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Febbraio 2013. Mostre

Autore:
Roda, Anna
Fonte:
CulturaCattolica.it

Molte ed alcune imperdibili le mostre che vogliamo segnalarvi per febbraio, a partire da Milano per arrivare addirittura in Sardegna.

Le nostre proposte cominciano da Torino con una mostra insolita dedicata allo specchio, la prima del suo genere in Italia, che intende far conoscere al grande pubblico il fascino e l’importanza di questi capolavori di tecnica metallurgica, che non si limitano a costituire uno dei più importanti capitoli della storia artistica cinese ma stimolano la riflessione sulle differenze e i parallelismi tra Oriente e Occidente in un ambito culturalmente significativo. Lo specchio è un oggetto da toeletta comunemente adoperato dalle più diverse culture del pianeta, ognuna delle quali lo ha caricato – nel corso del tempo e in misura diversa l’una dall’altra – di significati e implicazioni simboliche che finiscono per esulare dall’uso pratico e sconfinano spesso nel campo delle superstizioni, della magia, della psicologia, della spiritualità. Ovunque nel mondo, sono ovviamente le stesse proprietà riflettenti dello specchio, la sua capacità di essere un universo ‘altro’, simile e allo stesso tempo profondamente diverso da quello nel quale viviamo, a facilitare parallelismi e analogie, a stimolare fantasie, a suscitare timori o fascinazioni. Nella sola cultura occidentale, la parola ‘specchio’ comporta un’infinità di associazioni mentali in campo mitologico, letterario, artistico, religioso quali pochi altri oggetti della nostra vita quotidiana possono vantare. Possiamo facilmente immaginare come in altri universi culturali, come quello asiatico, le implicazioni possano essere altrettanto ricche e complesse. Ma si dimentica spesso che lo specchio è composto da un recto e da un verso, il secondo di solito non dotato delle qualità riflettenti del primo e quindi meno carico, almeno in Occidente, di implicazioni simboliche. In Asia orientale invece si è prestata eguale attenzione ad entrambe le facce, con il retro che diventa il supporto privilegiato per raffigurazioni che dialogano – seppur su piani concettuali e formali diversi – con la simbologia inespressa della parte specchiante.

Giungiamo ora a Milano, ricca di significative manifestazioni.
La prima mostra che vogliamo segnalare è quella che la città offre per i 1700 anni del cosiddetto Editto di Costantino, emanato proprio nella capoluogo lombardo, allora una delle capitali dell’impero. Tali disposizioni imperiali assicuravano la liceità del cristianesimo e di tutte le altre fedi religiose in tutto l’impero romano. L’esposizione vuole richiamare l’importanza della città di Milano nel IV secolo al centro del processo di unificazione dell’Europa e il livello culturale e artistico raggiunto dall’Impero all’età di Costantino.Le sei sezioni del percorso espositivo illustrano l’aspetto di Mediolanum, sede imperiale, nel IV secolo d.C, la trasformazione dell’Impero operata da Costantino, dalle ultime persecuzioni alla sua scelta di rendere lecito il cristianesimo, sotto il segno del Chrismon, e la diffusione del simbolo, formato dall’incrocio delle due lettere iniziali del nome di Cristo (Xi e Rho), raffigurato su monete e su oggetti preziosi e d’uso comune in tutto l’Impero. Segue una sezione dedicata alle testimonianze figurative pagane di età costantiniana che documentano il clima di tolleranza culturale voluto dall’imperatore. Con particolare attenzione vengono raccontati i principali protagonisti del mondo di Costantino:l’esercito con una affascinante parata di armi della cavalleria imperiale, la chiesa con i primi luoghi di culto del cristianesimo ufficiale, la corte documentata da una galleria di ritratti imperiali e da splendidi oggetti d’arte che ci restituiranno la realtà della vita dell’epoca. La mostra si conclude con una spettacolare sezione relativa alla figura di grande modernità di Elena madre di Costantino imperatrice e santa. Il suo volto, i suoi viaggi alla ricerca della Croce e la sua fama in età moderna vengono documentati da grandiose statue-ritratto, raffinati oggetti, disegni e dipinti.
Altra mostra importante, anche se non molto grande, è quella che il museo Poldi Pezzoli dedica alla raffigurazione dell’Imago Pietatis. La mostra illustra l’evoluzione formale dell’iconografia della Pietà nella produzione giovanile di Giovanni Bellini tra il 1457 circa e il 1470 circa attraverso l’esposizione, uno a fianco dell’altro, di quattro straordinari capolavori dell’artista raffiguranti questo soggetto conservati al Museo Poldi Pezzoli, all’Accademia Carrara di Bergamo, al Museo Correr di Venezia e al Museo della Città di Rimini. Lo schema figurativo dell’Imago Pietatis, nato in ambito bizantino in età medievale, viene aggiornato e sviluppato dall’artista veneziano grazie alla raffigurazione naturalistica del corpo di Cristo, all’aggiunta del paesaggio come sfondo della scena e all’introduzione di altri personaggi sacri accanto alla figura di Gesù. Il confronto fra queste opere permette di comprendere pienamente e analizzare la maturazione del linguaggio artistico di Giovanni Bellini, dall’iniziale influsso di Mantegna e Donatello alla piena formulazione del suo stile personale. Le opere presenti in mostra potranno stimolare riflessioni sul valore della bellezza in Giovanni Bellini e prestarsi anche a un percorso di carattere religioso, che toccherà i temi della pietas, della devozione e della penitenza. Nella mostra sono inoltre presentate al pubblico e valorizzate le opere del Rinascimento veneto del Museo Poldi Pezzoli realizzate nel terzo quarto del Quattrocento, come la Madonna in trono con il Bambino e angeli di Antonio Vivarini, la piccola Deposizione dipinta su pergamena di Lazzaro Bastiani, la Madonna con il Bambino dello stesso artista e la Crocefissione di Alvise Vivarini, che dimostrano quanto l’innovativo linguaggio artistico belliniano influenzò gli altri maestri veneziani suoi contemporanei. Questi dipinti furono acquistati da Gian Giacomo Poldi Pezzoli tra il 1855 e il 1879: la mostra è anche l’occasione per approfondire e mettere meglio a fuoco il gusto e gli interessi collezionistici del nobile milanese, intimamente legati alla parallela riscoperta del Rinascimento veneto da parte della nascente disciplina storico-artistica.
Spostiamoci ora verso un artista poco notò che la Fondazione Bracco ha avuto il merito di rispolverare dalla dimenticanza. Presso la prestigiosa sede di Palazzo Morando troviamo una mostra mono grafica dedicata ad Angiolo D’Andrea (1880-1942). La rassegna propone un percorso espositivo che conta oltre centoquaranta opere tra dipinti, disegni e decorazioni, che vuole restituire il ritratto e l’opera di un artista poco conosciuto,che pure fu protagonista della vivace stagione artistica dei primi decenni del XX secolo. Nei primi quarant’anni del Novecento D’Andrea ha conquistato lusinghieri riconoscimenti di critica e di mercato, in Lombardia soprattutto e in particolare a Milano, dove visse dal 1906, partecipando alle Esposizioni Nazionali di Brera ed esponendo nell’importante Galleria Pesaro. A Milano realizzò anche alcuni interventi nell’ architettura, fra cui le decorazioni di Palazzo Berri-Meregalli in via Cappuccini, il Caffè Camparino in Galleria Vittorio Emanuele II e un ciclo di vetrate per la cappella e il salone dei benefattori del Nuovo Ospedale Maggiore di Niguarda. Nel 1922 espose alla Biennale di Venezia il dipinto “Gratia plena”.Nel salvataggio della collezione di D’Andrea, ruolo fondamentale fu svolto dal commendator Elio Bracco di Milano, industriale farmaceutico e nonno di Diana Bracco: poco prima della morte del pittore, Elio Bracco,suo estimatore e amico, acquistò in blocco le molte opere ancora presenti nello studio milanese nella speranza di realizzare una grande mostra dedicata al pittore, allora impedita dalla guerra e ora finalmente realizzata grazie anche al contributo degli eredi dell’artista e arricchita di quindici opere di provenienza museale: quattro dipinti dalla collezione permanente di Palazzo Morando; due dal Museo del Novecento di Milano; uno dalla Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi di Piacenza; otto disegni dal Mart di Rovereto. Una mostra unica, articolata, eclettica che conduce il visitatore in un itinerario che dai soggetti simbolici approda alla spiritualità sottesa nel mondo naturale,invita alla contemplazione di vedute e paesaggi, per poi soffermarsi su istantanee dolorose della Grande Guerra, restituendo infine la percezione della figura femminile, tra eros e maternità,e le suggestioni del genere con i coloratissimi fiori e le preziose nature morte. Un retrospettiva dedicata ai Milanesi, ai Lombardi, agli Italiani e non, agli appassionati d’arte, una mostra che si propone di rispondere finalmente a tutti coloro che, passeggiando nel centro di Milano, hanno fatto una sosta al Caffè Camparino e, osservandone le bellissime decorazioni, si sono chiesti chi ne fosse l’autore.
Dedichiamoci ora a due mostre fotografiche: la prima si trova presso il Centro Culturale di Milano. Si tratta di un reportage sul contesto umano e naturale del Gange e dei suoi affluenti realizzato dal fotografo emergente Giulio Di Sturco. Il fotografo rivela grandi capacità nel coglierlo scorrere delle acque in simbiosi fraterna con lo scorrere del destino degli uomini che abitano le sue sponde. Dalle 40 opere esposte emerge la sorte comune dell’uomo e del fiume, un rapporto certe volte di irresponsabilità che ne segnala un’estraneità e certe altre di accoglienza della sua forza che ne rivela il senso profondo della vita.”Il Gange – ci riporta Di Sturco – è fonte primaria di acqua, energia e cibo per più di un terzo della popolazione indiana, il suo ecosistema, inoltre, include tra le più numerose specie animali e vegetali. Nonostante ciò ad oggi è uno dei fiumi più inquinati al mondo danneggiando così la salute dell’uomo e intossicando l’ambiente che lo circonda”.
La seconda mostra è dedicata al poeta greco Ghiorgos Seferis propone una selezione di fotografie scattate dallo stesso poeta e provenienti dall’Archivio Fotografico Ghiorgos Seferis donato nel 1984 e interamente conservato dalla Fondazione Culturale della Banca Nazionale di Grecia. Si tratta di una corposa raccolta di negativi di fotografie, spesso corredati da commenti autografi dell’autore in Albania, a Cipro e in Medio Oriente, a cui si aggiungono i ritratti fotografici di personalità dell’epoca.

Arriviamo a Mantova, presso il Centro Espositivo di Palazzo Te con una mostra dedicata al Collezionismo d’arte delle banche, rispetto all’arte del Novecento. La mostra intende anzitutto documentare le strategie degli istituti bancari nella promozione dell’arte contemporanea attraverso il caso esemplare della collezione appartenente a Banca Monte dei Paschi di Siena, nella quale sono confluite le opere della Banca Toscana. L’ingresso in Banca Toscana di un nutrito gruppo di artisti del Novecento coincide con la ripresa, in sede storiografica, dell’interesse per l’arte italiana negli anni fra le due guerre, un periodo sul quale era pesata a lungo l’ipoteca di una contaminazione col regime fascista. Gli acquisti datano infatti a partire dal 1979, proprio quando le indagini degli studiosi consentivano di recuperare opere ed artisti di alto livello qualitativo e dimensione culturale europea, ed a quel rinnovamento degli studi corrispose un mutamento della strategia collezionistica della Banca Toscana. Fino a quella data, le opere di Vagnetti, Moses Levy, Viani, Conti, Peyron, Rosai e Soffici avevano testimoniato il legame tra la Banca e la tradizione fiorentina di un sommesso naturalismo; gli acquisti recenti mostravano invece la disponibilità a nuove sollecitazioni e si aprivano ad un mercato che contribuiva alla riscoperta di opere determinanti per l’avanzare delle ricerche. In questo rinnovato contesto anche l’ingresso di artisti toscani già rappresentati come Rosai, Soffici e Viani, dei quali si acquisivano rispettivamente I giocatori di toppa, I pini e Le Apuane, potevano dialogare con Carlo Carrà, un protagonista di area milanese, di cui entravano in collezione due rari disegni degli anni Venti ed un Paesaggio del 1928, a documentare una attenzione analoga a quella dei fiorentini per la rappresentazione di figure e paesi in un linguaggio aderente alla realtà.

Spostiamoci ora a Siena per una mostra ancora dal sapore natalizio, presso il Complesso Monumentale di Santa Maria della Scala. L’esposizione pone al centro due incantevoli sculture lignee dipinte, di proprietà di Banca Monte dei Paschi di Siena, raffiguranti il neonato Gesù Bambino benedicente, ed eseguite da due tra i più rappresentativi maestri del primo Quattrocento senese: Domenico di Niccolò dei Cori e Francesco di Valdambrino. Per creare una panoramica più ampia dedicata all’iconografia del Bambin Gesù, sono presenti anche altre opere di artisti senesi provenienti dal territorio. In particolare, la mostra raccoglie il Gesù Bambino di Francesco di Valdambrino - conservato nella Pinacoteca Nazionale di Siena - il Gesù Bambino di uno scultore senese della seconda metà del Trecento - conservato nel Museo Archeologico e d’Arte della Maremma di Grosseto - e la Madonna in trono con il Bambino, attribuita ad Angelo di Nalduccio, che intagliò il Bambino a parte, per consentirne l’uso come immagine devozionale per il Natale.
Per introdurre il visitatore a questa piccola ma preziosa esposizione, saranno presentate in mostra, attraverso una serie di pannelli specifici, le immagini di alcune raffigurazioni del Presepe. Tra queste, la più antica è quella di Giotto, pensata per la Basilica di Assisi, con “l’istituzione del Presepe”, che San Francesco volle allestire nella notte di Natale del 1223 per gli abitanti di Greccio. La presentazione dell’iconografia del Presepe continuerà con le opere di Coppo di Marcovaldo, Guido di Graziano, Taddeo Gaddi e Benozzo Gozzoli, conservate in varie città d’Italia.

Arriviamo quindi a Roma per mostre di diverso tipo.
Cominciamo con una rassegna dedicata alla cultura e all’arte romana dal titolo Roma Caput Mundi. La Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma racconta per la prima volta, attraverso una mostra, la storia dell’espansione politica e culturale dell’antica Roma. Un progetto ambizioso, senza precedenti, che esplora due aspetti - dominio e integrazione - nell’intento di trasmettere al grande pubblico una visione poliedrica del mondo romano. La mostra Roma caput mundi. Una città tra dominio e integrazione, che si terrà dal 10 ottobre al 10 marzo, intende cogliere la ricchezza e la varietà di una storia «unica»soprattutto per le sue armoniche contraddizioni. Il Colosseo, la Curia Iulia e il Tempio del Divo Romolo nel Foro romano, sono le sedi in cui si articola il percorso espositivo: dalle origini di Roma alla conquista dell’Italia e delle province; gli influssi culturali e religiosi; schiavitù e melting-pot etnico; visioni antiche e moderne. Sono più di un centinaio le opere scelte per narrare una storia complessa e affascinante, percepita ancora oggi dall’opinione diffusa nell’immaginario collettivo - in Italia come nel resto del mondo - secondo stereotipi ricorrenti, molto influenzati da ideologie e esperienze politiche dell’età contemporanea (dalla Rivoluzione francese al fascismo). Questo fenomeno trova un riflesso immediato nei romanzi storici e soprattutto nel cinema, cui viene dedicata un’intera sezione: i Romani sono regolarmente rappresentati come un popolo violento e sadico, razzista, privo di motivazioni che non siano
l’esercizio e il rafforzamento del loro dominio, lo sfruttamento delle altre genti, la repressione del dissenso politico e delle religioni dissonanti. Si è voluto intitolare la mostra «Roma capitale del mondo» (caput orbis terrarum o caput mundi), per riprendere un concetto usato dagli antichi come
metafora di una potenza universale. Così già nel primo libro di Livio, dove Romolo, disceso dal cielo, ordina a un romano di trasmettere la sua profezia: «Va’ – disse – annuncia ai Romani che gli dei celesti vogliono che la mia Roma sia la capitale del mondo; perciò coltivino l’arte militare e sappiano, e tramandino anche ai posteri che nessuna potenza umana potrà resistere alle armi dei Romani». La mostra non intende ovviamente occultare gli aspetti che oggi possono apparire brutali del dominio romano: le sofferenze inferte a intere comunità, le guerre di rapina, la schiavitù (quale grande impero, compresi quelli a noi più recenti, non si è costruito in modo violento?). Questa immagine, che corrisponde a una percezione di massa diffusa ancora oggi a livello mondiale, viene tuttavia complicata e arricchita dalla considerazione di altri fenomeni, presi in esame dall’ampio e articolato percorso espositivo. Ma i Romani insistevano anche sul fatto che fin dalle origini la loro era stata una «città aperta» alle altre genti. Infatti, essi praticarono una politica dell’integrazione che non trova riscontri di uguale entità nell’intera storia universale: ritenevano irrilevante la purezza della stirpe, concedevano facilmente la cittadinanza, liberavano gli schiavi con procedure semplici e lo schiavo liberato era un «quasi cittadino» (i figli di quest’ultimo erano cittadini di pieno diritto). Alcuni storici contemporanei, sulla scia degli autori antichi, insistono giustamente sull’apporto morale e culturale (oltre che militare) rappresentato, nel corso dei secoli, da questo continuo arricchimento del corpo civico. La potenza bellica era dunque solo uno dei volti di Roma caput mundi.
Presso la sede museale del Palazzo delle Esposizioni troviamo una rassegna sulla Via della Seta. Difficile immaginare un’espressione più suggestiva di queste quattro semplici parole. Che cosa evoca nella vostra mente? Terre lontane ed esotiche, imperi scomparsi da tempo, potenti conquistatori? Faticosi viaggi su dune roventi mosse dal vento e aspri terreni montuosi? Ricchi scambi commerciali di seta, pietre preziose, spezie e altri prodotti, ma anche di idee, religioni, invenzioni? La Via della Seta rappresenta tutto questo e molto altro. La Via della Seta non era una strada come la intendiamo noi oggi, anche se a volte è descritta come la “prima strada di comunicazione mondiale”. Si trattava piuttosto di un vasto intreccio di itinerari che si estendevano per tutta la Cina attraverso l’Asia, in direzione dell’Europa, con collegamenti a vie trasversali che portavano a nord e a sud. Si ampliò per molti secoli e venne percorsa, in lungo e in largo, da coraggiosi viaggiatori e mercanti provenienti dalle culture più diverse. Era utilizzata per trasportare grandi varietà di merci, manufatti, innovazioni e fedi attraverso un paesaggio estremamente ostile. La storia della Via della Seta è indissolubilmente legata alle culture delle terre che attraversava: ai loro conflitti e alleanze, alle influenze reciproche e alle caratteristiche di ciascuna di esse, ai doni che si scambiavano e che hanno lasciato al mondo. All’apice del suo utilizzo, durante la dinastia Tang (618-907 d.C.), in Asia prosperavano gli imperi più potenti al mondo, e mercanti, messaggeri, pellegrini e altri spiriti intrepidi si spostavano ogni anno su quel reticolo di strade. Il suggestivo nome Via della Seta non è nato insieme alla strada stessa: fu coniato solo nel 1877 dal barone Ferdinand von Richthofen (1833-1905), esploratore e geografo tedesco che per primo la definì Seidenstrasse. Parte del successivo interesse potrebbe essere attribuito al fascino evocativo del termine, benché un po’ ingannevole. La materia prima che diede il nome alla Via della Seta fu certamente quella che agli occidentali appariva la più esotica e stupefacente. Ma la seta, ovviamente, non era l’unica merce di valore trasportata lungo il viaggio, diventato ormai un percorso a doppio senso. Verso oriente, in direzione della Cina, le carovane viaggiavano portando con sé oro, avorio, pietre preziose e vetro, mentre a ovest le missioni trasportavano pellicce e manufatti in ceramica, giada, bronzo e legno laccato.
La mostra successiva è di un genere un po’ particolare: racconta infatti, in un ideale raccordo con la mostra precedente, di Eni e delle persone che vi hanno lavorato e vi lavorano in giro per il mondo. Quello che accadeva ai viaggiatori delle “vie della seta” è ciò che accade da sempre agli uomini e alle donne protagonisti delle missioni Eni in ogni angolo del mondo. Persone che, partite per cercare energia, nei loro viaggi ogni volta hanno incontrato e dialogato con mondi lontani e diversi. La mostra “Nero su bianco” racconta Eni e una parte della sua recente storia di ricerca ed esplorazione attraverso un filo di parole e di immagini che corrono su pareti di colore bianco come le pagine di un taccuino di viaggio.

Il tema “Cavalli e cavalieri” è oggetto di due mostre parallele realizzate dal MAN di Nuoro.
Il tema scelto è profondamente sardo, quello dei cavalli e dei cavalieri, declinato, da un lato, dall’artista del nostro Novecento che certo più di ogni altro lo ha rappresentato, ovvero Marino Marini. All’ampia mostra di Marini (oltre un centinaio le opere esposte) viene affiancato, come progetto parallelo ma indipendente, uno sguardo sulla produzione artistica contemporanea sul medesimo tema (Cavalli e Cavalieri. Post Scriptum). Attraverso la presentazione di alcuni lavori realizzati negli ultimi anni da artisti di rilievo internazionale, di diversa generazione e provenienza, tra i quali Alberto De Michele, Tue Greenfort, Pietro Mele, Anri Sala, Carolina Saquel, Nedko Solakov, Salla Tykka. I lavori selezionati, per quanto diversi gli uni dagli altri per modalità operative, sensibilità e finalità, condividono il riferimento alle figure del cavallo e del cavaliere, soggetti ancora capaci di evocare specifiche suggestioni e di farsi interpreti privilegiati della realtà presente. Si tratta della prima personale dedicata al lavoro di Marino Marini realizzata in Sardegna. Il progetto espositivo nasce dalla constatazione di un diffuso ritorno di interesse, a livello internazionale, per l’opera dell’artista e da una riflessione condivisa sull’importanza cruciale del motivo del cavallo con cavaliere nella vicenda dello scultore toscano, maestro conclamato dell’arte italiana del Novecento. Un tema che, nelle sue diverse declinazioni, tocca tradizioni profondamente radicate in tutto il territorio sardo, dove, seppure indirettamente – non avendo Marini operato sull’isola – l’esperienza artistica dello scultore costituisce uno dei maggiori riferimenti, non soltanto per la celebrità del suo percorso, ma anche in virtù del suo ruolo di insegnante all’ISIA di Monza, frequentata, all’inizio degli anni Trenta, dai sardi Salvatore Fancello, Costantino Nivola e Giovanni Pintori. Al MAN saranno presentate quindici sculture tra le più importanti del percorso di Marino Marini e oltre cento tra disegni e opere grafiche, eseguite dall’artista tra il 1937 e il 1979 (anno che precede la morte dell’autore) e che raccontano il dispiegarsi nel tempo di un percorso creativo di grande originalità e coerenza”.


Riflessi d’Oriente
23 novembre 2012 – 24 febbraio 2013
Torino – MAO (Museo d’Arte Orientale, Via San Domenico 11)
Orari: martedì – domenica 10.00-18.00, lunedì chiuso
Biglietti: 10€ intero, 8e ridotto
Informazioni: www.maotorino.it


Milano 313 d.C. – 2013. 1700 anni di tolleranza
25 ottobre 2012 – 17 marzo 2013
Milano – Palazzo Reale
Orari: lunedì: 14.30 - 19.30; martedì, mercoledì, venerdì, domenica: 9.30 - 19.30; giovedì, sabato: 9.30 - 22.30
Biglietti: 9€ intero, 7,50€ ridotto, 4,50 scuole
Informazioni: www.mostracostantino.it

Giovanni Bellini. Dall’icona alla storia
9 novembre 2012 – 25 febbraio 2013
Milano – Museo Poldi Pezzoli
Orari: mercoledì – lunedì 10.00-18.00, martedì chiuso
Biglietti: 9€ intero, 6€ ridotto
Informazioni: www.museopoldipezzoli.it

Angiolo D’Andrea 1880-1942. La riscoperta di un maestro tra Simbolismo e Novecento
8 novembre 2012 – 17 febbraio 2013
Milano – Palazzo Morando (Via Sant’Andrea 6)
Orari: martedì – domenica 9.00-13.00- 14.00-17.30, lunedì chiuso
Ingresso libero
Informazioni: www.mostraangiolodandrea.it

Giulio Di Sturco. Fratello fiume. Lo scorrere delle acque nel destino dell’uomo
29 novembre 2012 – 28 febbraio 2013
Milano – Centro Culturale di Milano (Via Zebedia 2)
Orari: lunedì – venerdì 10.00-13.00/15.00-18.00; sabato e domenica 16.00-20.00, martedì chiuso
Ingresso libero
Informazioni: www.cmc.milano.it

Con lo sguardo di Ghiorgos Seferis
17 gennaio 2013 – 16 febbraio 2013
Milano – Biblioteca Centrale di Palazzo Sormani , Scalone Sala del Grechetto
Orari: lunedì – sabato 14.00-19.00
Ingresso libero
Informazioni: www.comune.milano.it

Capolavori del Novecento dalle Collezioni Banca Monte dei Paschi di Siena e Fondazione Banca Agricola Mantovana
11 novembre 2012 – 24 febbraio 2013
Mantova – Palazzo Te
Orari: lunedì 13,00-18,00; martedì - domenica: 9,00-18,00
Biglietti: 10€ intero, 7€ ridotto, 5€ scuole
Informazioni: www.palazzote.it

Il mistero gioioso. Il Presepe di Greccio e le sculture del Gesù Bambino benedicente
21 dicembre 2012 – 28 febbraio 2013
Siena - Complesso museale Santa Maria della Scala
Orari: 10.30-16.00 , martedì e mercoledì chiuso
Biglietti: 3.50€ intero, 3.00€ studenti
Informazioni: www.santamariadellascala.com

Roma Caput Mundi. Una città tra dominio e integrazione
10 ottobre 2012 –10 marzo 2013
Roma – Colosseo e Foro Romano
Orari: tutti i giorni dalle 8.30 a un’ora prima del tramonto
Biglietti: 12€ intero, 7,50€ ridotto
Informazioni: http://archeoroma.beniculturali.it

La Via della Seta. Antichi sentieri tra Oriente e Occidente
27 ottobre 2012 – 10 marzo 2013
Roma – Palazzo delle Esposizioni
Orari: martedì, mercoledì, giovedì 10.00 - 20.00, venerdì, sabato 10.00 - 22.30, domenica: 10.00 - 20.00, lunedì chiuso
Biglietti: 12,50€ intero, 10,00€ ridotto, 4,00€ scuole
Informazioni: www.palazzoesposizioni.it

Nero su Bianco. Racconti di un viaggio a sei zampe
27 ottobre 2012 – 10 marzo 2013
Roma – Palazzo delle Esposizioni
Orari: martedì, mercoledì, giovedì 10.00 - 20.00;venerdì, sabato: 10.00 - 22.30; domenica: 10.00 - 20.00, lunedì chiuso
Biglietti: 12,50€ intero, 10,00€ ridotto, 4,00€ scuole
Informazioni: www.palazzoesposizioni.it/categorie/mostra-nero-su-bianco

Cavalli e cavalieri. Marino Marini/ Post Scriptum
15 dicembre 2012 – 24 febbraio 2013
Nuoro – Man ( Museo d’arte della Provincia di Nuoro)
Orari: tutti i giorni 10.00-13.00/15.00-19.00, lunedì chiuso
Biglietti: 3€ intero, 2€ ridotto
Informazioni: www.museoman.it

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