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Mostre settembre 2018

Autore:
Roda, Anna
Fonte:
CulturaCattolica.it
La ripresa dopo le vacanze è comunque ricca di proposte. Come sempre troviamo nelle diverse città d’Italia mostre archeologiche, storiche, fotografiche, di artisti antichi e moderni… insomma ne abbiamo per tutti i gusti e tutti gli interessi

Le nostre proposte cominciano dalla Val d’Aosta. Cominciamo dal capoluogo, Aosta con una esposizione che rende omaggio al grande fotografo Gabriele Basilico (Milano, 1944-2013) attraverso duecento fotografie, tra le quali una cospicua selezione di immagini dedicate alla Valle d’Aosta. L’itinerario espositivo, diviso per nuclei di ricerca e non strettamente cronologico, prende l’avvio da uno dei suoi lavori più noti, quei Milano Ritratti di fabbriche (1978-1980) che hanno segnato l’inizio delle sue indagini sulle città del mondo. Sono inoltre esposte immagini a colori inedite di Beirut ricostruita (2011) e di alcune metropoli del mondo (Shanghai, Rio, Istanbul, Mosca) e le trasformazioni del paesaggio contemporaneo con due serie di immagini dedicate alla montagna, alla Valle d’Aosta e al passo del San Gottardo, in Svizzera. Novantasei foto provengono dal lavoro Sezioni del paesaggio italiano, realizzato in collaborazione con Stefano Boeri per la Biennale di Architettura di Venezia, nel 1998. Fa seguito un’ampia indagine realizzata in collaborazione con l’architetto Luigi Snozzi in una cittadina svizzera, Monte Carasso (1996), oggi periferia di Bellinzona, che documenta la trasformazione della città grazie agli interventi operati dallo stesso Snozzi. Conclude l’itinerario una selezione di immagini di paesaggio, realizzate in luoghi e occasioni diverse, tra le quali quelle realizzate per incarico della Mission Photographique de la DATAR (1984-1985) in Francia.

Presso il Castello Gamba di Châtillon (Ao) troviamo la mostra Larry Rivers dalla Pinacoteca Agnelli. Tre volti di Primo Levi, un progetto della Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli.
Un’occasione unica per ammirare tre ritratti di Primo Levi non visibili al pubblico, eseguiti dall’artista americano Larry Rivers e oggi custoditi negli uffici della Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli a Torino. Un percorso espositivo che permette di ricostruire la passione per l’arte che ha sempre accompagnato la vita di Giovanni e Marella Agnelli: una passione che li ha portati a collezionare opere importanti, scelte sempre per il piacere estetico che suscitavano, indipendentemente dall’epoca o dalla corrente artistica a cui appartenevano. Nel 1987, in occasione di un viaggio a New York subito dopo la tragica scomparsa di Primo Levi, Giovanni Agnelli– che aveva studiato nello stesso liceo torinese dello scrittore e del quale era di due anni più giovane– acquistò tre ritratti di Primo Levi dipinti da Larry Rivers. Larry Rivers, il cui vero nome è Yitzhok Loiza Grossberg (1923-2002), nacque in America da genitori russi ebrei. Nel 1945, poco dopo aver cambiato nome, Rivers iniziò a dipingere, diventando un protagonista della pop art americana. A metà degli anni Ottanta, Rivers aveva da poco iniziato a fare i conti con le sue origini ebraiche, fino ad allora trascurate. Non aveva esperienze dirette della guerra e dello sterminio e fu profondamente turbato dalla lettura di Se questo è un uomo, suggeritagli dall’amico Furio Colombo, in quegli anni presidente di Fiat USA, che gli regalò una copia del libro. Larry Rivers lesse tutte le opere di Primo Levi, si appassionò alla sua storia e scelse di animare e teatralizzare i romanzi più celebri in tre opere ancora oggi proprietà della famiglia Agnelli: Witness, Survivor e PeriodicTable. A colpire l’artista erano state le diverse identità di Primo Levi: chimico torinese, deportato come partigiano e identificato come ebreo, sopravvissuto allo sterminio e diventato poi famoso come scrittore. Per esprimere al meglio la sua visione della Memoria e della Morte l’artista utilizza la tecnica della cancellazione con figure non pienamente presenti sulla scena. Una perfetta metafora per la difficoltà di trasmettere la memoria dello sterminio da parte dei sopravvissuti: le immagini del passato non si possono dimenticare, eppure, allo stesso tempo, è impossibile riuscire a comunicare fino in fondo la tragedia a chi non l’ha vissuta. I tre dipinti vennero portati in Italia ed esposti, per decisione dell’Avvocato, nella sede de La Stampa, giornale per il quale Primo Levi aveva scritto a partire dal 1959, e in forma più continua dal 1968, saggi racconti ed elzeviri della Terza Pagina. “Mio nonno – racconta Ginevra Elkann, presidente della Pinacoteca Agnelli– decise di collocare i quadri di Rivers in una grande sala che si trovava al piano terreno della sede de La Stampa in Via Marenco 32. Dopo la collocazione dei quadri, la sala venne comunemente chiamata ‘Sala Primo Levi’. Non era aperta al pubblico, ma era usata per le riunioni più importanti e per accogliere i visitatori illustri per un primo saluto o un brindisi di benvenuto”.

Continuiamo che una mostra di altro tenore presso il castello di Sarre (AO). Si tratta dell’esposizione di preziosi abiti legati alla vita di corte e ai momenti più ufficiali di Maria José di Savoia. La sovrana, che nel corso dei suoi numerosi soggiorni estivi ebbe modo di affezionarsi al territorio valdostano e alle sue montagne, rimase nel cuore della popolazione locale, come dimostrato in occasione della sua ultima visita al castello di Sarre il 15 maggio 1998. Maria José aveva con il castello e con la comunità di Sarre un legame privilegiato, poiché dal 1936 al 1942 i Principi di Piemonte trascorsero la villeggiatura estiva nell’austera dimora di caccia di Vittorio Emanuele II e di Umberto I di Savoia. Confezionati dalle più prestigiose case italiane secondo i dettami dell’ultima moda di Parigi, questi preziosi capi esaltavano il ruolo regale della sovrana e al tempo stesso attestavano sin da quell’epoca l’eccellenza dell’alta sartoria di cui ancora oggi l’Italia va fiera. Alcuni di essi furono fatti realizzare da Umberto II per dotare la futura sposa di un prestigioso corredo nuziale tutto made in Italy, di cui la Principessa si sarebbe fatta ambasciatrice nel mondo. Dopo l’esito del referendum a favore della repubblica, Maria José e Umberto lasciarono immediatamente l’Italia; partendo per l’esilio, e la Regina di maggio portò con sé gli abiti più belli del suo guardaroba, passati in seguito alla Fondazione ginevrina. Oltre agli abiti di corte, in mostra si potranno ammirare anche la divisa da crocerossina di Maria José, che si adoperò per la riorganizzazione del Corpo Nazionale della Croce Rossa e durante la guerra prestò la sua opera presso i reparti italiani al fronte, e due uniformi degli uscieri di corte dell’epoca di Carlo Alberto. Nel Cabinet des Estampes saranno esposte varie fotografie di Maria José a Sarre, sia del periodo d’anteguerra, sia delle visite ufficiali compiute nel 1989 e nel 1998. Al materiale iconografico si aggiungeranno alcuni documenti del carteggio privato tra Maria José e il parroco Aimé-Samuel Chatrian (1960-2004), donato di recente all’Académie Saint-Anselme, della quale Maria José era membro d’onore. Il canonico Chatrian ha intrattenuto fino all’ultimo stretti rapporti con la famiglia Reale: aveva presenziato, tra l’altro, al battesimo del principino Emanuele Filiberto IV e concelebrato le esequie di Umberto II nel 1983 e di Maria José nel 2001.

Ci spostiamo ora in Piemonte, a Torino per la mostra Il silenzio sulla tela. Natura morta spagnola da Sánchez Cotán a Goya. La mostra traccia il percorso di sviluppo di questo genere su due secoli di produzione: dalla silente concentrazione delle tele del Seicento, con l’indagine accurata e preziosa degli oggetti della vita quotidiana e della natura, attraverso le trionfanti composizioni barocche, ricche di decorazioni floreali e intrise di significati simbolici, si arriva all’età delle accademie e alla consacrazione del genere all’interno dei canoni artistici. Per il visitatore sarà come intraprendere un viaggio tematico attraverso alcuni dei più importanti musei del mondo, ammirando straordinari esempi di bodegones dipinti da Juan Sánchez Cotán, le Mele in cestino di vimini di Juan de Zurbarán, le scene allegoriche nella Vanitas e Il Sogno del Cavaliere di Pereda, la Natura morta con quaglie, cipolle, aglio e recipienti caratterizzata dallo straordinario virtuosismo tecnico di Meléndez e l’impressionante Natura morta con tacchino di Goya. La rappresentazione degli oggetti quotidiani, dei frutti, delle piante o degli animali, isolati e raffigurati senza la presenza dell’uomo, si diffonde in Europa intorno al 1590-1600. Fin dalla sua nascita, la natura morta viene intesa come un esercizio mimetico di descrizione analitica della realtà naturale, caratterizzato da un forte senso decorativo. Il caso spagnolo presenta alcune peculiarità che lo contraddistinguono dalle soluzioni compositive adottate negli altri paesi europei, come ben dimostra anche l’uso di una parola specifica per indicare questo particolare genere figurativo: bodegón. Sebbene sia possibile mettere in relazione le prime nature morte spagnole con modelli fiamminghi e italiani, il loro carattere austero e le personali interpretazioni del tema fornite da importanti pittori quali Juan Sánchez Cotán, Juan de Zurbarán, Luis Meléndez o Francisco de Goya, implicano un loro specifico riconoscimento fra i vertici dell’arte occidentale. La mostra è arricchita dal dialogo tra le opere spagnole e nove dipinti italiani e fiamminghi appartenenti alle collezioni della Galleria Sabauda, tra le quali la Natura morta con frutta, dolci, crostacei, un bicchiere e un topo di Peter Binoit, La vanità della vita umana di Jan Brueghel, caratterizzata da una grandissima ricchezza iconografica, o ancora il Vaso con fiori e insetti di Cornelis De Heem. A queste si aggiunge una superba opera di Giuseppe Recco, Natura morta con pesci e molluschi.

Da Torina a Venaria Reale (To) per due mostre allestire sempre nel contesto della Reggia.
La prima si intitola Preziosi strumenti, illustri personaggi. Violini, viole, chitarre a 5 ordini, mandolini, chitarre-lira, arpe, ghironde e salteri costruiti da sommi liutai, riconosciuti ed apprezzati in tutto il mondo: da Stradivari a Guarneri “del Gesù”, da Amati a Guadagnini, da Vinaccia a Fabricatore, Berti, Battaglia, Nadermann, Torres e Hauser che rappresentano i principali protagonisti italiani ed europei di un artigianato artistico, la liuteria, che in tutto il mondo, da secoli, è inscindibilmente legato alla cultura del “far musica”. Preziosi strumenti che su questo ambizioso palcoscenico, trascendono il semplice oggetto di artigianato artistico, per recitare ruoli di vere e proprie opere d’arte. Una sfida avvincente che delinea un quadro socio-culturale ed artistico in cui sono protagonisti trenta preziosi strumenti musicali, per la maggior parte esposti per la prima volta al pubblico, perché di collezioni private, appartenuti a illustri personaggi: da celebri musicisti del calibro di Gaetano Pugnani, Niccolò Paganini, Henry Vieuxtemps, Mauro Giuliani, Francesco Molino, Federico Cano, Ramon Montoya, Andrés Segovia, Ida Presti, ad una serie di importanti personaggi storici quali l’Imperatore Leopoldo I d’Asburgo, l’Imperatrice Maria Teresa di Borbone Napoli, la principessa Maria Teresa Strozzi, il conte Cozio di Salabue, la duchessa Maria Cristina di Borbone Napoli, la contessa Maria Beatrice Barbiano di Belgioioso, la duchessa Maria Teresa di Borbone Francia, la regina Margherita di Savoia. La mostra è anche l’occasione per portare alla conoscenza del largo pubblico la liuteria torinese che, a partire dalla fine del Settecento, conquistò (rispetto alla ormai decadente liuteria Cremonese) una posizione di primaria importanza in un panorama d’interesse europeo, mantenendola saldamente per più di un secolo. È la riscoperta di un’altra nascosta eccellenza culturale piemontese.

La seconda si inserisce nel contesto elle restituzioni: il programma di salvaguardia e valorizzazione del patrimonio artistico nazionale che Intesa Sanpaolo promuove e organizza da quasi trent’anni. La mostra presenta 80 nuclei di opere, per un totale di 212 manufatti restaurati con il sostegno di Intesa Sanpaolo nel biennio 2016-2017, provenienti da 17 Regioni italiane (più una presenza estera, da Dresda) e che coprono un arco cronologico che va dall’antichità al contemporaneo. Tra gli altri, gli affreschi della Tomba di Henib, dal Museo Egizio di Torino, o la preziosa Testa di Basilea, dal Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria, il Ritratto di Caterina Balbi Durazzo di Anton Van Dyck, da Palazzo Reale di Genova, San Girolamo penitente di Tiziano, dalla Pinacoteca di Brera, San Daniele nella fossa dei leoni di Pietro da Cortona, dalle Gallerie dell’Accademia di Venezia, fino a opere di Morandi, Burri e Twombly. Nella grande varietà, non mancano gli oggetti più particolari come il Mantello Tupinambà, fatto di penne e fibre di cotone, giunto tra XVI e XVII secolo in Italia dal Brasile, oggi conservato nella Pinacoteca Ambrosiana, o un seicentesco clavicembalo dipinto, dal Museo Nazionale degli Strumenti Musicali di Roma.

Andiamo ora a Cuneo per la mostra Michele Pellegrino. Una parabola fotografica.
L’esposizione ripercorre i 50 anni di carriera del fotografo originario di Chiusa Pesio Michele Pellegrino e sarà accompagnata da “Storie”, una speciale monografia sull’intera opera di Pellegrino. Il titolo della mostra trae ispirazione da una riflessione di Cesare Pavese, che in una lettera del 1949, riferendosi al suo romanzo “Paesi tuoi”, afferma: “L’opera è un simbolo dove tanto i personaggi che l’ambiente sono mezzo alla narrazione di una paraboletta, che è la radice ultima della narrazione e dell’interesse: il ‘cammino dell’anima’ della mia Divina Commedia”. Il percorso espositivo comprende 75 fotografie suddivise in 19 sezioni monotematiche e prende avvio dalla navata dell’ex Chiesa di San Francesco per terminare nelle cappelle, con un viaggio che conduce il visitatore dai ritratti dei contadini degli anni ‘70 sino ai paesaggi montani dagli anni ‘80 ad oggi. Le prime sezioni, le immagini degli anni ‘70, rappresentano personaggi fuori dal tempo, soggetti anacronistici, quasi dei fossili antropologici: mezzadri di pianura, montanari delle alture delle Langhe, frati e suore di clausura. A questi frati e alle suore che per propria scelta vivono al di fuori della società, Pellegrino negli anni tra il 1972 e 1980 ha dedicato la sua ricerca fotografica. Questo lavoro trova rappresentazione in mostra nella sezione specifica “Padri e sorelle” e nel “Trittico mistico”, una composizione di tre grandi foto conventuali, esposto nell’abside. Dagli anni ‘80, invece, le fotografie di Pellegrino vedono via via scomparire la figura umana. I soggetti scelti dal fotografo diventano i paesaggi montuosi e, più raramente, quelli marini, i paesi e le borgate di montagna spopolati dall’emigrazione verso la pianura e la città.

Il Museo del Paesaggio di Verbania riapre la stagione primaverile con una incantevole mostra dedicata al paesaggio, Armonie verdi. Paesaggi dalla Scapigliatura al Novecento. La mostra si svolge in 3 sezioni: Scapigliatura, divisionismo, naturalismo; Artisti del Novecento Italiano; Oltre il Novecento, e svelerà l’incanto di circa cinquanta opere – tra cui dipinti di Daniele Ranzoni, Francesco Gnecchi, Lorenzo Gignous, Emilio Gola, Mosè Bianchi, Carlo Fornara, Ottone Rosai, Filippo De Pisis, Arturo Tosi, Umberto Lilloni – provenienti dalle Raccolte d’arte della Fondazione Cariplo, del Museo del Paesaggio di Verbania e da collezioni private. Un suggestivo e affascinante viaggio tra capolavori d’arte di fine Ottocento alla prima metà del Novecento, che si snoda lungo scenari di grande poesia, bellezza e colori, per indagare il rapporto senza tempo tra uomo e natura. La panoramica delle opere scelte testimonia le variazioni dell’interpretazione del paesaggio, dalla centralità ancora di origine romantica che il tema occupa nella pittura di fine Ottocento, alla interpretazione volumetrica degli anni venti, dove il paesaggio è costruito come un’architettura e suggerisce un senso di solidità e di durata, fino al nuovo senso di precarietà espresso a partire dagli anni Trenta. Il paesaggio, poco considerato dai futuristi che amavano la città industriale e la macchina, torna a riaffermarsi in pittura col Ritorno all’ordine e col Novecento Italiano, cui è dedicata la seconda sezione della mostra. La sezione si vale anche di due prestigiosi nuclei di opere recentemente assicurati, con un deposito, al Museo del Paesaggio: Il lago, 1926, di Sironi, e un’importante serie di paesaggi di Tosi. Col Novecento Italiano infatti alla volatilità dei paesaggi precedenti subentrano opere caratterizzate da forza costruttiva e solidità, come Paesaggio, 1922, di Rosai: Ornavasso, 1923 e Guardando in alto, 1925, di Carpi; Pioppi, 1930, di Michele Cascella; Paesaggio invernale, 1930 e Piazza Santo Stefano a Milano del 1935, stilizzati e stupefatti paesaggi urbani di Penagini. Emblematico di questa sezione è Il lago, 1926, di Sironi, che non ha nulla di grazioso o di pittoresco: è il frammento di un mondo senza tempo, immobile, incastonato in una chiostra anch’essa immobile di montagne. Con gli anni Trenta le cose cambiano nuovamente, si abbandonano le forme volumetriche e la pittura torna a esprimere un senso di finitezza e precarietà. Lo si vede nel tremante Temporale (1933), di De Pisis; in Paesaggio di Lavagna (1934) di Lilloni, o in opere del secondo dopoguerra di Dudreville (Case a Feriolo, 1945) e Soffici (Veduta serale del poggio,1952).

Le nostre proposte ci portano ora a Milano per due mostre molto interessanti a carattere archeologico. Presso il Civico Museo Archeologico abbiamo Viaggio nel tempo con M4. Le nuove scoperte archeologiche lungo la Linea Blu. Gli scavi per la realizzazione di M4 sono un’occasione unica per ampliare le nostre conoscenze sulla storia di Milano. La mostra raccoglie le principali scoperte rinvenute nel sottosuolo in occasione degli scavi per la Blu, pannelli informativi posizionati sui cantieri e la possibilità di vedere da vicino tanti reperti inediti che “raccontano” la storia di Milano. In particolare i reperti archeologici portati alla luce tra le stazioni di San Babila e Sant’Ambrogio; in particolare le ossa di una bambina (o di un bambino) di circa due anni vissuta tra il I secolo. a.C. e il I d.C. che riposavano a pochi metri di profondità sotto il marciapiede in corso Europa, in una necropoli dove è stato trovato anche un secondo bambino; la colonna segreta nascosta all’interno della colonna del Redentore in largo Augusto, in quello che era il ‘Verziere’ (mercato ortofrutticolo) della città e ancora la Pusterla dei Fabbri, in piazza Resistenza partigiana, un muro che apparteneva al sistema difensivo dell’età medioevale nel ponte dell’antico Naviglio di San Girolamo

Sempre all’Archeologico abbiamo la mostra Quando il lusso diviene colore– I marmi delle terme Erculee di Milano. Il percorso espositivo, allestito all’interno delle sezioni di Milano Antica e Abitare a Mediolanum, è dedicato alle Terme Erculee di Milano tardoimperiale. Essa vuole illustrare, attraverso i piccoli ma numerosi ritrovamenti, la ricchezza dell’apparato decorativo delle Terme fatte costituire dell’imperatore Massimiano Erculeo tra la fine del III secolo e l’inizio del IV secolo d.C. nella zona compresa tra corso Vittorio Emanuele e corso Europa. Sono marmi pregiati che arrivavano dalla Grecia, dall’Africa e dall’Asia minore quelli che arredavano pavimenti e pareti delle Terme Erculee, fatte erigere dall’imperatore Massimiano nel centro di Milano alla fine del III secolo e all’inizio del IV. Si trattava di un complesso sontuoso di oltre 14.000 mq che sorgeva nell’area oggi occupata da corso Europa, piazza san Babila e corso Vittorio Emanuele. Dopo i primi nell’Ottocento, diversi scavi a partire dalla seconda metà del Novecento ad oggi hanno portato alla luce diversi reperti di questo monumento di una Milano romana ancora poco conosciuta, che sono stati analizzati e catalogati presso il Laboratorio di Archeologia e il Dipartimento di Storia, archeologia e storia dell’arte dell’Università Cattolica con il supporto degli studenti del corso di laurea magistrale in Archeologia e storia dell’arte e della scuola di specializzazione in Beni archeologici.

Eccoci a Lecco per la mostra fotografica Robert Doisneau pescatore d’immagini. Il percorso espositivo rappresenta tutto l’arco della sua carriera Robert Doisneau (1912-1994), con fotografie come Le Baiser de l’Hôtel de Ville, Les pains de Picasso,Prévert au guéridon e apre con l’autoritratto del 1949 per poi prendere in considerazione i soggetti a lui più cari, conducendo il visitatore in una super-piacevole bighellonata nei giardini di Parigi, lungo la Senna, per le strade del centro e della periferia, nei bistrot e nelle gallerie d’arte della capitale francese. I soggetti prediletti delle sue fotografie sono, infatti, i parigini: le donne, gli uomini, i bambini, gli innamorati, gli animali e il loro modo di vivere questa città senza tempo. Quella che Doisneau ha tramandato ai posteri è l’immagine della Parigi più vera, ormai scomparsa e fissata solo nell’immaginario collettivo; è quella dei bistrot, dei clochard, delle antiche professioni; quella dei mercati di Les Halles, dei caffè esistenzialisti di Saint Germain des Prés, punto d’incontro per intellettuali, artisti, musicisti, attori, poeti, come Jacques Prévert col quale condivise, fino alla sua morte, un’amicizia fraterna e qui presente con uno scatto –Prévert au guéridon– che lo ritrae seduto al tavolino di un bar con il suo fedele cane e l’ancor più fedele sigaretta. Com’ebbe modo di ricordare lo stesso Doisneau, “Le meraviglie della vita quotidiana sono così eccitanti; nessun regista può ricreare l’inaspettato che si trova nelle strade”.

Il Castello di San Giorgio a Mantova ospita la mostra Il giro del mondo in 8 stanze che presenta, per la prima volta in Italia, i cosmorami di Hubert Sattler(1817-1904), provenienti dal Salzburg Museum. L’esposizione invita il visitatore a vestire i panni di Phileas Fogg e del fido cameriere Passepartout, protagonisti del romanzo di Jules Verne Il giro del mondo in 80 giorni, il libro che rivoluzionò l’idea stessa di viaggio, verso una forma più moderna e popolare che superasse quella aristocratica del Grand Tour o religiosa dei pellegrinaggi. Il pubblico si trova immerso in paesaggi e contesti dei più vari, grazie alle vedute di paesaggi e di città raccolte sul posto dall’artista austriaco, dapprima con i disegni, poi con i degherrotipi, quindi dipinte a olio su grandi tele con estrema precisione tecnica e in grado di rendere al massimo l’illusione della realtà. Il percorso espositivo si apre con una sezione che presenta due prime edizioni del Giro del mondo di Verne, in francese e in italiano, e con oggetti d’epoca come valigie, guide turistiche, souvenir, cartoline e altro. Ha quindi inizio il viaggio vero e proprio attraverso i cosmorami di Hubert Sattler, in un itinerario che tocca l’Italia (Roma, Genova, Pompei, Venezia, Taormina) e prosegue nelle grandi capitali europee come Londra e Parigi, il cui profilo è mancante del simbolo moderno della Tour Eiffel. Quindi, attraversando il Mediterraneo, Sattler rivela i paesaggi esotici del Vicino Oriente e dell’Egitto per poi trasferirsi in America di cui coglie le metropoli del futuro, come New York ancora senza grattacieli, Boston, Città del Messico, ma anche i grandi monumenti naturalistici, come il Grand Canyon o le cascate del Niagara. La rassegna si chiude idealmente con una riflessione sul viaggio intrapreso per necessità, illustrato da alcune testimonianze del fenomeno dell’emigrazione, che spinse molti a cercare fortuna lontano dalla propria patria.

Arriviamo ora a Trento. La notte di Capodanno del 2011 un’autobomba esplode davanti alla Chiesa dei Santi di Alessandria d’Egitto. Riflettendo su questo tragico avvenimento, nel giugno dello stesso anno, la fotografa Linda Dorigo e il giornalista Andrea Milluzzi, decidono di intraprendere un viaggio alla ricerca delle ultime comunità di cristiani del Medio Oriente, una minoranza religiosa spesso oggetto di violenza. Linda Dorigo e Andrea Milluzzi hanno attraversato nove paesi (Iraq, Iran, Libano, Egitto, Israele, Palestina, Giordania, Siria e Turchia) per trovare in quei luoghi una chiave di lettura del presente, interrogando il passato, incontrando le comunità cristiane e andando alla scoperta di quelle terre. Un viaggio a ritroso nei secoli che ci separano dalla nostra storia più antica, scandito da incontri, silenzi, confessioni e confidenze. Per due anni, due mesi e dieci giorni, hanno vissuto nei villaggi delle antiche comunità cristiane e hanno trascorso le loro giornate a contatto con i protagonisti delle fotografie in mostra, dormendo nelle loro case per “cercare di raccontare nella maniera più veritiera la loro condizione, le paure, la bellezza del loro quotidiano e dei luoghi che abitano, le piccole cose che fanno sì che, nonostante le difficoltà, le comunità millenarie rimangano, seppure in numero limitato, nei luoghi che le hanno viste nascere”. Il risultato di questo lungo viaggio è diventato un ampio reportage confluito in una pubblicazione, Rifugio, e in una mostra composta da 32 stampe ai sali d’argento di foto scattate in pellicola bianco e nero. Il nucleo narrativo che unisce le immagini ruota intorno al concetto di “nostalghia” intesa non solo come uno stato psicologico di tristezza e di rimpianto per la lontananza da persone o luoghi cari, ma anche come risposta al sentimento del pericolo incombente sulla propria identità.

Una interessante rassegna ci aspetta a Jesolo (Ve), dal titolo Egitto. Dei, faraoni, uomini.
Ma nulla in questa rassegna sarà “imbalsamato”. Qui il pubblico viene condotto per mano alla scoperta di una grande civiltà, immergendosi nel mito che l’ha da sempre circondata, in un viaggio in undici tappe che risulterà intensamente rivelatore di una grande pagina della storia universale. Una storia che geograficamente si concentra nelle terre bagnate dal Nilo ma che, grazie anche a ciò che è emerso dalle più recenti campagne di scavo, si situa molto più “dentro” il Mediterraneo di quanto si usasse pensare. Una sezione sarà riservata alle Regine e alle Dee d’Egitto, dando così uno spazio anche alle grandi donne della civiltà egizia. Inoltre il pubblico avrà anche l’emozione di esplorare di persona due delle più emblematiche camere sepolcrali egizie: la tomba dell’artigiano Pashed e la leggendaria tomba di Tutankhamon, “il faraone fanciullo” dodicesimo re della XVIII dinastia egizia, scoperta da Howard Carter nel 1922, entrambe perfettamente ricostruite in scala 1:1. Protagonista assoluta è la mummia di Asti, da poco restaurata e mai esposta al pubblico, che coinvolgerà i visitatori in una vera e propria attività di ricerca scientifica tramite un’installazione multimediale. Grazie al supporto e alla collaborazione della polizia criminale è stato infatti possibile realizzare la ricostruzione del volto che sarà presentata in anteprima alla mostra e con il reparto di radio diagnostica dell’ospedale di Asti è stata realizzata una TAC sulla mummia che ha rivelato incongruenze e misteri per ora irrisolti, e che sta già richiamando l’attenzione dei più grandi studiosi ed egittologi. Di chi era il corpo della mummia? Chi ha violato la sua sepoltura, e in quale epoca? Domande che troveranno risposta nella sala dedicata alla mummia di Asti

Siamo quasi ad Udine, per la precisione a Illegio (Ud), sede di mostre dal forte intento didattico ed evocativo. Il tema scelto quest’anno è Padri e figli. Oltre 60 opere da tutta Europa, dal IV secolo avanti Cristo fino al XX secolo, fanno scoprire e meditare il legame forse più decisivo della nostra vita. Non tutti diventeremo padri, tutti però siamo figli e in qualche modo portiamo un padre dentro di noi. Ci potremmo accorgere che diventare padre non significa semplicemente generare qualcuno, ma assumersi la cura del suo destino con un atto di dedizione straordinario. La storia di padri che vogliono che i figli diventino più grandi di loro, e quella di padri che invece temono la grandezza dei loro figli. La storia di padri che hanno sorriso per i loro figli e di quelli che li hanno pianti, e la storia di figli che hanno gioito per i loro padri o che hanno pianto i loro padri, ci prenderà al cuore e agli occhi grazie allo splendore di opere intense e spirituali, che ci aiuteranno a meditare molto. Come sempre le mostre di Illegio non faranno solo un ottimo effetto alla nostra sensibilità ma ci aiuteranno a pensare e vivere».

Cominciamo a scendere verso il sud dell’Italia, fermandoci in Emilia Romagna.
Siamo alle Gallerie Estensi di Modena per la rassegna Nuove acquisizioni. Le Nature morte del Maestro di Hartford. A partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso, gli studiosi di natura morta italiana si interrogarono sull’autore del meraviglioso Vaso di fiori e frutta su tavolo conservato al Wadsworth Atheneum Museum of Art di Hartford. Ascrivibile al contesto romano dei primissimi anni del Seicento, tale dipinto presenta stringenti ed enigmatiche affinità stilistiche con la produzione giovanile di Caravaggio e nel tempo è stato radunato attorno ad esso un corpus di una decina di altre opere dello stesso misterioso autore, convenzionalmente chiamato “Maestro di Hartford”. Fra di esse, la coppia di nature morte della Galleria Estense manifesta i tipici elementi comuni a questo nucleo di dipinti: la luce analitica, l’ampolla di vetro in cui sono immersi i fiori, la presentazione di frutta su una tovaglia bianca contro uno sfondo scuro. È possibile che provengano dalla collezione del cardinale Scipione Borghese, il grande mecenate e collezionista che di sicuro possedeva altri dipinti del Maestro di Hartford, due dei quali ancora oggi conservati a Roma in Galleria Borghese. Queste tele provengono storicamente da Villa Parisi Borghese a Monte Porzio Catone (RM), edificio acquistato nel 1614 dal cardinale Scipione Borghese e rimasto in possesso della famiglia fino alla fine dell’Ottocento, quando è passato agli attuali proprietari. Dal 1972 sono state più volte vendute sul mercato. Nel 1994 il Ministero dei Beni Culturali ne ha notificato l’interesse culturale particolarmente importante, e nel corso della successiva vendita all’asta, avvenuta a Milano, il 28 novembre 1995, le ha acquistate esercitando il diritto di prelazione. Tuttavia, l’acquirente, un noto collezionista modenese, che le aveva comprate nella stessa asta del 1995 ha impugnato il provvedimento dando inizio a una lunga vicenda giudiziaria. A causa del lungo protrarsi della contesa, risolta in favore dello Stato solo nel 2018, la Direzione Generale Musei del MiBACT ha assegnato permanentemente le due opere alla Galleria Estense di Modena, dov’erano state custodite in deposito per tutti questi anni, per ragioni di competenza territoriale rispetto alla residenza del ricorrente.

Le nostre proposte ci portano ora a Bologna per tre mostre.
Da diversi anni i Musei Civici d’Arte Antica propongono l’iniziativa Ospiti, in occasione della quale vengono mostrate temporaneamente al pubblico opere frutto di scambi attivati in occasione della quale vengono esposte temporaneamente al pubblico opere che possono suscitare interesse per la singolarità della loro storia o di ciò che raffigurano, ma anche per la loro rarità, o per la ricerca di una loro corretta attribuzione o per un particolare legame con il patrimonio artistico o la storia dell’arte della città e del suo territorio. In questa occasione si tratta di oggetti che provengono da due musei tedeschi: un prezioso reliquiario a busto del capo di san Paolo dal Museo della Cattedrale di Muenster e una scultura in legno rinascimentale raffigurante il “Cristo Redentore” dal Maximilianmuseum di Ausburg. Due manufatti di grande valore artistico e religioso che ci permettono di conoscere meglio l’epoca medioevale.

Sempre Bologna, ma Palazzo Belloni per la rassegna Francis Bacon Mutazioni. Si tratta di circa 70 lavori, fra disegni, pastelli e collage, realizzati dall’artista, irlandese di nascita da genitori inglesi, tra il 1977 e il 1992 e regalate al amico italiano Christiano Lovatelli Ravarino. Di grandi dimensioni e tutte firmate le opere rappresentano un vero percorso narrativo “revisionista” attraverso il quale Bacon affronta il proprio processo creativo e con esso le proprie ossessioni. Francis Bacon (Dublino 1909 – Madrid 1992), intervistato da David Silvester, suo biografo ufficiale, affermava di non avere mai fatto disegni preparatori per i suoi dipinti, ma era ugualmente vero che fin dall’inizio della sua carriera era solito disegnare e lo aveva continuato a fare, riservatamente ma sistematicamente, per tutta la vita. In realtà il disegno è stato un suo mezzo espressivo spesso usato e, in particolare, nella produzione tardiva esposta a Bologna rappresentano una sorta di rivisitazione delle tematiche affrontate nel passato: dai papi

Alla Fondazione MAST viene presentata per la prima volta in Italia una mostra interamente dedicata al fotografo americano W. Eugene Smith (1918-1978) e alla monumentale opera realizzata a partire dal 1955 a Pittsburgh, all’epoca la principale città industriale del mondo. Il progetto, considerato da Smith l’impresa più ambiziosa della propria carriera, segnò un momento di svolta nella sua vita professionale e personale. A trentasei anni, dopo la fama e il successo ottenuti come fotoreporter inviato di “Life” sui luoghi dei principali avvenimenti della seconda guerra mondiale, decise di chiudere con i mal tollerati vincoli imposti dai media, per dedicarsi alla fotografia con totale libertà espressiva. Il primo incarico come freelance fu la realizzazione di un centinaio di fotografie su Pittsburgh per un libro sul bicentenario della sua fondazione. La città era in pieno boom economico grazie alla crescita dell’industria siderurgica e in particolare delle acciaierie, che garantivano lavoro e attiravano operai da tutto il mondo. Smith rimase affascinato dalla Città dell’Acciaio, dai volti dei lavoratori, dalle strade, dalle fabbriche, dagli infiniti particolari e dalle contraddizioni del tessuto sociale di questa metropoli brulicante di vita. Si mise in cerca della vera anima della città, mosso dal desiderio di trovare l’assoluto, di essere davvero pronto e presente nei rarissimi attimi in cui la verità della vita si manifesta nelle apparenze del mondo. Pittsburgh diventò ben presto un’ossessione. Invece che per un paio di mesi, Smith continuò a fotografare per due o tre anni, restando impegnato per il resto della vita in innumerevoli tentativi di produrre, a partire dai quasi 20.000 negativi e 2.000 masterprints, il libro che avrebbe rivelato l’anima della città senza lasciare fuori nulla, un’opera senza precedenti nella storia della fotografia.

Ferrara ospita una grande mostra dedicata alle comunità ebree presenti sul suolo italiano. Oltre duecento oggetti – molti preziosi e rari –, fra i quali venti manoscritti, sette incunaboli e cinquecentine, diciotto documenti medievali, provenienti in gran parte dalla Genizah del Cairo (un significativo archivio dell’ebraismo medievale riscoperto nella capitale egiziana), quarantanove epigrafi di età romana e medievale e centoventuno tra anelli, sigilli, monete, lucerne, amuleti, poco noti o mai esposti prima, prestati da musei italiani e stranieri di primo piano.Il tutto è presentato in un percorso espositivo coinvolgente, ricco di immagini, ricostruzioni ed esperienze offerte al visitatore. La mostra Ebrei, una storia italiana. I primi mille anni, che di fatto costituisce il primo segmento del percorso permanente del MEIS, comunica in modo originale l’unicità della storia dell’ebraismo italiano, descrivendo – per la prima volta con tale ampiezza – come la presenza ebraica si sia formata e sviluppata nella Penisola dall’età romana (II sec. a.e.v.) al Medioevo (X sec. d.e.v.) e come gli ebrei d’Italia abbiano costruito la propria peculiare identità, anche rispetto ad altri luoghi della diaspora. Attraverso cinque grandi divisioni, il percorso individua le aree di provenienza e dispersione del popolo ebraico, ripercorre le rotte della diaspora e dell’esilio verso il Mediterraneo occidentale, dopo la distruzione del Tempio. Documenta la permanenza a Roma e nel sud Italia, parla di migrazione, schiavitù, integrazione e intolleranza religiosa, in rapporto sia al mondo pagano che a quello cristiano. Segue la fioritura dell’Alto Medioevo e poi, in un clima politico segnato dalle dominazioni longobarda, bizantina e musulmana, il precisarsi di una cultura ebraica italiana, anche a nord. Fino alle Crociate, agli eccidi, alle conversioni forzate che segnano le comunità ebraiche tedesche, mentre quelle italiane godono ancora di una notevole stabilità e relativa convivenza con l’ambiente circostante, come testimonia l’ebreo Beniamino da Tudela nel suo “Libro di viaggi”.

Nell’operosa Faenza (Ra) compie 80 anni– per 60 edizioni– lo storico Concorso Internazionale della Ceramica d’arte contemporanea – Premio Faenza. La prima edizione nazionale fu realizzata nel 1938 e dal 1964 divenne internazionale. Il concorso, tra i più riconosciuti al mondo, è stato fondamentale per traghettare il pubblico e il mondo dell’arte dalla concezione di ceramica come materia esclusivamente artigianale a materia “alta” per la scultura d’arte. Nel corso degli anni il Concorso ha visto protagonisti del calibro di Lucio Fontana, Leoncillo Leonardi, Angelo Biancini, Guido Gambone, Pietro Melandri, Carlo Zauli– e stranieri– Eduard Chapallaz, Sueharu Fukami– che hanno fatto non solo la storia della ceramica del XX secolo, ma anche quella della scultura e della pittura. Per celebrare la 60esima edizione, da circa tre anni, il museo sta preparando un evento speciale. L’edizione del 2018 si trasforma in una grande Biennale della Ceramica Contemporanea Internazionale, ad invito, curata dai critici d’arte internazionali. I 17 curatori coinvolti hanno selezionato 53 artisti di fama internazionale per mappare lo stato dell’arte ceramica internazionale oggi. Non solo scultura ma anche, e soprattutto, progetti installativi e performativi saranno i veri protagonisti di questa esposizione.

Le prossime proposte riguardano la Toscana.

Nel 160° anniversario della nascita di Giacomo Puccini a Lucca si è organizzata una grande mostra per scoprire il rapporto tra Giacomo Puccini e gli artisti del proprio tempo e indagare l’influenza che il compositore e la sua estetica esercitarono sulle arti visive in Italia tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento. Una ricerca che regala suggestioni, spunti di riflessioni e molti capolavori. Realizzata dalla Fondazione Ragghianti, in collaborazione con la Fondazione Giacomo Puccini, Per sogni e per chimere presenta al pubblico circa 120 pezzi inediti custoditi in collezioni private, delineando un emozionante panorama degli artisti vicini ai temi e al clima espressivo di Puccini. Boldini, Previati, Chini, Nomellini, Cremona, Michetti, Conconi, Troubetzkoy, Selvatico, Cappiello, De Servi, Discovolo, Pagni, Fanelli, Rietti, De Albertis, Baletrieri, Andreotti, Hohenstein, Metlicovitz, Nunes Vais sono soltanto alcuni degli artisti di cui si possono ammirare le opere nella mostra, dedicata alla memoria di Simonetta Puccini. Dipinti e sculture ispirate a Puccini e ai personaggi dei suoi melodrammi, ritratti del Maestro, opere di artisti da lui amati e collezionati, fotografie d’epoca, oggetti, documenti, manifesti, cimeli, per entrare nel mondo del grande compositore e svelare anche la sua passione per il disegno e la caricatura, oltre che l’attenzione messa nell’arredo delle proprie case. La mostra ci immerge in un mondo sognante, di passaggio fra tardo-naturalismo, Scapigliatura, Simbolismo, Liberty, al quale Puccini contribuì in maniera decisiva con le proprie opere.

A Massa Marittina troviamo la mostra dal titolo: Ambrogio Lorenzetti in Maremma. I capolavori dei territori di Grosseto e Siena. Lorenzetti, noto come il pittore del “Buon Governo”, il ciclo di dipinti allegorici e dalle visioni urbane e agresti nel Palazzo Pubblico di Siena, è stato un pittore dall’incontenibile creatività che ha rinnovato profondamente molte tradizioni iconografiche. Un innovatore dei dipinti d’altare, di storie sacre e che ha allargato lo sguardo della pittura alla narrazione del paesaggio e della pittura d’ambiente, artista fino a poco tempo fa paradossalmente poco conosciuto. Questo evento espositivo rappresenta l’ideale prosecuzione di quell’evento ma anche e soprattutto, un omaggio alla città di Massa Marittima dove è conservato uno dei grandi capolavori del pittore trecentesco la Maestà realizzata intorno al 1335. Un’opera dipinta dal Lorenzetti per gli eremiti agostiniani della chiesa di San Pietro all’Orto che da nome all’attuale museo situato accanto alla chiesa. In questo dipinto Ambrogio elaborò un’iconografia complessa, una grande opera che raffigura le tre virtù teologali sedute sui gradini che conducono al trono della Madonna. A partire da questo importante dipinto si sviluppa la mostra che si propone di offrire una visione d’insieme delle varie stagioni conosciute dal pittore nel corso della propria carriera; al fine di contestualizzare meglio la stessa Maestà nell’ambito di quella che era considerata la Maremma senese, sono esposte in mostra opere provenienti dalla chiesa di San Galgano a Montesiepi, Roccalbegna, Montenero d’Orcia e poi Siena.

Una sontuosa rassegna di arte islamica, è stata organizzata a Firenze dagli Uffizi con il Museo Nazionale del Bargello, un’occasione unica per scoprire conoscenze, scambi, dialoghi e influenze tra le arti di Occidente e Oriente. Firenze e l’Islam. Arte e collezionismo dai Medici al Novecento è il risultato di oltre due anni di ricerca di un comitato scientifico internazionale che ha lavorato intensamente alla selezione delle opere e al catalogo della mostra, con saggi ricchi di indagini scientifiche e storiche, utili a mettere in chiaro il ruolo importantissimo di Firenze negli scambi interreligiosi e interculturali tra il Quattrocento e il primo Novecento. L’interesse antico di Firenze per il mondo islamico, è testimoniato già nei diari dei mercanti fiorentini Simone Sigoli, Leonardo Frescobaldi e Giorgio Gucci che nel 1384, durante il loro pellegrinaggio in Terrasanta, visitarono anche il Cairo e Damasco, restando stupiti dalla quantità e dalla straordinaria bellezza dei manufatti. Protagonista di questa iniziativa è l’arte islamica con i suoi straordinari tappeti, i “mesci roba” e vasi “all’azzimina” ovvero ageminati (tecnica di lavorazione dei metalli per ottenere una decorazione policroma), i vetri smaltati, i cristalli di rocca, gli avori, le ceramiche a lustro. A Firenze si conserva un nucleo importantissimo di arte islamica, quasi 3.300 opere donate nel 1889 dall’antiquario lionese Louis Carrand al Museo Nazionale del Bargello, già allora tra i principali musei d’Europa. La sala islamica risale a tempi più recenti, al 1982, quando i migliori capolavori furono collocati in un suggestivo dialogo con Donatello e i maestri della statuaria rinascimentale. Mentre al Bargello viene illustrato un periodo fondamentale di ricerca, collezionismo e allestimenti museali di fine Ottocento e inizio Novecento, agli Uffizi sono invece raccolte le testimonianze artistiche dei contatti fra Oriente e Occidente: le suggestioni (a partire dai caratteri arabi delle aureole della Vergine e di San Giuseppe e dai costumi nell’Adorazione dei Magi di Gentile da Fabriano) e i ritratti di sultani della serie gioviana per mano di Cristofano dell’Altissimo. E ancora gli esemplari preziosi della lavorazione dei metalli, ricercatissimi già dai tempi di Lorenzo il Magnifico, le ceramiche orientali, o quelle ispano-moresche con stemmi nobiliari fiorentini. Stoffe e grandi tappeti provenienti dall’Egitto mamelucco di fine Quattrocento o degli inizi del Cinquecento, entrati molto presto nelle collezioni mediceo-granducali, i vetri, i metalli che hanno influenzato la coeva produzione italiana, e non ultimi gli splendidi manoscritti, fra i quali spiccano le pagine del più antico codice datato (1217) del “Libro dei Re” del persiano Firdusi, posseduto dalla Biblioteca Nazionale, insieme agli esemplari orientali della Biblioteca Medicea Laurenziana, rari per datazione e provenienza.

Il Museo Civico Pinacoteca Crociani di Montepulciano (Si) ospita oltre cento opere, che rievocano le atmosfere piene di fascino del Grand Tour compiuto da molti artisti e studiosi tra XIX e XX secolo. I lavori in mostra, oli, disegni, acquerelli, incisioni d’epoca, insieme a cimeli e oggetti di vario genere, raccontano il mitico viaggio di formazione intrapreso da tanti privilegiati giovani dell’aristocrazia europea a partire dal XVII secolo, focalizzando la narrazione su due tappe in particolare, ovvero Roma e la sua campagna, e la città di Montepulciano immersa nella natura Toscana. A testimoniare un’epoca e uno stile di vita che gettarono il seme della nascita dell’odierno concetto di turismo, accanto alle vedute delle due città e dei rispettivi dintorni agresti, in esposizione una raccolta di altri materiali che, portati dal servitore, accompagnavano il “Tourista” nel suo lungo percorso, come scrittoi e calamai portatili, farmacie da viaggio o strumenti per improvvisare spuntini in movimento, attrezzi da lavoro dell’artista e “quaderni di viaggio” personali di celebri viandanti come Charles Dickens o Johann Wolfgang von Goethe.

Lasciamo la Toscana per le Marche.
A Recanati (Mc) nelle splendide sale del museo civico di Villa Colloredo Mels abbiamo una mostra dedicata a Marc Chagall. Le Favole de La Fontaine, in venti acqueforti, prendono vita nell’immaginario del grande artista Marc Chagall attraverso la tecnica incisoria e catapultano in quel mondo fantastico che riempie sempre di stupore. L’originalità dell’arte di Chagall e il suo dinamismo fantastico, che lascia trapelare tutto il mondo interiore di “eterno fanciullo”, pervade anche la sua produzione grafica. Chagall inizia ad illustrare “Le Favole” di La Fontaine a Parigi, nel 1927, su richiesta del mercante d’arte Voillard. Nelle 20 acqueforti l’artista mette l’accento sulla componente mitologica e universale della favola con la consueta padronanza nel posizionamento dei personaggi: le figure sembrano stagliarsi sul foglio come per dominarlo, alla maniera della scrittura ebraica o come nelle icone russe, ricordi presenti della sua infanzia e della sua adolescenza. Ancora una volta Chagall riesce a stupire con le sue suggestioni, portandoci alla scoperta del mondo con l’animo di un bambino. Il lavoro grafico sul “Le Favole” di La Fontaine illustra i grandi temi della vita che hanno interessato Chagall nel corso della sua opera: amore, morte e follia umana; temi antitetici che si incontrano e scontrano come in un ossimoro petrarchesco: così nel foglio in cui sono magistralmente rappresentati l’arroganza del lupo, che si contrappone alla mitezza della cicogna che gli salva la vita, dominano gratitudine ed ingratitudine, vita e morte. I reticoli, le figure, gli oggetti, i granelli di polvere neri sembrano uscire dal suo mondo fantastico, aggredire realmente lo spettatore, fagocitarlo e trascinarlo via. Anche la compenetrazione tra uomo e natura appare evidente come nelle “Luftmenschen”, le caratteristiche figure fluttuanti nello spazio.

Nella splendida cornice del Palazzo Ducale di Urbino (Pu) troviamo una rassegna che presenta preziosi oggetti e arredi di epoca rinascimentale, con particolare attenzione al mondo orientale. Il desiderio dei curatori è quello di mostrare come il Palazzo Ducale di Urbino, soprattutto attraverso l’arredo tessile, – in primis arazzi e tappeti–, fosse un luogo di ineguagliabile splendore al tempo di Federico e del primo periodo roveresco. Sicuramente raffinati tappeti orientali arredavano le sale del palazzo, segno del gusto per il bello che la Corte di Urbino esprimeva; in occasione della mostra si intende presentarne una selezione, rispettosa dei luoghi di produzione e della cronologia, ricollocandoli in quella che avrebbe potuto essere la loro sede ideale. Viene esposto un gruppo significativo di tappeti provenienti da diverse aree di produzione del mondo orientale islamico contemporaneo ai Montefeltro e ai Della Rovere: dall’Egitto, all’Oriente Mediterraneo, alla Turchia, alla Persia. Insieme ai tappeti decoravano le sale di Corte preziosi arazzi: la mostra espone un raro esemplare facente parte del Ciclo della Guerra di Troia – riportandolo per la prima volta eccezionalmente nelle sale dove Federico da Montefeltro ne aveva ammirato le scene–, oggi conservato in Spagna. Altrettanto significativi, una serie di opere di produzione islamica in metallo, in ceramica e tessuti anche di produzione europea.

Stiamo per giungere alla fine delle nostre proposte.

La penultima tappa è a Roma
Il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia presenta la mostra La sirena: soltanto un mito? Nuovi spunti per una storia della medicina fra mito, religione e scienza. Focus della mostra è un raro e singolare tipo di ex-voto, frutto di scavi ottocenteschi condotti a Veio ed esposto dal 2012 nella sala 39 del Museo di Villa Giulia. Generalmente interpretato come una rappresentazione schematica della parte inferiore del corpo umano, in coerenza con quella semplificazione dei processi produttivi a cui si assiste nel corso dei secoli III-II a.C., questo particolarissimo votivo anatomico sembra invece evocare suggestivamente un corpo affetto da una rarissima malformazione congenita, la sirenomelia. Questa gravissima patologia determina lo sviluppo di un singolo arto, simile a una coda di pesce, mentre il feto è nel grembo della madre e dunque è immediatamente evidente alla nascita. Intorno a questa singolare storia di religione e di scienza ruotano racconti e immagini che fanno comprendere come nel mondo antico fossero ritenute “straordinarie” patologie rare, quali il nanismo e l’epilessia, solo per citarne alcune. Accanto alle “storie” di malattie “prodigiose” che ci giungono dal mondo antico, la mostra getta uno sguardo sull’attualità e sull’evoluzione degli strumenti chirurgici. Dal Museo di Anatomia patologica della Sapienza Università di Roma viene eccezionalmente prestato il reperto anatomico di una neonata affetta da sirenomelia, patologia di cui la Fondazione San Camillo Forlanini ha delineato le problematiche cliniche e gli strumenti diagnostici. Dal Museo di Storia della Medicina della Sapienza Università di Roma giungono in mostra interessanti manufatti che illustrano l’evoluzione dello strumentario chirurgico fin dall’età romana, chiaramente connessa con il progredire delle teorie e delle conoscenze anatomiche e mediche. Leit-motiv della mostra, la sirenomelia dimostra, purtroppo, come la sirena non sia soltanto un mito. Creature fantastiche che popolavano il mare, con il busto umano e con la coda di pesce, erano note nell’antichità, ma i Greci non le chiamavano Sirene. Erano Nereidi e Tritoni di cui possiamo vedere alcune immagini nei preziosi vasi del Museo di Villa Giulia esposti in mostra. Nel mito greco la sirena aveva invece corpo di uccello come ricorda, tra gli altri, l’episodio di Ulisse nell’Odissea, che sfida audacemente la malia del loro canto. Solo dall’VIII-IX secolo d.C. il Liber Monstrorum, un bestiario e trattato di mirabilia, parla chiaramente della figura della sirena come essa è oggi a tutti noi nota, avendo negli occhi la malinconica statua della Sirenetta, che dal 1913 attende il suo Principe sulla riva del mare di Copenhagen: in questa immagine si fondono i caratteri principali delle Nereidi e delle Sirene, la bellezza seducente e il canto melodioso e incantatore.

Da ultimo arriviamo in Sardegna. Presso il Museo del Costume di Nuoro per la mostra fotografica Max Leopold Wagner. Fotografie Della Sardegna di un linguista antropologo. Max Leopold Wagner, “il padre della linguistica sarda”, nato a Monaco di Baviera nel 1880 e morto a Washington nel 1962, con la sua opera non solo portò alla luce gli aspetti più importanti dell’idioma isolano, dalla fonetica alla morfologia, dalla formazione delle parole al lessico: ma ne ritrasse alcuni momenti irripetibili, in un gioco di rimandi che è insieme assenza nella presenza. Da queste fotografie emerge un invisibile, che ci guarda e agisce sulla nostra memoria. Spostandosi in bicicletta e a cavallo – soggiornò praticamente sull’intero territorio regionale in ripetuti viaggi dal 1904 al 1927 – Wagner ebbe modo di ribaltare tanti luoghi comuni intorno ai sardi, comprendendo e descrivendo gli isolani con tale acutezza (padroneggiava il dialetto cagliaritano e amava l’armoniosità e l’arcaicità di quello delle Barbagie). Il suo approccio fotografico è di natura documentale: immergersi il più a lungo possibile nel sociale più primitivo, fra la gente che non avesse «un certo grado d’istruzione», intercettando nel linguaggio la «struttura sintattica della frase», sentendo con essa il pensiero, arrivando quindi in profondità ai caratteri coi quali entrava in contatto. Dunque Wagner non si fa solo mero compilatore di «una lista di parole»: vuole conoscere a fondo e dall’interno la cultura che sta esaminando. La sua ricerca fotografica va per gradi: il primo livello è quello dello spectrum: il villaggio viene fotografato da lontano, nel suo insieme, immerso nel suo paesaggio; successivamente l’immagine si ravvicina sempre più, entra nelle vie, nelle strade, cerca, passo più difficile, di varcare la soglia delle abitazioni, posandosi infine sulle cose e sugli uomini. Ciò che viene fuori è una magia: un ritratto corale, d’insieme e particolareggiato nello stesso istante: un’istantanea storica del sociale più primitivo, dalla cui profondità emerge l’anima e il pensiero dell’Isola dei primi anni del secolo scorso Wagner visitò numerose località della Sardegna e di molte di esse, purtroppo, non sono pervenute sino a noi le relative documentazioni fotografiche. Questa mostra – come si evince dagli scritti – mostra la sua predilezione per i villaggi rurali piuttosto che per le città, le cui dinamiche, condizionate da sempre dalla maggiore frequenza degli scambi con l’esterno, sono state di minore interesse per i suoi studi da antropologo. Il tedesco – che usò una camera 9 x 12 con cavalletto – non era certo un maestro della fotografia: la connotazione tecnico formale in Wagner non è scevra da una certa trascuratezza o imperizia tecnica, cui sono da imputare i numerosi difetti delle immagini, sovra e sottoesposizioni, mossi, impronte digitali sulle emulsioni, graffi e abrasioni dei negativi, non sempre dovuti a una scorretta conservazione. C’è, tuttavia, una profondità diversa nelle sue immagini: non è la profondità di campo, è una profondità dell’anima quella che l’autore fa emergere, nitida e abbagliante, quella più autentica e più profonda di una Sardegna perduta.

Gabriele Basilico. La Città e il Territorio
Aosta – Museo Archeologico Regionale
28 aprile 2018– 23 settembre 2018
Orari: tutti i giorni 9.00-19.00
Biglietti: 6€ intero, 4€ ridotto
Informazioni: www.regione.vda.it

Larry Rivers dalla Pinacoteca Agnelli. I tre volti di Primo Levi
Chatillon (Ao) – Castello Gamba
12 maggio 2018– 23 settembre 2018
Orari: giovedì–domenica 13.00-19.00
Biglietti: 5€ intero, 3€ ridotto
Informazioni: www.castellogamba.vda.it

Reina de l’èlègance
Sarre (Ao) – Castello Reale
5 agosto 2018– 23 settembre 2018
Orari: tutti i giorni 9.00–19.00
Biglietti: 5€ intero, 3€ ridotto
Informazioni: www.lovevda.it

Il silenzio sulla tela. Natura morta spagnola da Sanchez Cotán a Goya
Torino – Galleria Sabauda
20 giugno 2018 – 30 settembre 2018
Orari: martedì – domenica 10.00-19.00; lunedì chiuso
Biglietti: 12€ intero, 6€ ridotto
Informazioni: www.museireali.beniculturali.it

Preziosi strumenti, illustri personaggi
Venaria Reale (To) – Reggia
31 maggio 2018– 30 settembre 2018
Orari: martedì–venerdì 10.00- 18.00; sabato e domenica 10.00- 19.30, lunedì chiuso
Biglietti: 8€ intero, 6€ ridotto
Informazioni: www.lavenaria.it

Restituzioni 2018. La fragilità della bellezza. Tiziano, Van Dyck, Twombly e altri 200 capolavori restaurati
La Venaria (To) – Reggia
28 marzo 2018– 16 settembre 2018
Orari: martedì–venerdì 10.00- 18.00; sabato e domenica 10.00- 19.30, lunedì chiuso
Biglietti: 10€ intero, 8€ ridotto
Informazioni: www.lavenaria.it

Michele Pellegrino. Una parabola fotografica
Cuneo – Complesso Monumentale di San Francesco
19 luglio 2018– 30 settembre 2018
Orari: martedì –domenica 15,30-18,30; lunedì chiuso
Ingresso gratuito
Informazioni: www.comune.cuneo.it

Armonie verdi. Paesaggi dalla Scapigliatura al Novecento. Opere d’arte dela Fondazione Cariplo e del Museo del Paesaggio di Verbania
Verbania (VB) – Museo del Paesaggio, Palazzo Viani Dugnani
25 marzo 2018– 30 settembre 2018
Orari: martedì – venerdì 10.00-18.00; sabato– domenica 10.00-19.00; lunedì chiuso
Biglietti: 5€ intero, 3€ ridotto
Informazioni: www.museodelpaesaggio.it

Viaggio nel tempo con M4
Milano – Museo Archeologico
19 giugno 2018– 23 settembre 2018
Orari: martedì-domenica 9.00 – 17.30; lunedì chiuso
Biglietti: 5€ intero, 3€ ridotto
Informazioni: www.turismo.milano.it

Quando il lusso diventa colore: i marmi delle Terme Erculee di Milano
Milano – Museo Archeologico
31 maggio 2018 – 23 settembre 2018
Orari: martedì-domenica 9.00 – 17.30; lunedì chiuso
Biglietti: 5€ intero, 3€ ridotto
Informazioni: www.turismo.milano.it

Robert Doisneau pescatore d’immagini
Lecco – Palazzo delle Paure
23 giugno 2018 – 30 settembre 2018
Orari: martedì, mercoledì e venerdì 9.30-18.00; giovedì: 9.30-18.00/ 21.00-23.00; sabato e domenica 10.00-18.00; lunedì chiuso
Biglietti: 9€ intero, 7€ ridotto
Informazioni: www. robertdoisneaulecco.com

Il giro del mondo in 8 stanze. Un viaggio attraverso il cosmorama di Hubert Sattler
Mantova – Castello di San Giorgio
19 maggio 2018– 16 settembre 2018
Orari: martedì-domenica, 8.15– 19.15; lunedì chiuso
Biglietti: 12€ intero, 7,50€ ridotto
Informazioni: www.mantovaducale.beniculturali.it

Nostalghia. Viaggio tra i cristiani d’Oriente
Tento – Museo Diocesano Tridentino
7 luglio 2018– 7 ottobre 2018
Orari: tutti i giorni 10.00-13.00 / 14.00-18.00; martedì chiuso
Ingresso gratuito
Informazioni: www.museodiocesanotridentino.it

Egitto. Dei, faraoni. Uomini
Jesolo Lido (Ve) – Spazio Aquileia 123
26 dicembre 2017 – 15 settembre 2018
Orari: tutti i giorni 10.00– 21.00
Biglietti: 16€ intero, 12€ ridotto
Informazioni: www.mostraegitto.com

Padri e figli
Illegio (Ud) – Casa delle esposizioni
13 maggio 2018– 7 ottobre 2018
Orari: lunedì 10.00– 19.00, martedì– sabato 10.00 – 19.00; domenica 9.00– 20.00
Biglietti: 11€ intero, 8€ ridotto
Informazioni: www.illegio.it

Nuove acquisizioni. Le Nature morte del Maestro di Hartford
Modena – Galleria Estense
16 giugno 2018 – 16 settembre 2018
Orari: martedì – sabato 8.30-19.30; domenica 14.00-19.30; lunedì chiuso
Biglietti: 4€ intero, 2€ ridotto
Informazioni: www.gallerie-estensi.beniculturali.it

Ospiti tedeschi. Goldschmiede und Bildhauer
Bologna – Museo Civico Medioevale
7 giugno 2018– 30 settembre 2018
Orari: martedì– domenica 10.00 – 18.30; lunedì chiuso
Biglietti: 5€ intero, 3€ ridotto
Informazioni: www.museidibologna.it

Francis Bacon. Mutazioni
Bologna – Palazzo Belloni
1 giugno 2018– 16 settembre 2018
Orari: martedì – domenica 10.00-1400/ 15.00/20.00; lunedì chiuso
Biglietti: 12€ intero, 10€ ridotto
Informazioni: www.palazzobelloni.com

W. Eugene Smith. Pittsburgh Ritratto di una città industriale
Bologna – MAST
17 maggio 2018– 16 settembre 2018
Orari: martedì– domenica 10.00– 19.00; lunedì chiuso
Ingresso gratuito
Informazioni: www.mast.org

Ebrei, una storia italiana. I primi mille anni
Ferrara – Museo nazionale dell’Ebraismo italiano e della Shoah
14 dicembre 2017 – 16 settembre 2018
Orari: martedì-domenica 10.00-18.00; lunedì chiuso
Biglietti: 10€ intero, 8€ ridotto
Informazioni: www.meisweb.it

Ceramica Now
Faenza (Ra) – Museo delle Ceramiche
29 giugno 2018– 7 ottobre 2018
Orari: martedì- domenica 10.00-19.00; lunedì chiuso
Biglietti: 10€ intero, 7€ ridotto
Informazioni: www.micfaenza.org

Per sogni e per chimere. Giacomo Puccini e le arti visive
Lucca – Fondazione Ragghianti
18 maggio 2018– 23 settembre 2018
Orari: aperto tutti i giorni 10.00-19.00; lunedì chiuso
Biglietti: 5€ intero, 3€ ridotto
Informazioni: www.fondazioneragghianti.it; www.puccinimuseum.org

Ambrogio Lorenzetti in Maremma. Capolavori dei territori di Grosseto e Siena
Massa Marittima– Complesso Museale San Pietro all’Orto
2 giugno 2018– 16 settembre 2018
Orari: tutti i giorni 10.00-12.00/16.00-20.00
Biglietti: 7€ intero, 5€
Informazioni: www.museidimaremma..it

Firenze e l’Islam. Arte e collezionismo dai Medici al Novecento
Firenze – Bargello
22 giugno 2018– 23 settembre 2018
Orari: tutti i giorni: 8.15 – 17.00 (chiusure: domenica- la seconda e la quarta di ogni mese; lunedì– Il primo, terzo e quinto di ogni mese)
Biglietti: 12€ intero, 7,50€ ridotto
Informazioni: www.bargellomusei.beniculturali.it

Montepulciano e la Città Eterna. Paesaggi e vedute dall’estetica del Grand Tour alla metà del XX secolo
Montepulciano (Si) – Museo Civico Pinacoteca Crociani
14 luglio 2018– 7 ottobre 2018
Orari: lunedì –domenica 10.00-19.00; martedì chiuso
Biglietti: 6€ intero, 4€ ridotto
Informazioni: www.museocivicomontepulciano.it

Marc Chagall. Le favole ed altre storie
Recanati (Mc) – Villa Colloredo Mels
5 luglio 2018 – 30 settembre 2018
Orari: lunedì– domenica 10.00-19.00; martedì chiuso
Biglietti: 10€ intero, 7€ ridotto
Informazioni: www.infinitorecanati.it; www.villacolloredomels.it

Il Montefeltro e l’Oriente Islamico. Urbino 1430-1550. Il Palazzo Ducale tra Occidente e Oriente
Urbino (PU) – Palazzo Ducale
23 giugno 2018 – 30 settembre 2018
Orari: lunedì 8.30- 1400; martedì– domenica 8.30– 19:15
Biglietti: 8€ intero, 5€ ridotto
Informazioni: www.gallerianazionalemarche.it

La sirena: soltanto un mito? Nuovi spunti per una storia della medicina
Roma – Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia
14 giugno 2019– 30 settembre 2018
Orari: martedi-domenica ore 9.00-20.00
Biglietti: 8€ intero, 4€ ridotto
Informazioni: www.villagiulia.beniculturali.it

Max Leopold Wagner. Fotografie Della Sardegna di un linguista antropologo
Nuoro – Museo del Costume
25 maggio 2018– 30 settembre 2018
Orari: orari: 10.00-13.00 / 15.00-20.00; lunedì chiuso
Biglietti: senza indicazione
Informazioni: www.isresardegna.it

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