio obbligato non solo per i futuristi, ma per molti altri pionieri della pittura che agli inizi del XX secolo saranno impegnati in diverse esperienze d’avanguardia.

Presso il Palazzo Pirelli troviamo invece una mostra dedicata a Salvatore Fiume dal titolo Le identità di Salvatore Fiume, con ben 50 opere – 25 dipinti, 15 disegni, 5 sculture e 5 ceramiche – in grado di tracciare una sintesi della produzione artistica di Fiume nella pittura, nel disegno, nella scultura e nella ceramica tra gli anni Quaranta e gli anni Novanta del secolo scorso, dimostrando come la sua personalità, pur rimanendo intatta nel corso degli anni, si evolse costantemente, concependo nuovi temi e sperimentando nuove tecniche. Il percorso espositivo si snoda in due sezioni distinte: nella prima, s’incontreranno lavori realizzati tra gli anni ’40 e gli anni ’60, precedenti alla ‘rivoluzione’ stilistica che fece seguito al suo viaggio a Londra nella metà degli anni ’60, mentre, nella seconda, si vedranno opere eseguite nel successivo trentennio.
La rassegna si apre con Cristo deriso dai soldati, un olio su masonite del 1946, firmato con lo pseudonimo di Francisco Queyo, un pittore gitano mai esistito, dietro il quale Fiume si nascose in attesa che la sua pittura di allora, ispirata al Quattrocento italiano e alla Metafisica di de Chirico e Savinio, raccogliesse i consensi che fino a quel momento non aveva ricevuto. Il successo che i dipinti firmati F. Queyo – ispirati al folklore e alla tradizione spagnola – ottennero alla mostra tenuta alla Galleria Gussoni di Milano nel 1948, fu straordinario. Tutti i quadri vennero acquistati e un autorevole critico come Leonardo Borgese scrisse che molti artisti italiani avrebbero dovuto prendere ispirazione dal maestro spagnolo. L’itinerario prosegue con 8 opere degli anni ‘40 e ‘50, ascrivibili al ciclo delle Città di statue, in cui è manifesta l’influenza dell’arte rinascimentale italiana, come quella delle ricerche metafisiche di de Chirico, Savinio e Carrà. Fiume propose – questa volta firmando col suo vero nome – questi lavori alla Galleria Borromini di Milano nel 1949, riuscendo a impressionare l’allora direttore del MOMA di New York, Alfred Barr, che decise di acquistarne uno, da allora conservato nelle collezioni del museo americano. Le Città di statue contenevano degli elementi di novità, non solo rispetto alla pittura, ma anche rispetto a un ideale architettonico che prefigurava i futuri progetti di Fiume, costituiti da edifici geometricamente antropomorfi e zoomorfi. La partecipazione alla Biennale d’Arte di Venezia del 1950 segnò l’incontro con Gio Ponti con il quale Fiume iniziò una lunga collaborazione che lo portò a realizzare enormi dipinti per i transatlantici di cui Ponti avrebbe curato gli allestimenti. In quello per il transatlantico Andrea Doria (48 m x 3) Fiume riprodusse svariati capolavori presenti nel nostro paese allo scopo di offrire ai viaggiatori diretti in Italia un’anticipazione di ciò che avrebbero ammirato dal vivo. Fiume creò una serie di spazi (piazze, vie, loggiati) nei quali inserì riproduzioni di opere di Giorgione, Verrocchio, Donatello, Raffaello, Leonardo, Tiziano, Michelangelo e molti altri. In mostra vi sarà il bozzetto di uno dei grandi pannelli che decoravano il salone di prima classe dell’Andrea Doria, affondata nel 1956. Ponti, da grande appassionato di ceramica, e raffinato ceramista egli stesso, apprezzava molto i lavori che Fiume realizzava con questo materiale, e li inserì spesso tra i suoi arredi. A Palazzo Pirelli si troveranno due piatti e tre sculture, tutti del periodo ‘metafisico’. La prima parte dell’esposizione si chiuderà con il ciclo ispirato alla cultura Beat. Alla metà degli anni Sessanta, infatti, Fiume è a Londra, durante la straordinaria stagione della Swinging London. In quel vivace clima culturale nascono opere caratterizzate da una nuova libertà espressiva, evidente soprattutto in quelle realizzate su carta da parati o nei collage, composti da elementi estranei al linguaggio rigorosamente pittorico e che si discostano dai temi trattati da Fiume fino ad allora. Un capitolo importante della rassegna milanese sarà dedicato alla figura femminile. In particolare, i due dipinti del 1957 e 1958, ispirati al tema della Donna e toro e della Donna e gallo entrambi caratterizzati da un’inedita sensualità, introducono un nuovo passaggio nell’arte di Fiume, sul piano della trasformazione tematica e su quello evolutivo della materia pittorica che, per la prima volta, si fa più luminosa, corposa ed espressiva, grazie anche alle stratificazioni e alle trasparenze ottenute con l’uso della spatola.

Da ultimo trasferiamoci a Parma per una mostra monografica dedicata ad un grande pittore inglese Sutherland (1903-1980). Considerato, al pari dell’amico-rivale Francis Bacon, uno dei capiscuola della pittura britannica contemporanea, molto amato dai più importanti critici della seconda metà del Novecento – quali Francesco Arcangeli, Roberto Tassi, Giovanni Testori – Sutherland viene riportato all’attenzione del pubblico e della critica per iniziativa della Fondazione Magnani Rocca di Mamiano di Traversetolo (Parma) attraverso un’attenta selezione di opere, provenienti da collezioni riservate e in parte mai esposte, che documentano il suo percorso d’artista. Inizia come incisore e insegnante alla Scuola d’Arte di Chelsea. Avvia il proprio lavoro d’artista con grande interesse per il paesaggio, in particolare del Galles, conducendo una lettura critica della tradizione pittorica, senza allontanarsene ma affrontandola dall’interno. Dal 1940 al 1945 viene infatti incaricato ufficialmente di testimoniare in pittura gli orrori del conflitto come “artista di guerra” insieme a Moore e Nash. Nascono così le Devastations, visioni fosche e allucinate delle città inglesi ferite dai bombardamenti, nelle quali affiorano nuove forme create dal sovvertimento bellico, vero oggetto dell’indagine dell’artista; molte di queste opere sono presenti in mostra. Come riflessione tragica al termine di questo periodo si dedicherà a soggetti religiosi, in particolare alla passione e alla crocifissione di Cristo, icone del destino umano, giungendo a realizzare la nota Crocifissione per la chiesa di St. Matthew di Northampton e, più avanti, l’arazzo del Cristo in gloria nella cattedrale di Coventry. Fama e riconoscimenti gli vengono tributati già a partire dall’immediato dopoguerra con mostre ed eventi a livello internazionale. L’impegno come artista di guerra l’aveva distolto momentaneamente dal primario interesse per la natura, in virtù del quale si autodefinisce erede spirituale di John Constable; prosegue la sua ricerca nel sud della Francia. Proposito di Sutherland è rivelare la verità che si cela nelle cose, la pittura è il suo strumento di delazione. È così che egli si dedica a raffigurare brani di natura in parafrasi, destrutturata, riassemblata, reinterpretata, privata della sua riconoscibilità comune e presentata come un infinito e bizzoso mutante, pervicacemente intenzionato a nascondere la propria identità autentica. Lavora su un’idea di paesaggio dove le forme vegetali e minerali vengono trasformate in icone totemiche – le Standing Forms degli anni Cinquanta – che emergono minacciose dal fondo in un’atmosfera densa di suggestioni psicoanalitiche. Dipinge senza gli infingimenti propri del naturalismo tradizionale, rassicurante anche nel rappresentare una tempesta, lasciando intendere di possedere il potere terribile di aprirci gli occhi, di farci conoscere le forme vere e le intenzioni spietate della natura, i suoi disegni oscuri e devastanti, il suo potere assoluto e ineffabile. Il pittore avverte che le forme naturali che appaiono ai nostri occhi avidi di bellezza non sono che abbagli emotivi, ricostruzioni mentali imposte dal nostro bisogno di sicurezza; la realtà è destabilizzante, non prodiga di leggiadria, ma dura e meccanica, una romantica “terribilità” anti-sublime nella sua naturalistica spietatezza, minaccia reale e non soltanto turbamento letterario. Sutherland coglie questa capacità metamorfica e dipingendola affronta un’indagine sulla vita organica in cui è racchiuso il mistero dell’esistenza; analizzando le forme, ne riconosce il senso ambiguo, disturbante, crudele, ma ponendole in contrasto con l’intensità e a volte con la dolcezza cromatica, ne sa estrarre tutta la poesia e il dramma, con una stratificazione e una complessità formale che gli consentono di dar vita a un immaginario surreale a volte cupo a volte fantastico. Curiose creature nate da strane metamorfosi, dopo alcuni esempi già alla fine degli anni Quaranta, compongono il primo Bestiario realizzato nel 1968 a cui segue quello del 1979 dedicato all’opera di Apollinaire; risulta evidente la suggestione che l’artista subisce dalle figurazioni animali della scultura romanica, coi suoi esemplari prepotenti, terrestri e misteriosi, provenienti da una realtà fantastica ma non divina, simboli unitari di esperienza e invenzione.

Capolavori della Terra di Mezzo: opere dal Medioevo al Barocco
Avellino – Complesso Monumentale ex Carcere Borbonico
28 aprile 2012 – 30 novembre 2012
Informazioni: www.capolavoridellaterradimezzo.it

La nuova frontiera. Storia e cultura dei nativi d’America dalle collezioni del Gilcrease Museum
Firenze – Palazzo Pitti
3 luglio 2012 – 9 dicembre 2012
Orari: aperto tutti i giorni ad eccezione del primo e dell’ultimo lunedì 8.15-16.30l mese
Biglietti: 10€ intero, 5€ ridotto
Informazioni: www.unannodarte.it

Francesco Guardi (1712 – 1793)
Venezia – Museo Correr
29 settembre 2012 – 6 gennaio 2013
Orari: tutti i giorni 10.00-19.00
Biglietti: 12€ intero, 10€ ridotto
Informazioni: www.correr.visitmuve.it

Divisionismo da Segantini a Pellizza
Milano – GAM Manzoni (Via Manzoni 45)
19 ottobre 2012 – 23 dicembre 2012
Orari: martedì – sabato 10.00-13.00/15.00-19.00
Ingresso libero
Informazioni: www.gammanzoni.com

Le identità di Salvatore Fiume
Milano – Palazzo Pirelli
24 ottobre 2012 – 23 dicembre 2012
Orari: lunedì – venerdì 15.00-19.00
Ingresso libero

Sutherland. Il pittore che smascherò la natura
Mamiani di Traverseolo (PR) – Fondazione Magnani Rocca
8 settembre 2012 – 9 dicembre 2012
Orari: martedì – venerdì 10.00-18.00; sabato, domenica e festivi 10.00-19.00, lunedì chiuso
Biglietti: 9€ intero, 5€ ridotto
Informazioni: www.magnanirocca.it
lunedì del mese

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