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Le mostre di dicembre 2013

Autore:
Roda, Anna
Fonte:
CulturaCattolica.it
Sono molto numerose le proposte di questo mese, ma confidiamo nelle vacanze natalizie e delle eventuali possibilità di uscite per poter ampliare i nostri orizzonti culturali. Il criterio con cui proponiamo le nostre scelte è geografico: città per città da nord a sud dell’Italia

Il nostro percorso comincia da Milano con una serie di interessanti rassegne. La prima si svolge presso il convento francescano di S. Angelo, in Via Moscova. Tutti gli anni vengono presentate delle bellissime icone, antiche e moderne, il cui ricavato della vendita va a favore di iniziative caritative. In particolare quest’anno la vendita degli andrà a sostenere direttamente le attività di accoglienza contro il rigore invernale, soprattutto per il restauro delle camere della Casa di Solidarietà di via Saponaro 40. Un gesto culturale, come l’acquisto di un’Icona, si trasforma in un gesto solidale con un effetto immediato e reale.
Sempre in città presso la Galleria Robilant Voena e grazie ai prestiti di importanti collezioni private di formazione antica o recente, si tiene una mostra su Giacomo Ceruti, detto il Pitocchetto( 1698-
1767). La mostra affiancherà a dipinti già noti da tempo, alcune tele finora sconosciute, che contribuiranno a mettere a fuoco i diversi aspetti del linguaggio di questo formidabile pittore. Nato a Milano e precocemente trasferitosi a Brescia, Ceruti è infatti una personalità dal percorso articolato, che in una prima fase della sua carriera seppe imporsi come ritrattista dai vigorosi accenti realistici e soprattutto come attento indagatore della vita quotidiana delle classi sociali più disagiate. Molto spesso, infatti, le opere che l’artista realizza tra gli anni venti e i primi anni trenta del Settecento per la nobiltà bresciana hanno come protagonisti i cosiddetti pitocchi: mendicanti, vagabondi, filatrici, contadini e artigiani. Un mondo di emarginati e di umili lavoratori che, a differenza di quanto era avvenuto nella pittura dei decenni precedenti, Ceruti mette in scena senza ironia, conferendo anzi ai protagonisti una solenne dignità, cui contribuisce il formato monumentale dei dipinti. Questa propensione raggiunge i più alti risultati nel famoso ciclo di Padernello, la serie di tele pauperistiche che sancì la riscoperta dell’artista a partire dagli anni venti del Novecento. Verso la metà degli anni trenta del Settecento Ceruti si sposta in terra veneta, lavorando tra Padova e Venezia dove ottenne importanti commissioni da uno dei più illustri collezionisti del tempo, il maresciallo Matthias von der Schulenburg. Il confronto con la cultura figurativa lagunare segna una cesura nel percorso di Ceruti, le cui conseguenze si faranno sentire per tutto il seguito della carriera dell’artista che, fatta eccezione per un soggiorno a Piacenza nel corso degli anni quaranta, si svolgerà in prevalenza a Milano, dove Ceruti morirà nel 1767. In questa sua seconda stagione il pittore dimostra di privilegiare un linguaggio più elegante e raffinato, aggiornato sulle mode della coeva cultura figurativa europea. Così i suoi ritratti perdono la ruvida dimensione naturalistica degli anni giovanili per acquisire un tono mondano e internazionale, bene esemplificato in mostra dal Ritratto del Marchese Orsini a cavallo, proveniente dalla villa Orsini di Mombello di Imbersago. Lo stesso avviene per le scene di tema popolare, che sostituiscono ai toni drammatici degli esordi un registro più rasserenato, di cui è testimonianza l’idillio sentimentale rappresentato nell’Incontro al pozzo già parte della decorazione di palazzo Busseti a Tortona. Notevole è poi la serie di teste di carattere (Ritratto di fumatore in costume orientale; Vecchio con gatto; Vecchio con colbacco e cane) che fanno di Ceruti un grande interprete di quel genere pittorico mondano (e tipicamente settecentesco) molto amato a Venezia e in Francia. Questi trapassi stilistici lasciano comunque inalterato il dato saliente della poetica cerutiana, da riconoscere nella capacità di restituire le diverse realtà del proprio mondo con uno sguardo schietto e disincantato; una lucida razionalità di osservazione che rende Ceruti perfettamente in linea con la sensibilità dell’età dei lumi che si andava allora diffondendo in tutta Europa.
Dalla visione realistica e drammatica del Ceruti, alla spensieratezza della Belle Epoque con la mostra Da Boldini a De Nittis, presso la Galleria Bottega antica. Una selezione di cinquanta tra dipinti e disegni, racconterà le pause di intimità e i riti mondani, le promenades e i rendez-vous, le gite al mare e la vita notturna nei teatri e nei tabarin, i veglioni e i casinò, le galanterie e i vizi e di un’epoca che annuncia la modernità. Protagonista assoluta della rassegna è la donna morigerata ma anche femme fatale. Una femminilità eccentrica e inquieta, in bilico tra vanità e lusso, diventa icona di un tempo in cui la felicità è un obbligo imprescindibile. Alle signore fascinose e impeccabili della grande triade degli italiens de Paris, Boldini, De Nittis e Zandomeneghi, celebri e celebrati interpreti dell’atmosfera cosmopolita e illusoria della Belle Epoque, il progetto espositivo affianca quelle immortalate, con esiti sorprendenti e inediti, da un nutrito drappello di pittori italiani meno noti al grande pubblico quali Leonardo Bazzaro, Arnaldo Ferraguti, Pablo Salinas e altri ancora. Furono artisti che dai tanti pellegrinaggi nella Ville Lumiére trassero l’intuizione di una femminilità più vaga e contraddittoria e per questo più moderna. Sono narratori visivi quali Vittorio Matteo Corcos, audace e spavaldo quando sceglie di celebrare eroine voluttuose, come l’ammiccante modella de L’abito elegante; o ancora Ulisse Caputo che ne Lavoro di sera illustra, con accenti espressionisti e di silente raccoglimento, una donna intenta a scegliere le stoffe davanti a un tavolino illuminato da una lampada: un modo di costruire l’immagine che, unito alla sintetica semplificazione delle forme risolte tramite il colore, presenta una forte assonanza con certe incisive interpretazioni di ambito Fauves. Il percorso espositivo offrirà anche un approfondimento sul lavoro di Giovanni Boldini, straordinario cantore della bellezza femminile e protagonista indiscusso della Belle Epoque parigina, attraverso un prezioso nucleo di dipinti, tra cui Nudo di donna con calze nere, la Lettera mattutina, Donna in riposo e le agili figure del Nudino scattante e del Nudo femminile seduto: opere in cui la donna è raffigurata in smaglianti ritratti ufficiali o in pose più ardite e sofisticate, nelle quali l’artista ferrarese riesce sempre a estrarre un’immagine sintetica e folgorante. La Belle Epoque - poco meno di quarant’anni di storia europea connotati da un tumultuoso sviluppo, da una incrollabile fede nel progresso, dalla spensieratezza - fu a tutti gli effetti un’età dell’oro, un momento magico di sviluppo e benessere, di invenzioni e fiducia nel progresso tecnologico, di euforia economica e culturale. Le grandi capitali europee - Parigi, Londra, Vienna, e in Italia, Milano e Torino - divennero lo scenario di nuovi fenomeni di costume, dalle esposizioni universali ai caffè concerto, ai grandi magazzini, ai bagni di mare, alle gare sportive, alle corse automobilistiche, ai voli in aeroplano. Cronisti di quest’Europa moderna e mondana furono gli artisti che registrarono i trionfi ed esaltarono gli eccessi di quegli anni effervescenti, votati a un destino di dissoluzione. L’alta borghesia industriale e finanziaria di fine Ottocento assoldò stuoli di pittori per celebrare i suoi riti e la sua smagliante modernità attraverso i ritratti delle sue donne. Così in Francia, ma anche in Italia. I “Bei Tempi” italiani furono forse meno splendenti e intensi di quelli parigini, ma sempre seducenti e irripetibili. Artisti come Giovanni Boldini, Giuseppe De Nittis, Federico Zandomeneghi, Vittorio Matteo Corcos, Antonio Mancini seppero coniugare l’allure francese con i fermenti italiani, l’impressionismo e la pittura di macchia. E altri ancora, come Ulisse Caputo, Angelo Morbelli, Federico Rossano e Ettore Tito, prima di intraprendere traiettorie diverse, furono testimoni di quel mondo dorato.
Milano rende omaggio a uno tra gli indiscussi protagonisti della pittura italiana dell’Ottocento, a 25 anni dalla storica rassegna tenuta alla Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente, attraverso quaranta capolavori, alcuni dei quali mai esposti in pubblico, provenienti da prestigiose collezioni private italiane alla Galleria GAMManzoni. L’esposizione ripercorre le tappe fondamentali della carriera del pittore livornese attraverso la selezione di quaranta capolavori – alcuni dei quali mai esposti in pubblico – provenienti da prestigiose collezioni private italiane, come quella del milanese Giacomo Jucker o quella del genovese Mario Taragoni, privilegiando le opere eseguite tra il 1860 e il 1905 circa, il periodo della sua piena maturità creativa e stilistica. Il percorso presenta opere di grande importanza, come il nucleo dedicato ai militari, sentiti parte integrante di quella realtà ordinaria, che Fattori scandaglia, senza retorica né idealismi, in tutti i suoi aspetti. Dipinti come Passaggio del Mincio (1865-1870 circa), Le vedette (1870-1875 circa), Cavalieri in perlustrazione (1875 circa), Cavalleggeri in avanscoperta (1875-1880 circa), Manovre di artiglieria (1880 circa), Le ordinanze (1883), Militari al bivacco (1885 circa), Ritorno dalla passeggiata (1885-1890) e L’appello dopo la carica (1895), documenteranno la sua lunga, quanto attenta riflessione sui modi e sui tempi della guerra, sulle ragioni e sui drammi individuali, prima che collettivi. Lo studio di questo argomento lo ha portato a perfezionare la sua tecnica, superando l’elemento descrittivo, grazie a un’autonomia di costruzione di figure, caratterizzate da una ridotta gamma cromatica, che accentuavano la drammaticità degli eventi. Di altrettanto interesse sono le “impressioni” paesistiche della Maremma, ossia di quella parte della campagna toscana che Fattori “preferiva per istinto, sentendosi più libero e puro e più vicino all’essenza delle cose nella semplice e selvatica solitudine della natura”. Case nella campagna livornese (1866-1870 circa), Veduta di Poggio Pelato a Castiglioncello (1867-1868), Viale soleggiato (1870 circa), Uliveto (1875-1885) e il Bosco di San Rossore (1890-1900) riveleranno un artista apertamente “macchiaiolo”, cantore della natura cólta in ogni suo aspetto e sintetizzata mediante stesure cromatiche essenziali. A questi paesaggi “puri” si affiancano quelli animati dalla presenza umana, fra cui la tavoletta Silvestro Lega che dipinge sugli scogli (1867 circa), in cui sfrutta e intensifica le venature del legno per ricreare visivamente la sensazione del vento che investe gli scogli, sui quali siede l’esile figura dell’amico pittore; o ancora l’idilliaca Contadina nel bosco (1861), nella quale lo sperimentalismo della “macchia” degli anni precedenti si allarga alle scene dal vero e si incanala verso una crescente libertà esecutiva. La stessa che Fattori applica anche alle opere dedicate al lavoro dei campi, documentate in mostra da Riposo in Maremma (1867 circa) e da Le boscaiole (1878 circa). Alla calma silente di questi dipinti fa da contraltare la vitalità di certi quadri di butteri, come i due grandi pastelli Incontro fatale (1900) e Un incontro (1904 circa). Non mancano pure brani di vita quotidiana ambientati sullo sfondo di paesaggi urbani che l’artista realizza nei primi anni Ottanta, fra cui Viale principe Amedeo a Firenze (1880 circa) e L’arrivo dei barocci (1881).

Trasferiamoci ora a Rovereto (Tn) per una mostra imperdibile dedicata aa Antonello da Messina (1430-1479). Il progetto espositivo propone un’indagine articolata e uno sguardo originale sulla figura del grande pittore del Quattrocento e sul suo tempo, attraverso lo studio degli intrecci storico-artistici e delle controversie ancora aperte, presentati in questa sede come punti di forza attraverso i quali approfondire nuovi percorsi di interpretazione critica. Questa rilettura di Antonello da Messina non offre solo la ricerca della collocazione cronologica delle opere, l’analisi dei rapporti con i maestri a lui contemporanei, delle similitudini e delle differenze, ma è concentrata anche su una profonda analisi dell’intelligenza poetica di un artista che ha saputo cogliere le sfumature psicologiche e le caratteristiche più intime dell’esistere. In mostra sono esposte alcune opere non presenti nella recente retrospettiva dedicata a Antonello da Messina come il Ritratto d’uomo appena restaurato, proveniente dal Philadelphia Museum of Art, il Salvator Mundi della National Gallery di Londra, la Madonna Benson custodita nella National Gallery di Washington. La mostra inoltre ha l’ambizione di ricostruire l’ampia scena storica e geografica dalla quale emerge l’eccezionale individualità di Antonello: un pittore che, a metà del Quattrocento, si fa interprete di un fermento creativo mediterraneo ed europeo incentrato sull’incontro-scontro tra la civiltà fiamminga e quella italiana. Il percorso espositivo parte dalla formazione di Antonello, avvenuta nella Napoli di Alfonso d’Aragona tra esperienze provenzali-borgognone e fiamminghe, e si sviluppa con l’acquisizione progressiva della sintassi ‘italiana’, e l’aprirsi a una dimensione mediterranea europea, fino all’esito veneziano e post-veneziano che indica l’inizio di una nuova civiltà figurativa. La mostra riesamina anche il dibattito relativo al rapporto di Antonello con la Milano sforzesca, quasi in parallelo con le nuove ricerche di tipo spaziale lì condotte dal giovane Bramante, come indicano, tra le opere in mostra, il Cristo alla colonna e il disegno Gruppo di donne su una piazza, con alti casamenti.

Rimaniamo sempre in Trentino, ma spostiamoci a Trento per una mostra singolare dal titolo Sangue di drago squame di serpente. Nelle magnifiche sale del Castello del Buonconsiglio si potrà scoprire e conoscere attraverso affreschi, dipinti, sculture, arazzi e preziosi oggetti d’arte un mondo fatto di unicorni, draghi, centauri, grifoni, basilischi, sfingi, serpenti e animali fantastici e inconsueti che ricorrono costantemente nella mitologia e anche nella iconografia castellana. Colpiscono infatti i numerosi animali raffigurati negli affreschi che decorano il castello del Buonconsiglio eseguiti da Dosso Dossi nella Stua della Famea con le favole di Fedro, o la dama con unicorno, la scimmia, il serpente che morde l’ Invidia dipinte da Girolamo Romanino o ancora il bestiario realizzato dal maestro Venceslao nel celebre ciclo dei Mesi in Torre Aquila o il prezioso erbario medievale conservato in castello. Scultura, pittura, architettura e disegno, raccontano il mondo animale, frutto delle fantasie e delle paure dell’uomo. Soprattutto però si possono ammirare dipinti, con capolavori di Tiziano e Tintoretto, sculture rinascimentali, magnifici arazzi con scene marine, preziosi monili d’ oro, oggetti archeologici, oltre a filmati e scenografie emozionanti, grazie anche all’innovativo ausilio della realtà aumentata, che stupiranno e conquisteranno il più vasto pubblico. In una sala il visitatore sarà immerso in un atmosfera fantastica dove draghi tridimensionali gli si materializzeranno davanti provocando forti emozioni. La mostra ci dà l’occasione per ammirare anche sfingi e centauri dipinti sia sui vasi a figure rosse e nere greci sia nelle tele dei maestri bolognesi del Seicento, il gatto mummificato egiziano, la fontanella rinascimentale in bronzo con il mito di Atteone, il Laooconte proveniente dal Museo del Bargello di Firenze, un prezioso falco in bronzo, una rarissima casula decorata, sculture di San Giorgio e il drago. Dagli animali sacri della tradizione cristiana alla mitologia con Diana cacciatrice a quelle care agli dei: il cigno, il toro e l’aquila per Giove, il leone per Sansone ed Ercole. E ancora i veri mostri delle leggende: draghi, chimere, unicorni, sfingi, mostri marini, centauri e sirene.

A Rovigo presso il centro espositivo di Palazzo Roverella troviamo la mostra dal titolo Nuovi Capolavori per la Pinacoteca .Dal ’400 al ’900, l’arte raccontata attraverso capolavori inediti. In questo nuovo allestimento si è voluto rivelare un’ impressionante sequenza di “tesori nascosti” della Pinacoteca dell’Accademia dei Concordi e del Seminario Vescovile, opere mai esposte prima, tutt’altro che secondarie rispetto ai tanti capolavori che sono già offerti all’ammirazione del pubblico. Così, accanto alle celebrate opere da Bellini a Tiepolo regolarmente allineate nelle sale di Palazzo Roverella riservate alle Pinacoteca, usciranno dai depositi altre tele non meno importanti che, per motivi di spazio e non per minore qualità, prima non si potevano ammirare. Sono più di cinquanta tavole e tele, una vera Pinacoteca aggiuntiva. Alcune di grandi dimensioni, sino al “colosso” rappresentato dalla Veduta di Venezia di Giovanni Biasin, una tempera estesa ben 23 metri, incredibile, affascinante diorama sulla capitale lagunare.

Arriviamo ora a Parma per una mostra dedicata a Bodoni dal titolo Bodoni, Principe dei tipografi, celebrato nel bicentenario della morte. In questa rassegna possiamo ammirare le raffinate ed eleganti edizioni bodoniane e, con esse, le testimonianze dell’intero processo di realizzazione e poi di commercializzazione di capolavori che, per contenuto come per qualità di stampa, erano contesi da corti, accademie, biblioteche e intellettuali dell’Europa a cavallo tra Sette e Ottocento. La mostra inoltre vuole ricreare, far rivivere proprio il mondo culturale, economico e istituzionale, le corti italiane ed europee appunto, che in Bodoni trovarono l’artigiano-artista in grado di dar forma di libro alle loro istanze, idee ed ideali. Questo magnifico “affresco di un’epoca” della storia italiana, con le sue luci e le sue inevitabili ombre, vene ricreato all’interno del monumentale salone neoclassico della Galleria Nazionale, grazie alle vedute e ai ritratti dei personaggi che animarono la vita politica ed economica dell’epoca realizzati da grandi artisti, Goya innanzitutto, ma anche, Anton Raphael Mengs, Angelica Kauffmann, Pompeo Batoni, Francois Gerard e i molti altri artisti già presenti nelle collezioni ducali tra cui Andrea Appiani, Antonio Canova, Bernardo Bellotto, Robert Hubert. Dall’ambiente, alla fucina del maestro, anzi alla “Fabbrica del libro perfetto” è riservata l’altra grande sezione della mostra; nel suggestivo spazio della Galleria Petitot della Biblioteca Palatina sono esposti dapprima i capolavori che raccontano la storia del libro a stampa e poi gli attrezzi di lavoro e le opere del Maestro stesso, espressione del suo genio. E’ celebre la sua orgogliosa affermazione “Io non voglio che cose magnifiche e non lavoro per la volgarità dei lettori”. Tuttavia egli era perfettamente consapevole che il libro, per quanto perfetto come oggetto, trovava – allora come oggi – la sua vera vita solo tra le mani dei lettori. E la sua fortuna conferma come egli sapesse bene convincerli all’acquisto.

Spostiamoci a Ferrara per una mostra imperdibile dedicata ad uno dei pittori più singolari del Seicento spagnolo, Zurbaràn (1598-1664). Francisco de Zurbarán fu, insieme a Velázquez e Murillo, tra i protagonisti del Siglo de oro della pittura spagnola e di quel naturalismo raffinato che lasciò un’eredità duratura nell’arte europea. A rendere unico lo stile del pittore fu la sua capacità di tradurre gli ideali religiosi dell’età barocca con invenzioni grandiose e al contempo quotidiane, plasmando forme di una tale essenzialità, purezza e poesia, da toccare profondamente l’immaginario moderno, come traspare dall’opera di quanti, da Manet a Morandi, fino a Picasso e Dalí, hanno guardato nei secoli successivi all’opera del maestro sivigliano. In tempi più recenti, studi autorevoli ed esposizioni internazionali hanno definitivamente sancito il suo fondamentale contributo alla storia dell’arte. La mostra ripercorre le tappe salienti della vita e produzione dell’artista:dalle prove con le quali l’artista si afferma sulla scena di Siviglia, “la Firenze spagnola”, come La visione di san Pietro Nolasco (1629, Madrid, Museo del Prado) o il più tardo San Francesco d’Assisi nella sua tomba (1630-34, Milwaukee Art Museum), segnate dal luminismo drammatico e contrastato della corrente del tenebrismo ispirata a Caravaggio e Ribera, alle opere successive al soggiorno madrileno e al contatto con Velázquez, improntate a un più sobrio lirismo, dove a prevalere sono atmosfere più chiare, felici scorci sul paesaggio e dettagli domestici, come ad esempio nell’Immacolata Concezione con san Gioacchino e sant’Anna (c. 1638-40, Edimburgo, Scottish National Gallery) o nella Vergine con il Bambino Gesù e san Giovannino (1662, Bilbao, Museo de Bellas Artes). Il percorso espositivo, scandito in sezioni cronologico-tematiche, metterà in evidenza il talento del pittore nell’imporre un registro innovativo a generi e temi della tradizione. Stupiscono per la vena intima e immediata i soggetti legati all’iconografia mariana, come mostrano quelle opere venate di una malinconia sospesa (La casa di Nazaret, c. 1640-45, Madrid, Fondo Cultural Villar Mir), o capaci di toccare corde di straordinario candore e tenerezza (Vergine bambina addormentata, c. 1655-60, Jerez de la Frontera, Cattedrale di San Salvador). E se il motivo dell’estasi raggiunge vertici d’ineguagliabile intensità, come nell’Apparizione della Vergine a san Pietro Nolasco dipinta attorno al 1628-30 (Collezione privata), il tema della meditazione trova una delle sue interpretazioni più originali nel Cristo crocifisso con un pittore (c. 1635-40, Madrid, Museo del Prado), un dipinto in grado di trasmettere nella maniera più diretta il dialogo intimo tra l’umano e il divino. Una delle punte più avanzate nella direzione del rinnovamento formale sono senza dubbio le nature morte e i temi allegorici, come Una tazza d’acqua e una rosa (c. 1630, Londra, The National Gallery) e Agnus Dei (c. 1634-40, San Diego Museum of Art). La raffinatezza poetica di questi dipinti, in cui gli oggetti sono collocati in uno spazio rarefatto e silenzioso, è affidata alla sobrietà della composizione, alla purezza delle forme e alla regia dei valori luminosi. In queste opere di piccolo formato, così come nelle nature morte disseminate in molte delle tele presenti in mostra, Zurbarán restituisce le forme come purificate dalla luce, in una visione cristallina del particolare e di silenziosa monumentalità. Tra le invenzioni più originali dell’artista vi sono infine le grandi figure di santi, raffinate effigi che godettero di straordinaria popolarità e che furono realizzate in serie soprattutto per le colonie del Nuovo mondo. La sequenza riunita per questa mostra conta esiti notevoli come la Santa Casilda (c. 1635, Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza), il Beniamino (c. 1640-45, Collezione privata) e la Sant’Orsula (Genova, Palazzo Bianco), che testimoniano la capacità di ammantare gli episodi sacri di un fascino elegante, grazie alla ricercatezza delle pose, alla resa virtuosistica di stoffe preziose e alla tavolozza brillante. Queste figure maestose, rivolte verso l’osservatore come protagonisti di un ritratto esercitano, oggi come allora, un fascino magnetico.

A Firenze troviamo una interessante mostra dedicata a Mattia Corvino, dal Mattia Corvino, re d’Ungheria dal 1458 al 1490, relativa alla trama di rapporti che legarono quel re all’Umanesimo e a Firenze, alla sua cultura e alla sua arte. E’ inevitabile che ciò comporti uno sguardo parallelo su Lorenzo il Magnifico, che di quella cultura e di quell’arte fiorentina fu assertore e propagatore, oltre che mecenate, e della storia fiorentina di quegli anni fu protagonista. L’idea di realizzare a Firenze una simile esposizione è stata concepita dal Soprintendente, Cristina Acidini, dopo la visione delle mostre realizzate a Budapest nel 2008 per il 550simo anniversario dell’ inizio del regno di Mattia Corvino in Ungheria, dal Museo Storico di Budapest e da altre istituzioni, che hanno aperto nuove e stimolanti prospettive di conoscenza sulle relazioni intercorse tra l’Ungheria e l’Italia già a partire dal Trecento e sulla diffusione dell’Umanesimo in terra ungherese. La scelta di San Marco come sede non è casuale, dato il ruolo ricoperto nello sviluppo della cultura umanistica dalla Biblioteca del convento domenicano, nel cui ambiente monumentale la mostra è stata allestita. Costruita per volere di Cosimo de’ Medici nel 1444 e arricchita della straordinaria raccolta di testi appartenuti all’umanista Niccolò Niccoli, essa fu la prima biblioteca „ pubblica” del Rinascimento, dove, in epoca laurenziana, si incontravano personaggi come Marsilio Ficino, Pico della Mirandola, Agnolo Poliziano. Tra questi, sono da annoverare anche coloro che direttamente, o indirettamente, entrarono in contatto con Mattia Corvino o con il suo ambiente.La mostra si è posta, quindi, l’obiettivo di delineare, un panorama sulla capacità di penetrazione e di diffusione della cultura fiorentina in territorio ungherese, tramite gli umanisti e gli artisti, e sul suo utilizzo per costruire una rappresentazione celebrativa del re ungherese, che voleva raggiungere una posizione egemonica in Europa e porsi agli occhi degli altri potenti come il principale difensore della Cristianità contro il pericolo ottomano. Pertanto, dopo aver tratteggiato l’ambiente culturale in cui si colloca la vicenda biografica e la formazione culturale di Mattia Corvino, la mostra cerca di ricostruire, attraverso l’esposizione di opere di artisti fiorentini appartenute o donate al re ungherese e di artisti ungheresi influenzati dai fiorentini, i contatti di quest’ultimo con Firenze. Tali contatti, avvenuti per lo più tramite i suoi emissari e consiglieri, risulteranno determinanti per le scelte culturali e artistiche che portarono al rinnovamento „rinascimentale” della corte ungherese. Esso interessò sia l’architettura che la decorazione scultorea del Palazzo di Buda e della residenza estiva di Visegrád, testimoniato in mostra da reperti scultorei „all’antica” , di grande importanza sul piano documentario, anche se frammentari, recuperati in scavi recenti. Il fascino esercitato dall’arte fiorentina e dal gusto mediceo e gli stretti rapporti che legarono Buda a Firenze e Mattia a Lorenzo trovano la più evidente manifestazione nell’esposizione del prezioso Drappo del trono di re Mattia Corvino, uscito dalla bottega di Antonio del Pollaiolo. Il manufatto riassume in sé l’amore per i motivi classicheggianti allora in voga a Firenze, la presentazione di tipologie compositive elaborate dai maggiori artisti fiorentini del tempo e la straordinaria abilità nell’arte tessile raggiunta dalle manifatture locali. La mostra è dunque occasione anche per sottolineare come Firenze, nella seconda metà del Quattrocento, attraverso i suoi artisti, fosse capace di divulgare presso sedi prestigiose come la corte ungherese un’immagine di città all’avanguardia sul piano culturale e manifatturiero. Immagine, assai proficua anche sul piano economico, che Lorenzo il Magnifico contribuì molto a creare e a diffondere, stimolando e arricchendo con le opere della sua collezione le conoscenze dell’Antichità negli artisti della sua cerchia e inviando molti di loro presso altri mecenati . Una particolare attenzione viene riservata, in mostra, agli effetti che l’influenza dell’Umanesimo produsse nella ritrattistica ufficiale del re, che unisce moderni intenti realistici a tipologie „all’antica”, con risultati evidentemente a lui graditi. L’esemplare di maggior fascino si trova nella miniatura-ritratto contenuta in un volumetto encomiastico (Biblioteca Guarnacci, Volterra) dedicato a Mattia dal milanese Giovanni Francesco Marliano, realizzato a Milano nel 1487, in occasione delle nozze, in seguito annullate, del figlio naturale di Mattia Corvino, Giovanni, con Bianca Maria Sforza.
Il bellissimo ritratto di Mattia, eseguito con ogni probabilità da Ambrogio de Predis, sembra rivelare la qualità di un’invenzione di Leonardo.

Dall’antico al contemporaneo, sempre nel capoluogo toscano una mostra dedicata ad Annigoni (1910-1988). L’Ente Cassa di Risparmio di Firenze ha voluto promuovere e realizzare, insieme alla Fondazione Guelpa di Ivrea, questa mostra: presenza di un artista, in occasione del 25° anniversario della scomparsa (1988-2013), nell’ambito delle iniziative di valorizzazione dell’opera di uno dei più celebri artisti del Novecento. Tale iniziativa scaturisce da un impegno costante che l’Ente, in questi ultimi anni, ha riservato al Maestro. Infatti nel 2007 l’Ente Cassa ha acquisito da Benedetto e Ricciarda Annigoni un’importante raccolta di opere d’arte provenienti dall’ultimo lascito del Maestro. Si tratta di oltre 6000 pezzi tra dipinti, disegni, litografie, incisioni e sculture che costituiscono la più alta concentrazione esistente di materiali pertinenti alla pur ampia produzione artistica del pittore di origine milanese. Tra questi si annoverano capolavori di assoluto rilievo, noti alla critica e al pubblico e più volte editi, tra cui Solitudine II e Solitudine III, Cinciarda, Vecchio giardino, Interno di Studio, la Soffitta del Torero, Morte del mendicante, per non parlare di ritratti e autoritratti di analoga fama compresi nel medesimo Fondo. Una volta assicurata la proprietà della collezione Annigoni, l’Ente si è preoccupato di creare le condizioni per una visibilità che accreditasse la complessità dell’universo annigoniano nei vari aspetti che lo caratterizzano: grande disegnatore e maestro di tecniche diverse capace di tradurre le sue eccezionali intuizioni creative in opere compiute di vario indirizzo materico. l’Ente ha deciso, pertanto, di istituire il Museo “Pietro Annigoni”, aperto al pubblico il 15 novembre 2008, all’interno di Villa Bardini a Firenze, in collaborazione con la Fondazione Parchi Monumentali Bardini e Peyron.

Sempre Toscana ma questa volta a Prato dal titolo Da Donatello a Lippi. Officina pratese. Intorno alla fabbrica della prepositura di Santo Stefano (poi cattedrale) presero forma imprese memorabili, da annoverare fra gli episodi più singolari ed affascinanti del primo Rinascimento. Per il pulpito destinato a mostrare la reliquia della Sacra Cintola, per gli affreschi della cappella dell’Assunta e della cappella maggiore, per altri arredi vennero chiamati artisti della grandezza di Donatello, Michelozzo, Maso di Bartolomeo, Paolo Uccello e Filippo Lippi. A loro va aggiunto il figlio di fra Filippo, Filippino, che da Prato prese le mosse e a Prato tornò a lavorare da anziano. Su tutto domina la figura carismatica di Filippo Lippi, che fra anni ‘50 e ‘60 del Quattrocento tenne aperto il cantiere degli affreschi di Santo Stefano e del Battista, nella cappella maggiore del Duomo. Altre sue opere in mostra documentano la fantasia eccitata e le estenuate eleganze di questa splendida maturità. Intorno a lui si formarono pittori che meritano di essere meglio conosciuti, come il Maestro della Natività di Castello o Fra Diamante. Prima di Lippi le figure di maggiore spicco che operarono per Prato furono Donatello e Paolo Uccello. Del primo è una Madonna col Bambino fra due angeli, del museo pratese, sottovalutato capolavoro giovanile. Anche Paolo Uccello, quando verso il 1433 affrescò nel Duomo di Prato, era un giovane in ricerca e la mostra sarà l’occasione storica per raccogliere per la prima volta al mondo praticamente tutte le opere di questa irrequieta giovinezza, fra anni ‘20 e ‘30 del Quattrocento, ancora in bilico tra fiammate goticheggianti e una narrazione più realistica e penetrante. La mostra vuole offrire, attraverso una scelta di opere tutte di grande qualità, alcuni squarci di luce su queste personalità, per aiutare a capire meglio quanto a Prato di loro è rimasto. Al tempo stesso si prefigge alcune operazioni esemplari di ricostruzione di opere che erano a Prato e che sono state smembrate, riunendo predelle e pale ora divise fra i musei pratesi e le collezioni straniere (l’Assunta di Zanobi Strozzi dipinta per il Duomo, ora a Dublino, e la predella del Museo di Palazzo Pretorio; il capolavoro del Maestro della Natività di Castello, la pala di Faltugnano ora nel Museo dell’Opera del Duomo, la cui predella è spartita fra la National Gallery di Londra e la Johnson Collection di Philadelphia). Saranno così riportati a Prato capolavori che si trovano in importanti musei stranieri, come la pala di Budapest di Fra Diamante, proveniente dall’oratorio di San Lorenzo, con un doveroso omaggio al genio di Filippino Lippi, grazie alle opere della giovinezza e del suo ritorno a Prato nella piena maturità artistica.

Concludiamo con una mostra realizzata a Roma, presso i musei Vaticani. Una mostra che fa rivivere in Vaticano il fascino delle raccolte settecentesche del Museo Profano al tempo di Pio VI, prima delle requisizioni napoleoniche. Occasione unica per veder riunite, nel loro luogo di conservazione originario, opere già esposte nel Museo e ora custodite in prestigiose istituzioni culturali internazionali. L’esposizione aprirà in contemporanea al nuovo allestimento delle collezioni storiche del Museo Profano. Il Museo Profano, primo nucleo espositivo delle raccolte di antichità profane del futuro complesso dei Musei Vaticani, fu creato da Clemente XIII (Rezzonico 1758-1769) e impreziosito nelle raccolte e nell’arredo da Pio VI (Braschi 1775-1799). La conclusione dell’impegnativo progetto di restauro che ne ha interessato l’insieme, è stata l’occasione per immaginare un momentaneo “ritorno a casa” di un nucleo di gemme e cammei antichi, legati alla fine del Settecento in elaborate montature neoclassiche, e di pregevoli documenti numismatici greci, etruschi e romani. Coinvolte nelle drammatiche vicende belliche del periodo napoleonico, queste opere presero infatti la via della Francia, come indennizzo di guerra, a seguito dell’uccisione a Roma nel 1798 del generale Mathurin-Léonard Duphot. Nella suggestiva cornice della Sala delle Nozze Aldobrandine - espone infatti per la prima volta in oltre duecento anni negli spazi per i quali erano state originariamente concepite opere come il Gruppo dell’Augusto, con lo splendido ritratto in calcedonia dell’imperatore, il famoso Cammeo Carpegna, onice magnificamente incisa con il Trionfo di Bacco, il Gruppo delle Paste, con il pinax in vetro-cammeo raffigurante gli amori di Bacco e Arianna, e altri Gruppi e cammei genialmente reinterpretati e infusi di nuova vita da Luigi Valadier, celeberrimo argentiere romano della Roma di Pio VI. Spicca su tutti lo straordinario Cammeo Gonzaga, pregevole creazione ellenistica con il ritratto di Tolomeo II Filadelfo e della sua sposa Arsinoe, ultimo grande acquisto di papa Braschi in una Roma ancora ancien régime, requisito da Napoleone per Giuseppina Beauharnais e da lei donato allo zar Alessandro II di Russia. Oggi è uno dei pezzi più ammirati dell’ErmitageAd esse si uniscono i bei rami illustranti la collezione del Museo Profano, realizzati nel Settecento e custoditi presso l’Istituto Nazionale per la Grafica, e una selezione delle monete del medagliere Carpegna rimaste presso il Medagliere Vaticano, accanto ad alcuni pezzi della medesima raccolta ora alla Bibliothèque nationale de France, Cabinet des Médailles. Assieme è la rara moneta etrusca proveniente dalla stipe di “Valle Fuino” presso Cascia, rinvenuta al tempo di Pio VI.

Mostra di antiche icone russe “Bellezza divina, quando l’arte incontra la fede”
8 dicembre 2013 – 6 gennaio 2014
Milano – Chiesa di Sant’Angelo (Via Moscova 9)
Orari: tutti i giorni 10.00-19.00
Ingresso libero

Giacomo Ceruti (1698-1767). Popolo e nobiltà alla vigilia dell’Età dei Lumi
30 ottobre 2013 – 13 dicembre 2013
Milano – Galleria Robilant + Voena (Via Fontana 16)
Orari: lunedì- sabato 10.00-19.00
Ingresso libero
Informazioni: www.robilantvoena.com

La Bella Epoque. Da Boldini a De Nittis
25 ottobre 2013 – 21 dicembre 2013
Milano – Galleria Bottega Antica (Via Manzoni 45)
Orari: martedì – sabato 10.00-13.00/15.00-19.00; chiuso il lunedì e la domenica
Ingresso libero
Informazioni: www.bottegantica.com

Giovanni Fattori
25 ottobre 2013 – 21 dicembre 2013
Milano – GAMManzoni (Via Manzoni 45)
Orari:martedì – sabato 10.00-13.00/15.00-19.00
Biglietti: 5€ intero, 3€ ridotto
Informazioni: www.gammanzoni.com

Antonello da Messina
5 ottobre 2013 – 12 gennaio 2014
Rovereto – MART
Orari: martedì - domenica 10.00 - 18.00, venerdì 10.00 - 21.00; chiuso il lunedì
Biglietti: 11€ intero, 7€ ridotto
Informazioni: www.mart.trento.it

Sangue di drago squame di serpente.
10 agosto 2013 – 6 gennaio 2014
Trento – Castello del Buonconsiglio
Orari: tutti i giorni 9.30-17.00
Biglietti: 8€ intero, 5€ ridotto
Informazioni: www.buonconsiglio.it

Nuovi Capolavori per la Pinacoteca .Dal ’400 al ’900, l’arte raccontata attraverso capolavori inediti
19 ottobre 2013 – 12 gennaio 2013
Rovigo – Palazzo Roverella
Orari: feriali 9.00-19.00; sabato 9.00-20.00; festivi 9.00-20.00; chiuso i lunedì non festivi
Biglietti: 3€ intero, 1€ ridotto
Informazioni: www.palazzoroverella.com

Bodoni (1740-1813) Principe dei tipografi nell’Europa dei Lumi e di Napoleone
5 ottobre 2013 – 12 gennaio 2014
Parma – Palazzo della Pilotta (Biblioteca Palatina e Galleria Nazionale)
Orari: martedì - domenica 9.00 – 18.00; chiuso il lunedì.
Biglietti: 6€

Zurbaràn (1598 – 1664)
14 settembre 2013 – 6 gennaio 2013
Ferrara – Palazzo dei Diamanti
Orari: tutti i giorni 9.00-19.00, chiuso il lunedì
Biglietti: 10€ intero, 8,50€ ridotto
Informazioni: www.palazzodiamanti.it

Mattia Corvino e Firenze. Arte e Umanesimo alla corte del re di Ungheria
9 ottobre 2013 – 5 gennaio 2014
Firenze – Museo di San Marco
Orari: lunedì-venerdì 8.15 – 13.50,sabato 8.15 – 16.50, domenica 8.15 – 18.50
Biglietti: 7e intero, 3,50€ ridotto
Informazioni: www.unannoadarte.it

Pietro Annigoni. Presenza di un artista nel 25° anniversario della scomparsa
16 ottobre 2013 – 6 gennaio 2013
Firenze – Ente Cassa di Risparmio di Firenze (Via Bufalini 6)
Orari:lunedì- venerdì 9.00-19.00; sabato e domenica 10.00-13.00/15.00-19.00
Ingresso libero
Informazioni: www.entecarifirenze.it

Da Donatello a Lippi. Officina pratese
13 settembre 2013 – 13 gennaio 2014
Prato – Palazzo Pretorio
Orari: tutti i giorni 10.00-19.00
Biglietti: 10€ intero, 7€ ridotto
Informazioni: www.palazzopretorio.prato.it

Preziose antichità. Il Museo profano al tempo di Pio VI
2 ottobre 2013 – 4 gennaio 2014
Roma – Musei Vaticani
Orari: tutti i giorni 9.00-16.00
Mostra gratis, pagamento biglietto d’ingresso ai Musei Vaticani
Informazioni: www.vatican.va

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