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Mostre Marzo 2019

Autore:
Roda, Anna
Fonte:
CulturaCattolica.it

Le numerose proposte di marzo prendono avvio da Aosta con l’esposizione fotografica di Ugo Lucio Borga, fotogiornalista valdostano che da anni concentra il suo lavoro sulle guerre – anche quelle dimenticate – sulle crisi umanitarie, sulle questioni sociali e ambientali in Africa, Sud America, Medio Oriente, Asia, Europa. Più di cento immagini in bianco e nero documentano i conflitti nel mondo attuale. Così Ugo Borga spiega: “Non più eserciti contro eserciti sui campi di battaglia, nelle trincee, fuori dai centri abitati, ma civili armati nelle piazze, contractors, bombe umane nei mercati. Alla guerra ipertecnologica dello spazio si oppongono trappole esplosive elementari, strategie primitive, suicide: droni contro coltelli, impossibili da disinnescare. Nella guerra globale un’unica regola prevale su tutto: che vale tutto. Le donne, gli uomini, i bambini morti sotto le macerie vengono considerati danni collaterali, Collateral damages, in gergo militare”. Nel mondo, allo stato attuale, si combatte ovunque e tra gli effetti dei conflitti armati ci sono anche milioni di civili disperati, che tentano di sopravvivere alla guerra, alla fame, ai disastri ambientali. Le immagini esposte sono volutamente intense, hanno lo scopo non di sfiorare, ma di scuotere le coscienze.

Spostiamoci ora a Torino per tre mostre.

Le Sale Palatine della Galleria Sabauda ospitano la straordinaria mostra dedicata ad Antoon van Dyck, il miglior allievo di Rubens, che rivoluzionò l’arte del ritratto del XVII secolo. La mostra Van Dyck. Pittore di corte intende far emergere l’esclusivo rapporto che Van Dyck ebbe con le corti più autorevoli, italiane ed europee, per le quali dipinse innumerevoli ritratti. Capolavori unici che, attraverso un’arte raffinata e preziosa, diventano mezzo esclusivo per conoscere il fastoso universo seicentesco. Sebbene abbia eseguito molte opere di carattere storico e religioso, Van Dyck deve infatti la sua fama di grande artista ai ritratti, quali la Marchesa Elena Grimaldi Cattaneo, il Cardinale Bentivoglio, Il principe Tomaso di Savoia Carignano a cavallo, Carlo I e la regina Enrichetta Maria, che con la loro naturalezza e spontaneità, con la cura estrema nella resa dei materiali preziosi come sete e merletti, con la pennellata impalpabile che crea atmosfere vibranti e seducenti, esercitano ancora oggi un fascino irresistibile.

Siamo ora al GAM per la rassegna I Macchiaioli. Arte italiana verso la modernità.
Il percorso prende il via con il racconto della formazione dei protagonisti, necessario per far apprezzare a pieno il contributo innovativo dei macchiaioli all’interno della storia dell’arte. Dalle opere di pittori e maestri accademici di gusto romantico o purista, come Giuseppe Bezzuoli, Luigi Mussini, Enrico Pollastrini, Antonio Ciseri, Stefano Ussi, ai giovani futuri macchiaioli come Silvestro Lega, Giovanni Fattori, Cristiano Banti, Odoardo Borrani: attraverso il confronto delle opere sarà evidenziata la loro educazione tradizionale, rispettosa dei grandi esempi rinascimentali. A punteggiare la mostra è la partecipazione delle opere scelte alle prime Promotrici di Belle Arti e alla prima Esposizione nazionale di Firenze del 1861; sullo sfondo è la visita all’Esposizione Internazionale di Parigi del 1855, che fu un avvenimento decisivo per i giovani macchiaioli, suscitando grande curiosità ed emulazione nei confronti della nuova visione “oggettiva” e diretta. In questa cornice, sarà presentato al pubblico il dialogo che sospinse alcuni artisti tra Piemonte, Liguria e Toscana a condurre le ricerche “sul vero”. Furono anni di sperimentazione in cui le ricerche sul colore-luce, condotte en plein air, crearono un comune denominatore tra pittori legati in gruppi e cenacoli, di cui l’esempio più noto fu quello dei macchiaioli toscani. Si affronta quindi la sperimentazione della macchia applicata al rinnovamento dei soggetti storici e di paesaggio, con opere degli anni Cinquanta e dei primi Sessanta, durante i quali talvolta gli amici si trovavano vicini a dipingere lo stesso soggetto da angolature di poco variate, così da evidenziare il loro percorso comune e il proficuo dialogo intessuto in quegli anni di profondi mutamenti non solo artistici, ma politici e culturali in senso ampio. A seguire si propongono le scelte figurative dei macchiaioli dall’Unità d’Italia a Firenze capitale e gli ambienti in cui maturò il linguaggio macchiaiolo: dalle movimentate estati trascorse a Castiglioncello, nella tenuta di Martelli, ai più pacati pomeriggi autunnali e primaverili a Piagentina, nell’immediata periferia fiorentina, ove gli artisti si erano ritirati a lavorare al riparo dalle trasformazioni della Firenze moderna, accentuate dal 1865 dal suo ruolo di capitale dell’Italia unita. L’ultimo capitolo del viaggio affianca alle opere l’esperienza cruciale di due riviste: il «Gazzettino delle Arti del Disegno», pubblicata a Firenze nel 1867, e l’«Arte in Italia», fondata due anni dopo a Torino e che accompagna le vicende artistiche italiane sino al 1873.

Sempre presso la Galleria Sabauda una mostra monografica su Giuseppe Pietro Bagetti (Torino, 1764 – 1831), fine disegnatore e interprete sensibile della pittura di paesaggio, che seppe sfruttare magistralmente le potenzialità dell’acquarello per realizzare vedute e battaglie cosa che lo rese celebre già presso i suoi contemporanei, al punto da suscitare l’apprezzamento dello stesso Napoleone Bonaparte. La mostra approfondisce alcuni momenti del cammino artistico di Bagetti e mette in evidenza la capacità creativa e la competenza geografica dell’artista nel riprodurre scene urbane e rurali, presentando una selezione di 39 opere appartenenti ai fondi di grafica della Biblioteca Reale e della Galleria Sabauda. L’esposizione prende avvio dalla serie delle Vedute del Piemonte e del Nizzardo, incise a partire dal 1793, che associano all’esigenza di documentare fedelmente i luoghi rappresentati una spiccata attenzione verso gli aspetti metereologici. Una coppia di paesaggi di Pietro Giacomo Palmieri rendono poi omaggio al maestro che indirizzò Bagetti verso la tecnica della pittura ad acquarello, tecnica considerata come una novità, e verso gli aggiornamenti culturali che provenivano dagli altri paesi d’Europa e dal quale il pittore torinese seppe cogliere importanti suggestioni nel modo di interpretare la natura. Tempesta con nubifragio e Paesaggio con ruderi e città sullo sfondo ben rappresentano l’arte del celebre vedutista, in quanto caratterizzati entrambi dal gusto per il pittoresco che costituisce uno degli aspetti tipici del suo linguaggio figurativo. Agli anni successivi all’annessione del Piemonte alla Francia, avvenuta nel 1802, risalgono alcuni schizzi a monocromo, preliminari alla redazione definitiva degli acquarelli oggi conservati al Museo di Versailles, che ritraggono la topografia delle località piemontesi scenario delle vittoriose campagne napoleoniche. L’attività della tarda maturità in cui Bagetti si dedica, su sollecitazione di re Carlo Felice, alla pittura d’invenzione è invece testimoniata nel percorso espositivo da quattro paesaggi boschivi nei quali la natura viene indagata nei suoi vari aspetti botanici, geologici e fisici.

Ci trasferiamo ora alla Reggia di Venaria Reale (To) per una mostra dedicata al mito di Ercole. Essa si propone di illustrare la figura di Ercole con una raccolta di straordinari dipinti e oggetti d’arte prodotti nell’antichità classica e tra Cinquecento e Settecento. La mostra coincide con i lavori di restauro della “Fontana d’Ercole, fulcro del progetto secentesco dei Giardini della Reggia, dominata dalla Statua dell’Hercole Colosso, la cui riproposizione al pubblico rappresenta una delle fasi conclusive del grande restauro della Venaria. A conclusione, viene presentato il rifiorire negli ultimi decenni dell’interesse sul mito di Ercole attraverso i grandi film prodotti a Cinecittà negli anni Sessanta e poi ancora recentemente a Hollywood.

Le nostre proposte ci portano ora a Milano.
Cominciamo la grande mostra allestita presso le Gallerie d’Italia e Poldi Pezzoli dedicata al Romanticismo, si tratta della prima mostra mai realizzata sul contributo italiano al movimento che, preannunciato alla fine del Settecento, ha cambiato nel corso della prima metà dell’Ottocento la sensibilità e l’immaginario del mondo occidentale. In particolare, Milano – che tra le grandi città d’Italia è quella che ha avuto in quegli anni la maggiore vocazione europea – è stata uno dei centri della civiltà romantica, sia per quanto riguarda le arti figurative che sul versante letterario e musicale. Pensiamo alle esposizioni d’arte, ai grandi collezionisti, alle imprese editoriali, ai teatri – tra cui La Scala– e a protagonisti come Foscolo, Manzoni, Rossini, Hayez e Verdi. L’esposizione celebra l’identità e il valore del Romanticismo italiano, in rapporto a quanto si andava manifestando nel resto d’Europa – in particolare in Germania, nell’Impero austriaco, in Inghilterra e in Francia – tra il Congresso di Vienna e le rivoluzioni che nel 1848 sconvolsero il vecchio continente. Le opere esposte alle Gallerie d’Italia di Milano e al Museo Poldi Pezzoli documentano un periodo che va dai fermenti preromantici fino alle ultime espressioni di una cultura che, almeno nel nostro Paese, avrà termine con la realizzazione dell’Unità d’Italia e l’affermazione del Realismo, che del Romanticismo rappresenta l’antitesi. In mostra, i dipinti dei maggiori interpreti della pittura romantica: Francesco Hayez, Giuseppe Molteni, Giovanni Carnovali detto Il Piccio, Massimo d’Azeglio, Giovanni Migliara, Angelo Inganni, Giuseppe e Carlo Canella, Ippolito Caffi, Salvatore Fergola, Giacinto Gigante, Pitloo, Domenico Girolamo Induno. Tra le sculture spiccano i lavori di tre straordinari maestri: Lorenzo Bartolini, Pietro Tenerani e Vincenzo Vela. Non mancano grandi artisti di diversa nazionalità attivi in Italia, come Caspar David Friedrich, Franz Ludwig Catel, Jean-Baptiste Camille Corot, William Turner, Friedrich von Amerling, Ferdinand Georg Waldmüller, Karl Pavlovic Brjullov, che permettono di approfondire le relazioni intercorse tra il Romanticismo italiano e quello europeo.
In occasione del centenario dalla morte dell’artista Angelo Morbelli (Alessandria, 1853 – Milano, 1919), Galleria Bottegantica propone una attenta monografica di protagonista della pittura italiana del secondo Ottocento e del Divisionismo, in modo peculiare. L’esposizione presenta una selezione di opere fondamentali, alcune mai prima esposte, atte a documentare l’evoluzione del percorso artistico di Morbelli e le sue tematiche di elezione. Il realismo sociale, che egli interpreta con profonda sensibilità e capacità di analisi, si trasmuta in positività le volte in cui egli si approccia al variegato tema del paesaggio. I suoi paesaggi dominati dall’assenza di figure e di azione, dove l’emozione del pittore trova pieno appagamento nell’aprirsi, in religioso silenzio, alla natura, che è il regno delle cose che si rinnovano da sole, l’ente che possiede e dona la vita. Ne sono un esempio gli ariosi paesaggi dei ghiacciai valtellinesi o delle montagne piemontesi, le ampie vedute della marina ligure, gli scorci della laguna veneta, colti perlopiù al tramonto, e quelli assolati dell’amato giardino della residenza campestre a La Colma, presso Rosignano, sulle colline del Monferrato. Monti, mare, boschi sono cantati come lezione di vita vera e autentica, nei quali l’animo dell’artista sembra quietarsi. In Morbelli, la ricerca del Vero e quella del Bello e di immagini idonee a esprimerlo, vanno di pari passo. Come risulta evidente nei dipinti dedicati al lavoro delle mondine, al nudo femminile e all’universo adolescenziale delle ballerine. Quest’ultima produzione, in particolare, è caratterizzata da una raffinatezza formale tale da distinguersi come uno dei momenti più alti raggiunti in pittura dall’artista, dove la visione si piega al sentimento, grazie anche a un uso sapiente e controllato dell’illuminazione e all’elegante messa in posa delle giovani creature, colte nella fugacità di un attimo. La bellezza e la perfezione delle loro forme fuggono dagli eccessi di un realismo troppo esibito. Più che a una rappresentazione realistica ci troviamo di fronte all’esaltazione di una nuova intensità espressiva, occasionata dall’aver conferito alla figura il potere di espansione della propria luminosità interna, in stretta relazione con la qualità della luce-ambiente, in cui essa è calata.

Il nostro itinerario ci porta ora a Como, presso la prestigiosa Fondazione Ratti per la rassegna Bizarre, novità e stravaganza nelle sete europee del XVIII. La mostra pone in una prospettiva contemporanea e trasversale, un fenomeno della storia del tessuto occidentale: a cavallo tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo, i tessitori europei inventano motivi decorativi inusuali mescolandoli liberamente e attingendo a tutti i riferimenti culturali che provengono dall’Oriente, senza preoccuparsi di produrre rappresentazioni fedeli al reale. E’ proprio questo approccio nel ridisegnare le forme il segno comune tra queste produzioni e il contemporaneo. Seguendo la propria sensibilità e interpretando le forme, per la prima volta gli artigiani tessili possono attingere a piene mani al repertorio delle disegnature e creare per le loro sete policrome disegni astratti che si snodano sinuosi mescolandosi a motivi geometrici, grandi infiorescenze fantastiche che si confondono tra raffigurazioni di architetture barocche ed edifici orientaleggianti. La realizzazione di disegni tanto impegnativi è resa possibile dall’altissima competenza tecnica dell’epoca, in grado di tradurre le novità, le stravaganze e la raffinatezza dei decori, a volte di difficile lettura.

Giungiamo a Mantova presso il Castello di San Giorgio del Complesso Museale Palazzo Ducale per la mostra Pietre colorate molto vaghe e belle. Arte senza tempo dal Museo dell'Opificio delle Pietre Dure, si tratta di una preziosa raccolta di opere d'arte realizzate con la particolare tecnica artistica detta ‘commesso’ che consente di creare, sulla base di un modello pittorico, immagini ottenute dal paziente assemblaggio di piccole sezioni di pietre colorate: porfidi, diaspri, agate, lapislazzuli che, accuratamente selezionati, tagliati e accostati, appaiono come una vera e propria ‘pittura di pietra’. L'esposizione è arricchita da una sezione interamente dedicata alle antiche tecniche di lavorazione e ai pregiati materiali utilizzati, che offrirà al visitatore la possibilità di cogliere in pieno la perizia tecnica che sta alla base di queste preziose e raffinate realizzazioni destinate a una committenza regale.

Ci spostiamo ora a Genova.
Nel Teatro del Falcone di Palazzo Reale, apre al pubblico una grande mostra dedicata alla celebre figura di Anton Maria Maragliano (1664-1739), rinomato autore di sculture lignee. Per la prima volta si possono ammirare, a confronto tra loro, i capolavori del maestro, testimoni della potenza persuasiva del legno dipinto e dorato a personificare i protagonisti del Paradiso: dalle eleganti statue mariane agli aggraziati Crocifissi fino alle grandiose macchine processionali con i martirii dei santi. Si tratta del primo evento espositivo utile a dar conto del profilo monografico dell’artista, affrontato negli ultimi vent’anni in maniera specifica e approfondita. Di questo artista la mostra vuole sottolineare la capacità di corrispondere alle esigenze della committenza attraverso immagini bellissime e di forte impatto emotivo rese possibile, a partire dall’inizio del Settecento, dall’ottenimento di un vero e proprio monopolio che costrinse lo scultore alla dotazione di un assetto imprenditoriale articolato. Ben due generazioni di allievi furono accolte nelle stanze di Strada Giulia, nel cuore di Genova, dove Maragliano aveva la bottega, dando corso a quel fenomeno di divulgazione del linguaggio del maestro che rappresenta l’aspetto più affascinante, benché problematico, dell’approccio allo scultore: e gli allievi degli allievi perseguirono questa divulgazione oltrepassando la fine del secolo. L’esposizione si aprirà con una sezione dedicata ai precedenti con le opere degli artisti su cui il giovane Maragliano si formò, da Giuseppe Arata e Giovanni Battista Agnesi a Giovanni Battista Bissoni e Marco Antonio Poggio. Seguiranno i luoghi di Maragliano evocati attraverso una serie di documenti, incisioni e acquerelli utili a raccontare le fasi di apprendistato e gli ambienti che hanno ospitato lo spazio di lavoro del maestro nel corso degli anni. Il magnifico San Michele Arcangelo di Celle Ligure, richiesto a Maragliano nel 1694, e il San Sebastiano per i Disciplinanti di Rapallo, commissionato nel 1700, testimoniano, in un’apposita sezione, il ruolo dei modelli in sintonia con la più aggiornata cultura figurativa radicata a Genova grazie al pittore Domenico Piola e allo scultore francese Pierre Puget. Queste sculture, capaci di tradurre nella tridimensionalità del manufatto la grazia coinvolgente propria della pittura coeva e della scultura berniniana, rivelano il nuovo, delicato dinamismo della cultura barocca. La pratica di lavoro, dalla manipolazione dei modelli in creta alla collaborazione con i pittori – specie quelli di Casa Piola – costituirà un approfondimento di particolare interesse che renderà comprensibile il progetto ideativo nell’interezza del suo iter.

Le nostre proposte ci portano ora in Veneto.
A Verona viene proposta una rassegna sul tema della maternità, in un momento nodale nell’arte italiana fra Otto e Novecento. Il fulcro della esposizione è costituito dalla Maternità di Gaetano Previati, un capolavoro di grande formato e fortemente evocativo legato al tema “dell’amore materno. Il dipinto esposto alla prima Triennale di Brera del 1891 suscitò un vivace dibattito oltre che sulla tecnica divisionista, anche sui possibili esiti simbolici della rappresentazione.
Il famoso artista-critico Vittore Grubicy, già attento sostenitore di Segantini, individuò nella tela di Previati il prototipo della pittura ‘ideista’. Il percorso espositivo costruito attorno al grande dipinto propone celebri capolavori di Gaetano Previati, Medardo Rosso, Giovanni Segantini, Angelo Morbelli, Giuseppe Pellizza da Volpedo e Umberto Boccioni, capaci di restituire in maniera esemplare l’intensa stagione culturale che ha segnato il transito rivoluzionario della pittura italiana ottocentesca nella direzione europea dell’arte moderna d’avanguardia. Da qui, la rigorosa selezione filologica di una quindicina di opere che mette in evidenza il confronto tra esiti e ricerche diverse contemporanee al maestro ferrarese, ma anche le ricadute e gli stimoli forniti da queste sperimentazioni alle avanguardie del primo Novecento.

Eccoci a Vicenza per la mostra Il trionfo del colore. Da Tiepolo a Canaletto e Guardi. Vicenza e i capolavori dal Museo Pushkin di Mosca. Dopo il grande successo riscosso in Russia, un’opportunità unica per il pubblico italiano per conoscere la grande stagione settecentesca dell’arte veneta e il suo impatto deflagrante sul panorama artistico europeo. Oltre sessanta capolavori distribuiti tra Palazzo Chiericati, sede del museo civico, e le Gallerie d’Italia, danno vita a una straordinaria avventura visiva che consente di apprezzare appieno il Settecento veneziano e veneto, reso eterno dai suoi protagonisti: Giambattista Tiepolo, Giovanni Battista Pittoni, Luca Carlevarijs, Giambattista Piazzetta, Antonio Giovanni Canal detto Canaletto, Francesco Guardi e Pietro Longhi. Il corpus delle 65 opere esposte è costituito da 24 dipinti provenienti dal Pushkin, tra cui Il ritorno del Bucintoro all’approdo di Palazzo Ducale di Canaletto, e da 41 opere selezionate sia dall’ampio patrimonio dei Musei Civici di Vicenza, che dal patrimonio di Intesa Sanpaolo conservato a Palazzo Leoni Montanari. La mostra si estende anche fuori dalle mura delle due sedi, nelle chiese, nei palazzi e nelle ville della città e del territorio, lungo itinerari appositamente messi a punto dagli organizzatori. Tra le tappe assolutamente da non perdere: il Palladio Museum, e le ville Valmarana ai Nani, Cordellina e Zileri, veri e propri patrimoni dell’umanità dove puoi trovare i maggiori capolavori ad affresco del Settecento europeo.
La prossima proposta ci porta a Treviso presso il Museo Nazionale Collezione Salce con la rassegna Verso il boom! 1950-1962. La mostra ci introduce nei meandri più sorprendenti e meno conosciuti della Collezione Salce proponendone le creazioni più recenti: quelle che, dal secondo dopoguerra fino al 1962 – anno estremo tanto dell’attività collezionistica quanto della vita di Nando Salce – raccontano lo straordinario momento storico della ricostruzione e della ripresa produttiva e preludono al vero boom economico e demografico che si configurò negli anni successivi. Passata la guerra, un incontenibile entusiasmo progettuale si diffonde capillarmente nel Paese. E la pubblicità riflette e anticipa, sottolinea, enfatizza questo sentimento, vivendo un momento di straordinaria effervescenza. Autori già maturi e specializzati da tempo nella grafica illustrata, reiterano con caparbietà i fasti del cartellonismo delle origini – è il caso di Dudovich, di Boccasile, di Edel – o ne rinnovano radicalmente i modi – Carboni, Nizzoli – beneficiando di spunti progettuali desunti da una consapevolezza professionale decisamente più complessa, esercitata nell’ambito di strategie comunicative che inseriscono il manifesto – nemmeno più così indispensabile – in promozioni pubblicitarie ad ampio spettro che il prodotto lo imballano, lo etichettano, lo animano.
Giovani geni venuti dal nord – lo svizzero Huber, l’olandese Noorda, il tedesco Engelmann – intercettano a Milano i fermenti generativi del migliore design e della più emancipata cultura d’impresa, disegnando immagini così perfettamente attuali da essere oggi, a settant’anni di distanza, vive e storiche al contempo. Ma infine, nel generale innamoramento per l’America – da cui arrivano bevande, detersivi e agenzie pubblicitarie, minime avanguardie tangibili di quello che resta un sogno ancora lontano – spicca il caso tutto italiano di Armando Testa: ispirato dai precorrimenti di Federico Seneca e alimentato da una grande cultura pittorica, si rivelerà a lungo capace di ineguagliati traguardi di sintesi e di efficacia comunicativa.

Arriviamo a Venezia e dintorni per proporre ben tre mostre.
A Mestre, presso il Centro Culturale Candiani abbiamo la mostra Venezia e San Pietroburgo. Artisti, principi e mercanti. Il Museo Statale Ermitage custodisce una delle più ricche collezioni di arte veneziana al mondo. La nascita di questa raccolta è tra i più avvincenti capitoli della storia del collezionismo, che ancora oggi ci sorprende con nuove scoperte e straordinari ritrovamenti.
La mostra documenta attraverso un gruppo di quadri e disegni – alcuni dei quali mai esposti in Italia – i percorsi che hanno condotto l’arte della Serenissima all’Ermitage, mettendo in evidenza affascinanti figure di collezionisti e mercanti. Ognuna delle opere selezionate riassume, nella propria vicenda storica, un episodio specifico nella formazione della raccolta d’arte veneziana del museo russo. Vengono esposti dipinti dei massimi artisti veneti a partire dal Cinquecento, come Tiziano, Veronese, Tintoretto, Bellotto, Canaletto, Tiepolo e Guardi. Allo stesso tempo sarà dato spazio ai rapporti fra i maestri veneziani e i mecenati russi nel corso del Settecento.

A Venezia, cuore della mostra Ultimi giorni di Bisanzio. Splendore e declino di un impero è la cosiddetta “icona di San Luca“ di Freising, opera bizantina raffigurante la Madonna dal titolo “Speranza dei disperati“. L’icona è emblema della situazione tragica in cui si trovava Bisanzio, in lotta con gli Ottomani, tra Tre e Quattrocento. Per ottenere sostegno militare, l’imperatore Manuele II Paleologo (*1350, 1391-1425) intraprese tra il 1399 e il 1403 un viaggio diplomatico in Occidente, durante il quale portò con sé l’icona e molti altri oggetti di estremo valore da donare ai potenti europei. In questa eccezionale occasione, per la prima volta dopo più di sei secoli l’icona di San Luca ritornerà a Venezia, città del suo primo approdo in Europa. In otto sezioni, sullo sfondo dei rivolgimenti politici internazionali che portarono alla caduta di Costantinopoli nel 1453, la mostra illustra il significato del viaggio dell’imperatore Manuele II (1399-1403) e dei suoi doni diplomatici, testimonianze dell’intenso scambio culturale tra l’Europa - e in particolare Venezia - e Bisanzio agli albori dell’Umanesimo. Nonostante l’aggravarsi del conflitto bizantino-ottomano, non mancarono tentativi di incontro pacifico tra le due culture e religioni, come dimostra il manoscritto dei "Dialoghi con un musulmano" di Manuele II, reso famoso dal dibattuto discorso di Papa Benedetto XVI all’Università di Ratisbona nel 2006, che dai dialoghi di Manuele traeva una citazione. Nella seconda sezione della mostra, carte geografiche dell’epoca presentano Costantinopoli e Venezia, punti di partenza e di approdo dell’imperatore nel suo viaggio in Europa. Si tratta di due tra le primissime rappresentazioni di queste città: la Costantinopoli di Cristoforo Buondelmonti (ca. 1420) e la Venezia di Bernardo di Breidenbach (1486). Giunto a Venezia, Manuele si recò a Milano, Parigi e Londra, portando con sé preziosi doni diplomatici, destinati ai sovrani europei e ai due papi allora residenti a Roma e ad Avignone. Due di questi doni si sono conservati e saranno visibili nell’esposizione: il reliquiario con una bolla imperiale donato all’antipapa Benedetto XIII, oggi nella cattedrale di Palma di Mallorca, e il reliquiario delle S. Spine della corona di Cristo dal Duomo di Pavia. Accompagna i due oggetti il preziosissimo codice manoscritto del Louvre con opere di Dionigi Areopagita e un ritratto della famiglia imperiale, donato dal Paleologo al monastero di S. Denis attraverso l’illustre umanista Manuele Crisolora, del quale un disegno - ancora del Louvre - mostra il ritratto. L’icona di San Luca, opera medio-bizantina, ridipinta e munita di un rivestimento d’oro all’epoca dei Paleologi, fu invece donata a uno degli uomini più ricchi e potenti del tempo, Gian Galeazzo Visconti (*1351, 1378/85-1402), ritratto nel suo inestimabile "Libro d’Ore". Per altre vie, l’icona entrò poi in possesso dei veronesi della Scala. Il 23 settembre 1440 Nicodemo della Scala, vescovo di Freising dal 1422, la regalò al Duomo della città, dove nel 1624 venne collocata in un altare d’argento smaltato. Icona e altare si troveranno al centro di una "galleria delle icone", che intende mettere in luce il significato e il potere divino attribuiti alle immagini sacre nel mondo bizantino.

Dalla collaborazione Città di Venezia, la Fondazione Musei Civici di Venezia e il Museo Statale Ermitage di San Pietroburgo nasce la mostra allestita a Palazzo Fortuny con circa 250 opere di cui 80 dal Museo Statale Ermitage, dall’antichità all’arte contemporanea, per riflettere sul senso e sui significati delle rovine; sulla costruzione del futuro, attraverso la consapevolezza dell’imprescindibile legame con il passato. La mostra riflette sul tema della rovina: allegoria dell’inesorabile scorrere del tempo, sempre incerta e mutevole, contesa com’è tra passato e futuro, vita e morte, distruzione e creazione, tra Natura e Cultura. L’estetica delle rovine è elemento cruciale nella storia della civiltà occidentale. La rovina simboleggia la presenza del passato ma contemporaneamente contiene in sé la potenzialità del frammento: un lacerto che ci arriva dall’antichità, ricoperto dalla patina del tempo, per i suoi risvolti culturali e simbolici diventa anche valida “pietra di fondazione” per costruire il futuro. Essa viene dal passato, conferisce ricchezza di senso al presente, dona consapevolezza ai progetti futuri.

Il Museo della Moda di Gorizia propone una mostra interamente dedicata ai kimono. Non kimono qualunque, ma quelli prodotti in Giappone tra il 1900 e gli anni ’40, pezzi che riflettono la volontà imperiale di occidentalizzare il Paese. Così come, nel secolo precedente, il Giapponismo era deflagrato in tutta Europa, influenzando una parte significativa della produzione artistica, all’inizio del Novecento il gusto occidentale esplode in Giappone. Questa ventata di novità investe anche il capo-simbolo della tradizione: il kimono. Ai motivi tradizionali si affiancano disegni coloratissimi che richiamano, in modo puntuale, il Cubismo, il Futurismo e le altre correnti artistiche europee. C’è anche un singolare kimono che celebra il patto tripartito Roma-Berlino-Tokyo del 1940, dove la bandiera italiana è seminascosta dentro le cuciture mentre il sol levante e la svastica campeggiano ovunque. La mostra presenta 40 pezzi, tra kimono e haori (sovrakimono), una selezione particolarmente significativa del contesto illustrato, per far conoscere al pubblico un settore della produzione tessile giapponese fino ad oggi poco esplorato.

Ancora cartellonismo, ma questa volta a Trieste. 150 anni fa nasceva in questa città Leopoldo Metlicovitz (1868-1944), uno dei maestri assoluti del cartellonismo italiano. È lui l’autore di decine di manifesti memorabili, dedicati a prodotti commerciali e industriali, ma anche a grandi eventi come l’Esposizione internazionale di Milano del 1906, a famose opere liriche (Madama Butterfly, Manon Lescaut, Turandot) e a film dell’epoca del muto (primo fra tutti Cabiria, storico precursore del kolossal). Assieme ad artisti quali Hohenstein, Laskoff, Terzi e al più giovane concittadino Marcello Dudovich, Metlicovitz (che di quest’ultimo fu il “maestro”) operò per decenni alle Officine Grafiche Ricordi di Milano, dopo un avvio come pittore paesaggista nella città natale e un apprendistato come litografo (professione ereditata dal padre) in uno stabilimento grafico di Udine.
Fu proprio grazie all’intuito di Giulio Ricordi, che Metlicovitz poté esplicare, dagli ultimi anni dell’Ottocento, tutte le proprie potenzialità espressive, non solo come grande esperto dell’arte cromolitografica, ma pure come disegnatore e inventore di quegli “avvisi figurati” (così chiamati allora) che, affissi a muri e palizzate, mutarono il volto delle città con il loro vivace cromatismo, segnando anche in Italia la nascita di quell’arte della pubblicità sintonizzata su quanto il “modernismo” internazionale andava proponendo nelle arti applicate sotto i vari nomi di Jugendstil, Modern Style, Art Nouveau, Liberty. Nella grande monografica rivive l’intero arco della produzione dell’artista. Le opere esposte, 73 manifesti (alcuni di dimensioni “giganti”), tre dipinti e una ricca selezione di “grafica minore” (cartoline, copertine di riviste, spartiti musicali ecc.), saranno organizzate in otto sezioni espositive, sette delle quali ospitate presso il Civico Museo Revoltella e una – la sezione dedicata ai manifesti teatrali per opere e operette – nella Sala Attilio Selva al pianterreno di Palazzo Gopcevich, sede del Civico Museo Teatrale “Carlo Schmidl”.

Le nostre proposte ci portano ora in Emilia, a Piacenza per un’interessante mostra dedicata ad Annibale. L’esposizione Annibale. Un mito mediterraneo è un viaggio nella storia del Mediterraneo all’epoca delle Guerre Puniche, attraverso la vicenda dell’uomo che osò sfidare Roma. La rassegna offre una lettura innovativa delle vicende del condottiero cartaginese. Affianca all’esposizione dei reperti (ceramiche, armi, dipinti) provenienti da collezioni italiane e straniere, un apparato tecnologico che arricchisce e rende dinamico e coinvolgente il racconto, orienta le modalità di comunicazione e movimenta l’allestimento. Pensato come esperienza immersiva, con installazioni audiovisive, animazioni grafiche, teche olografiche interattive e videoinstallazioni, il percorso della mostra si snoda negli spazi sotterranei di Palazzo Farnese con varie sezioni tematiche che raccontano l’avventura del protagonista, con la sua voce a far da guida nei passaggi nodali del racconto. Nelle prime sezioni due diverse linee del tempo introducono allo scenario storico del III secolo a.C, si passerà poi alla famiglia di Annibale, la sua città d’origine, la formazione culturale, la sua ascesa politica e militare sono raccontati attraverso schermi e pannelli grafici mentre una spettacolare ambientazione scenografica immersiva è dedicata all’episodio della traversata delle Alpi, con effetti speciali di suoni e di immagini in movimento. Un focus particolare è riservato all’arrivo del condottiero a Piacenza e una sala intera ospita il racconto delle sue più famose battaglie: grandi schermi a parete mostrano gli schieramenti dei due eserciti, gli armamenti, le caratteristiche tattiche, mentre un grande tavolo circolare con videoproiezione consente di rivivere su una mappa virtuale i combattimenti.

Presso il Museo Civico Medievale di Bologna propone troviamo un'esposizione dal titolo: Lodi per ogni ora. I corali francescani provenienti dalla Basilica di San Francesco. La mostra presenta una nutrita selezione dei vari codici liturgici, realizzati tra il XIII e il XV secolo per la basilica bolognese di San Francesco, che attualmente fanno parte della ricca collezione di codici miniati del Museo Civico Medievale della città. Tra questi si segnala la serie di preziosi graduali francescani riccamente miniati dal cosiddetto Maestro della Bibbia di Gerona, protagonista assoluto della decorazione libraria bolognese della fine del Duecento. Prossimi a questa anche la serie poco più tarda degli antifonari, anch'essi ampiamente decorati, ispirandosi in parte alle più antiche esperienze del Giotto assisiate, evidentemente filtrate in città attraverso lo stesso ordine dei frati minori. A queste prime serie di corali ne seguirono altre nel corso del Quattrocento, quando i frati minori si affidarono a vari miniatori coordinati dal bolognese Giovanni di Antonio, per decorare intorno al 1440-50 alcuni dei loro libri liturgici, anch'essi presentati in occasione della mostra.

Giovanni Santi. “Da poi … me dette alla mirabil arte de pictura”, è il titolo della rassegna realizzata presso la Galleria Nazionale delle Marche nel Palazzo Ducale di Urbino. Segnata dal giudizio negativo di Giorgio Vasari, svilita dal confronto con l’eccezionale statura artistica del figlio Raffaello, la figura di Giovanni Santi è rimasta in ombra per secoli ed ancora poco nota anche oggi, pur dopo gli studi fondamentali di Ranieri Varese. La mostra deve contribuire a restituire il giusto ruolo all’artista in quel contesto urbinate che costituì un momento imprescindibile di avvicinamento alla formazione e alla cultura ‘visiva’ di Raffaello. La poliedrica personalità umanistica di Giovanni Santi – dimostrata dall’ampia produzione letteraria – sarà testimoniata dal manoscritto originario del suo capolavoro, la Cronaca rimata, così come il San Girolamo. Urbino, patria di Giovanni Santi, e il Palazzo Ducale – presso il quale fu molto attivo – vedranno restituito al pubblico, per tutta la durata della mostra, l’intero ciclo pittorico concepito originariamente per il Tempietto delle Muse: le otto tavole – sette rappresentanti le Muse ed una Apollo – opera di Giovanni Santi e Timoteo Viti. A testimonianza del contesto culturale nel quale operò Giovanni Santi, saranno presentate delle opere coeve come l’Annunciazione di Fano del Perugino o l’Angelo Musicante di Melozzo da Forlì del Vaticano, che affiancheranno i capolavori di Piero della Francesca, Giusto di Gand, Pedro Berruguete. Ed ancora, opere di scultura, come la Madonna con Bambino dalla Pinacoteca Civica di Jesi di Domenico Rosselli, già attivo nel cantiere del palazzo urbinate per il Duca Federico, o l’inginocchiatoio intarsiato proveniente dalla Cappella Oliva nella chiesa di S. Francesco di Montefiorentino a Frontino – della quale si esporrà anche la pala del 1489 – che affiancherà i straordinari intarsi dello Studiolo e delle preziose porte dell’appartamento ducale. Parallelamente alla mostra ospitata nel Palazzo Ducale di Urbino, verrà pubblicato un itinerario alla scoperta di quelle opere di Giovanni Santi che, essendo inamovibili, sono rimaste nelle loro sedi originarie distribuite sul territorio. In particolare ad Urbino, oltre al Palazzo Ducale viene coinvolta la Casa di Raffaello dove visse Giovanni Santi con il figlio adolescente, ma anche la Cappella Tiranni nella chiesa di San Domenico a Cagli, la pala della Visitazione nella chiesa di S. Maria Nova a Fano e la Madonna con Bambino ed i SS. Elena, Zaccaria, Sebastiano e Rocco nella Pinacoteca Civica di Fano ed altri numerosi siti del territorio marchigiano.

La nostra proposta successiva ci porta a Firenze.
Quando il conte Carlo Ginori nel 1737 chiamò al suo servizio Carlo Wendelin Anreiter de Ziernfeld, pittore austriaco specializzato in porcellana, non badò certo a spese. Nei documenti è scritto che “… si obbliga questo a condurlo con la sua Moglie, e Creature a sue spese in Toscana ed ivi pagargli fiorini seicento all'anno, con più dargli con la sua famiglia quartiere, e solo ad esso Ziernfeld la tavola con vino, e di così continuare a tenerlo con tale assegnamento anni sei”. Insomma, quello stipendio favoloso, cui si aggiungevano vitto (con vino) e alloggio per lui, la moglie e i 10 figli, più gli altri 3 che nacquero durante la sua permanenza in Italia, servivano ad assicurarsi il più valente artista del genere sulla piazza europea: è evidente la volontà di Carlo Ginori di puntare senza indugio, per la manifattura di Sesto Fiorentino, a una qualità altissima, garantendosi inoltre relazioni strettissime con l’opificio viennese fondato nel 1718 da Claudius Innocentius Du Paquier. L’effetto fu che entrambe le produzioni ebbero un ruolo decisivo nella trasmissione di motivi decorativi, forme e tecniche artistiche che di fatto influirono nella definizione del gusto dell’epoca. Di tutto questo racconta la mostra Fragili tesori dei Principi. Le vie della porcellana tra Vienna e Firenze. Le opere esposte – porcellane, ma anche dipinti, sculture, commessi in pietra dura, cere, avori, cristalli, arazzi, arredi e incisioni – offrono un fertile dialogo tra le arti, per celebrare la magnificenza della porcellana durante il Granducato di Toscana sotto la dinastia lorenese. Ai prestiti hanno contribuito istituzioni nazionali e internazionali e i più importanti musei europei e statunitensi, oltre a diverse collezioni private.
“Have you seen Fedi’s group?”. Questa domanda veniva rivolta dai fiorentini amanti d’arte ai visitatori stranieri giunti a Firenze tra la primavera e l’estate del 1865, come ricordava la novellista e attrice americana Anna Cora Ritchie. In quel periodo Firenze, da sede del Granducato di Toscana, diventava capitale del nuovo Regno d’Italia: per celebrare la sua ascesa, erano in corso spettacolari festeggiamenti nazionali dedicati a Dante Alighieri. Nel mese di maggio, in concomitanza con l’inaugurazione in Piazza Santa Croce della statua del “Sommo Poeta”, lo scultore Pio Fedi nel suo studio di via de’ Serragli svelava al pubblico il colossale gruppo in marmo del Ratto di Polissena, oggi a fianco di Cellini e Giambologna nella splendida Loggia dei Lanzi di piazza della Signoria.La mostra Il Ratto di Polissena - Pio Fedi scultore classico negli anni di Firenze Capitale, presso gli Uffizi, si propone di rievocare quel suggestivo allestimento voluto dall’artista nel suo studio: così, nel raccolto e raffinato ambiente della Sala del Camino saranno esposti bozzetti in argilla e alcuni disegni preparatori per il gruppo marmoreo, a ricostruire le tappe di un percorso difficile e complesso per giungere alla redazione finale del gruppo monumentale, destinato a decretare la gloria di Pio Fedi in Italia e all’estero.Questa piccola mostra sarà l’occasione di ammirare opere non sempre esposte insieme al prezioso nuovo acquisto di un bozzetto in terracotta per il gruppo della Loggia dei Lanzi , e consentirà di mettere Pio Fedi nella luce che merita: la sua fama è infatti legata, oltre che al Ratto di Polissena nella cornice di piazza della Signoria, alla figura della Libertà raggiata per il Monumento funebre a Giovanni Battista Niccolini nella basilica di Santa Croce, che servì da ispirazione allo scultore francese Frédéric Auguste Bartholdi per la sua Statua della Libertà, celeberrimo simbolo della città di New York.
L’ultima rassegna che vogliamo proporre è organizzata al Museo del Novecento. Dopo Emilio Vedova e Piero Manzoni, il terzo appuntamento riguarda lo scultore Medardo Rosso. Le sei sculture esposte (Portinaia, Grande Rieuse [Ragazza che ride], Grande Rieuse [Ragazza che ride], Enfant à la bouchée de pain [Bambino alle cucine economiche], Enfant à la bouchée de pain [Bambino alle cucine economiche], Enfant Juif [Bambino ebreo]), documentano il livello altissimo a cui Rosso era giunto nella ridefinizione della scultura e l’inferenza della sua opera con quelle dei maggiori artisti del tempo. Infatti le Rieuses (1890-1891) nelle loro diverse varianti sono in aperto dialogo con dipinti come La chanson du chien di Degas, 1876, raffigurante la cantante Emma Valadon. I ritratti di Rosso, che è stato senza dubbio il maggiore ritrattista del secolo in scultura, restituiscono il punto più avanzato, con quelli pittorici di Degas, della ricerca nel campo di analisi psicologica e fisiognomica del soggetto e per la profonda comprensione delle nuove possibilità compositive e di messinscena dedotte dal confronto con la fotografia e il cinema. La mostra di Firenze propone un percorso di rilettura dell’opera dello scultore fuori della consueta visione codificata di un Rosso prima naturalista e poi simbolista, per segnalare invece la sua assoluta originalità e specificità nell’ambito dell’arte moderna. L’esposizione offre l’opportunità per la prima volta di mettere a diretto confronto in una analisi “testuale” due diverse varianti dello stesso soggetto, Enfant à la bouchée de pain [Bambino alle cucine economiche] e La Rieuse [Ragazza che ride], permettendo così di capire il “work in progress” di Rosso, grande sperimentatore di tecniche e di linguaggio. La ricerca rivoluzionaria sul soggetto si traduce in sculture di piccole dimensioni, antimonumentali, caratterizzate da superfici scabre, in molti casi espressione di processi artigianali che vengono gestiti in autonomia dallo stesso Rosso nel suo atelier, vera e propria fucina alchemica moderna. Alla sua peculiare indagine sull’arte plastica si affianca, influenzandola e restandone influenzata, la sperimentazione in ambito grafico e fotografico, in cui si accentua la passione per il frammento e il taglio compositivo e per la componente vibratile e fantasmatica dell’immagine.
Collateral demages
Aosta – Museo archeologico
13 ottobre 2018 - 31 marzo 2019
Orari: tutti i giorni 10.00 – 13.00/14.00 – 18.00, chiuso lunedì
Biglietti: 3€ intero, 2€ ridotto
Informazioni: www.lovevda.it

Van Dyck. Pittore di corte
Torino – Galleria Sabauda
16 novembre 2018 - 17 marzo 2019
Orari: lunedì 9.00 – 19.00 (con ingresso da Via XX Settembre, 86); martedì – domenica 9.00 – 19.00 (con ingresso da Piazzetta Reale, 1)
Biglietti: 14€ intero, 12€ ridotto
Informazioni: www.museireali.beniculturali.it

I Macchiaioli. Arte italiana verso la modernità
Torino – GAM
20 ottobre 2018 - 24 marzo 2019
Orari: martedì - domenica: 10.00 - 18.00, chiuso lunedì
Biglietti: 13€ intero, 11€ ridotto
Informazioni: www.gamtorino.it

Ad acqua. Vedute e paesaggi di Bagetti: tra realtà e invenzione
Torino – Galleria Sabauda
30 novembre 2018 - 31 marzo 2019
Orari: tutti i giorni 8.30-18, chiuso lunedì
Biglietti: 12€ intero, 6€ ridotto
Informazioni: www.museireali.beniculturali.it

Ercole e il suo mito
Venaria Reale (To) – Reggia, Sala delle Arti
13 settembre 2018 – 10 marzo 2019
Orari: martedì - venerdì 9.00- 17.00; sabato, domenica 9.00- 18.30, chiuso lunedì
Biglietti: 12€ intero, 10€ ridotto
Informazioni: www.lavenaria.it

Romanticismo
Milano – Gallerie d’Italia/ Museo Poldi Pezzoli
26 ottobre 2018 – 17 marzo 2019
Orari: Gallerie d’Italia: martedì - domenica 9.30- 19.30; giovedì 9.30 – 22.30; lunedì chiuso Museo Poldi Pezzoli: mercoledì - lunedì 10.00- 18.00; giovedì 10.00 – 22.30; martedì chiuso
Biglietti: 10€ intero per ogni sede, 7€ ridotto per ogni sede (possibilità di riduzioni)
Informazioni: www.gallerieditalia.com

Angelo Morbelli . Luce e colore
Milano – Galleria Bottegantica
26 gennaio 2019 – 16 marzo 2019
Orari: martedì - sabato 10.00-13.00/ 15.00-19.00
Ingresso libero
Informazioni: www.bottegantica.com

Bizarre, novità e stravaganza nelle sete europee del XVIII
Como – Fondazione Ratti
14 dicembre 2018 - 31 marzo 2019
Orari: lunedì - venerdì 10.00-13.00/15.00-18.00; domenica 14.00-18.00
Ingresso gratuito
Informazioni: www.fondazioneratti.org

Pietre colorate molto vaghe e belle. Arte senza tempo del museo dell’Opificio delle Pietre Dure
Mantova – Palazzo Ducale /Castello di San Giorgio
20 ottobre 2018 -31 marzo 2019
Orari: martedì - domenica 8.15 - 19.15; lunedì chiuso
Biglietti: 12€ intero, 7,50€ ridotto
Informazioni: www.mantovaducale.beniculturali.it

Maragliano 1664-1739. Lo spettacolo della scultura
Genova – Palazzo Reale
10 novembre 2018 - 10 marzo 2019
Orari: martedì -venerdì 10.00 – 18.00; sabato e domenica 14.00 – 18.00
Biglietti: 10€ intero, 5€ ridotto
Informazioni: www.palazzorealegenova.beniculturali.it

L’Amore materno alle origini della pittura moderna da Previati a Boccioni
Verona – Palazzo della Ragione/Galleria d’Arte Moderna A.Forti
7 dicembre 2018 – 10 marzo 2019
Orari: martedì-venerdì 10.00-18.00; sabato e domenica 11.00-19.00, lunedì chiuso
Biglietti: 8€ intero, 5€ ridotto
Informazioni: www.gam.comune.verona.it

Il trionfo del Colore. Da Tiepolo a Canaletto e Guardi. Vicenza e i Capolavori dal Museo Pushkin di Mosca
Vicenza – Museo Civico Palazzo Chiericati/Gallerie d’Italia Palazzo Leoni Montanari
23 novembre 2018 - 10 marzo 2019
Orari: tutti i giorni 10.00-18.00, lunedì chiuso
Biglietti: 5€ intero, 3€ ridotto
Informazioni: www.gallerieditalia.com

Verso il boom! 1950-1962
Treviso – Museo Nazionale Collezione Salce
29 settembre 2018 – 17 marzo 2019
Orari: mercoledì-domenica: 10.00 - 18.00
Biglietti: 8€ intero, 4€ ridotto
Informazioni: www.collezionesalce.beniculturali.it

Venezia e San Pietroburgo. Artisti, principi e mercanti
Mestre (Ve) – Centro Culturale Candiani
18 dicembre 2018 – 24 marzo 2019
Orari: tutti i giorni 10.00-19.00, lunedì chiuso
Biglietti: 5€ intero, 3€ ridotto
Informazioni: www.visitmuve.it

Ultimi giorni di Bisanzio. Splendore e declino di un impero
Venezia – Biblioteca Marciana
26 novembre 2018 - 5 marzo 2019
Orari: tutti i giorni 10.00 - 17.00; lunedì chiuso
Biglietti: 20€ intero, 13€ ridotto
Informazioni: www.marciana.venezia.sbn.it
Occidentalismo. Modernità e arte occidentale nei kimono. 1900-1950
Gorizia – Museo della Moda e delle Arti Applicate
21 novembre 2018 – 17 marzo 2019
Orari: tutti i giorni 9.00-19.00, lunedì chiuso
Biglietti: 6€ intero, 3€ ridotto
Informazioni: www.musei.regione.fvg.it

Metlicovitz. L’arte del desiderio. Manifesti di un pioniere della pubblicità
Trieste – Civico Museo Revoltella/ Civico Museo Teatrale “Carlo Schmidl”
16 dicembre 2018 – 17 marzo 2019
Orari: museo Revoltella tutti i giorni 9.00-19.00 (martedì chiuso); Civico Museo Teatrale “Carlo Schmidl”: tutti i giorni 10.00-17.00
Biglietti: 8€ intero, 5€ ridotto (biglietto unico se si usa il medesimo giorno)
Informazioni: www.museorevoltella.it; www.museoschmidl.it

Annibale. Un mito mediterraneo
Piacenza – Palazzo Farnese
16 dicembre 2018 – 17 marzo 2019
Orari: martedì -giovedì 10.00- 19.00; venerdì, sabato e domenica 10.00 - 20.00; lunedì chiuso
Biglietti: 12€ intero, 10€ ridotto
Informazioni: www.annibalepiacenza.it

Lodi per ogni ora. I corali francescani provenienti dalla Basilica di San Francesco
Bologna – Museo Civico Medioevale
16 settembre 2018 - 17 marzo 2019
Orari: martedì - domenica 10.00 -18.30; lunedì chiuso
Biglietti: 5€ intero, 3€ ridotto
Informazioni: www.museibologna.it

Giovanni Santi. Da poi…me dette alla mirabil arte de pictura
Urbino (PU) – Palazzo Ducale
30 novembre 2018 - 17 marzo 2019
Orari: martedì - domenica 8.30 -19.15; lunedì 8.30- 14.00
Biglietti: 8€ intero, 5€ ridotto
Informazioni: www.gallerianazionalemarche.it

Fragili tesori dei Principi. Le vie della porcellana tra Vienna e Firenze
Firenze – Palazzo Pitti
13 novembre 2018 - 10 marzo 2019
Orari: martedì -domenica 8.15-18.50, lunedì chiuso
Biglietti: 16€ intero, 8€ ridotto
Informazioni: www.uffizi.it

“Il ratto di Polissena”. Pio Fedi scultore classico negli anni di Firenze capitale
Firenze – Uffizi
24 novembre 2018 - 10 marzo 2019
Orari: martedì - domenica 8.15-18.15; lunedì chiuso
Biglietti: 20€ intero, 10€ ridotto
Informazioni: www.uffizi.it

Prima mostra italiana dell’Impressionismo e di Medardo Rosso
Firenze – Museo del Novecento
20 dicembre 2018 - 28 marzo 2019
Orari: lunedì - martedì - mercoledì - venerdì - sabato - domenica 11.00 – 19.00; giovedì 11.00 – 14.00
Biglietti: 9,50€ intero, 4,50€ ridotto
Informazioni: www.museonovecento.it

Mostre Marzo 2019

Autore:
Roda, Anna
Fonte:
CulturaCattolica.it

Le numerose proposte di marzo prendono avvio da Aosta con l’esposizione fotografica di Ugo Lucio Borga, fotogiornalista valdostano che da anni concentra il suo lavoro sulle guerre – anche quelle dimenticate – sulle crisi umanitarie, sulle questioni sociali e ambientali in Africa, Sud America, Medio Oriente, Asia, Europa. Più di cento immagini in bianco e nero documentano i conflitti nel mondo attuale. Così Ugo Borga spiega: “Non più eserciti contro eserciti sui campi di battaglia, nelle trincee, fuori dai centri abitati, ma civili armati nelle piazze, contractors, bombe umane nei mercati. Alla guerra ipertecnologica dello spazio si oppongono trappole esplosive elementari, strategie primitive, suicide: droni contro coltelli, impossibili da disinnescare. Nella guerra globale un’unica regola prevale su tutto: che vale tutto. Le donne, gli uomini, i bambini morti sotto le macerie vengono considerati danni collaterali, Collateral damages, in gergo militare”. Nel mondo, allo stato attuale, si combatte ovunque e tra gli effetti dei conflitti armati ci sono anche milioni di civili disperati, che tentano di sopravvivere alla guerra, alla fame, ai disastri ambientali. Le immagini esposte sono volutamente intense, hanno lo scopo non di sfiorare, ma di scuotere le coscienze.

Spostiamoci ora a Torino per tre mostre.

Le Sale Palatine della Galleria Sabauda ospitano la straordinaria mostra dedicata ad Antoon van Dyck, il miglior allievo di Rubens, che rivoluzionò l’arte del ritratto del XVII secolo. La mostra Van Dyck. Pittore di corte intende far emergere l’esclusivo rapporto che Van Dyck ebbe con le corti più autorevoli, italiane ed europee, per le quali dipinse innumerevoli ritratti. Capolavori unici che, attraverso un’arte raffinata e preziosa, diventano mezzo esclusivo per conoscere il fastoso universo seicentesco. Sebbene abbia eseguito molte opere di carattere storico e religioso, Van Dyck deve infatti la sua fama di grande artista ai ritratti, quali la Marchesa Elena Grimaldi Cattaneo, il Cardinale Bentivoglio, Il principe Tomaso di Savoia Carignano a cavallo, Carlo I e la regina Enrichetta Maria, che con la loro naturalezza e spontaneità, con la cura estrema nella resa dei materiali preziosi come sete e merletti, con la pennellata impalpabile che crea atmosfere vibranti e seducenti, esercitano ancora oggi un fascino irresistibile.

Siamo ora al GAM per la rassegna I Macchiaioli. Arte italiana verso la modernità.
Il percorso prende il via con il racconto della formazione dei protagonisti, necessario per far apprezzare a pieno il contributo innovativo dei macchiaioli all’interno della storia dell’arte. Dalle opere di pittori e maestri accademici di gusto romantico o purista, come Giuseppe Bezzuoli, Luigi Mussini, Enrico Pollastrini, Antonio Ciseri, Stefano Ussi, ai giovani futuri macchiaioli come Silvestro Lega, Giovanni Fattori, Cristiano Banti, Odoardo Borrani: attraverso il confronto delle opere sarà evidenziata la loro educazione tradizionale, rispettosa dei grandi esempi rinascimentali. A punteggiare la mostra è la partecipazione delle opere scelte alle prime Promotrici di Belle Arti e alla prima Esposizione nazionale di Firenze del 1861; sullo sfondo è la visita all’Esposizione Internazionale di Parigi del 1855, che fu un avvenimento decisivo per i giovani macchiaioli, suscitando grande curiosità ed emulazione nei confronti della nuova visione “oggettiva” e diretta. In questa cornice, sarà presentato al pubblico il dialogo che sospinse alcuni artisti tra Piemonte, Liguria e Toscana a condurre le ricerche “sul vero”. Furono anni di sperimentazione in cui le ricerche sul colore-luce, condotte en plein air, crearono un comune denominatore tra pittori legati in gruppi e cenacoli, di cui l’esempio più noto fu quello dei macchiaioli toscani. Si affronta quindi la sperimentazione della macchia applicata al rinnovamento dei soggetti storici e di paesaggio, con opere degli anni Cinquanta e dei primi Sessanta, durante i quali talvolta gli amici si trovavano vicini a dipingere lo stesso soggetto da angolature di poco variate, così da evidenziare il loro percorso comune e il proficuo dialogo intessuto in quegli anni di profondi mutamenti non solo artistici, ma politici e culturali in senso ampio. A seguire si propongono le scelte figurative dei macchiaioli dall’Unità d’Italia a Firenze capitale e gli ambienti in cui maturò il linguaggio macchiaiolo: dalle movimentate estati trascorse a Castiglioncello, nella tenuta di Martelli, ai più pacati pomeriggi autunnali e primaverili a Piagentina, nell’immediata periferia fiorentina, ove gli artisti si erano ritirati a lavorare al riparo dalle trasformazioni della Firenze moderna, accentuate dal 1865 dal suo ruolo di capitale dell’Italia unita. L’ultimo capitolo del viaggio affianca alle opere l’esperienza cruciale di due riviste: il «Gazzettino delle Arti del Disegno», pubblicata a Firenze nel 1867, e l’«Arte in Italia», fondata due anni dopo a Torino e che accompagna le vicende artistiche italiane sino al 1873.

Sempre presso la Galleria Sabauda una mostra monografica su Giuseppe Pietro Bagetti (Torino, 1764 – 1831), fine disegnatore e interprete sensibile della pittura di paesaggio, che seppe sfruttare magistralmente le potenzialità dell’acquarello per realizzare vedute e battaglie cosa che lo rese celebre già presso i suoi contemporanei, al punto da suscitare l’apprezzamento dello stesso Napoleone Bonaparte. La mostra approfondisce alcuni momenti del cammino artistico di Bagetti e mette in evidenza la capacità creativa e la competenza geografica dell’artista nel riprodurre scene urbane e rurali, presentando una selezione di 39 opere appartenenti ai fondi di grafica della Biblioteca Reale e della Galleria Sabauda. L’esposizione prende avvio dalla serie delle Vedute del Piemonte e del Nizzardo, incise a partire dal 1793, che associano all’esigenza di documentare fedelmente i luoghi rappresentati una spiccata attenzione verso gli aspetti metereologici. Una coppia di paesaggi di Pietro Giacomo Palmieri rendono poi omaggio al maestro che indirizzò Bagetti verso la tecnica della pittura ad acquarello, tecnica considerata come una novità, e verso gli aggiornamenti culturali che provenivano dagli altri paesi d’Europa e dal quale il pittore torinese seppe cogliere importanti suggestioni nel modo di interpretare la natura. Tempesta con nubifragio e Paesaggio con ruderi e città sullo sfondo ben rappresentano l’arte del celebre vedutista, in quanto caratterizzati entrambi dal gusto per il pittoresco che costituisce uno degli aspetti tipici del suo linguaggio figurativo. Agli anni successivi all’annessione del Piemonte alla Francia, avvenuta nel 1802, risalgono alcuni schizzi a monocromo, preliminari alla redazione definitiva degli acquarelli oggi conservati al Museo di Versailles, che ritraggono la topografia delle località piemontesi scenario delle vittoriose campagne napoleoniche. L’attività della tarda maturità in cui Bagetti si dedica, su sollecitazione di re Carlo Felice, alla pittura d’invenzione è invece testimoniata nel percorso espositivo da quattro paesaggi boschivi nei quali la natura viene indagata nei suoi vari aspetti botanici, geologici e fisici.

Ci trasferiamo ora alla Reggia di Venaria Reale (To) per una mostra dedicata al mito di Ercole. Essa si propone di illustrare la figura di Ercole con una raccolta di straordinari dipinti e oggetti d’arte prodotti nell’antichità classica e tra Cinquecento e Settecento. La mostra coincide con i lavori di restauro della “Fontana d’Ercole, fulcro del progetto secentesco dei Giardini della Reggia, dominata dalla Statua dell’Hercole Colosso, la cui riproposizione al pubblico rappresenta una delle fasi conclusive del grande restauro della Venaria. A conclusione, viene presentato il rifiorire negli ultimi decenni dell’interesse sul mito di Ercole attraverso i grandi film prodotti a Cinecittà negli anni Sessanta e poi ancora recentemente a Hollywood.

Le nostre proposte ci portano ora a Milano.
Cominciamo la grande mostra allestita presso le Gallerie d’Italia e Poldi Pezzoli dedicata al Romanticismo, si tratta della prima mostra mai realizzata sul contributo italiano al movimento che, preannunciato alla fine del Settecento, ha cambiato nel corso della prima metà dell’Ottocento la sensibilità e l’immaginario del mondo occidentale. In particolare, Milano – che tra le grandi città d’Italia è quella che ha avuto in quegli anni la maggiore vocazione europea – è stata uno dei centri della civiltà romantica, sia per quanto riguarda le arti figurative che sul versante letterario e musicale. Pensiamo alle esposizioni d’arte, ai grandi collezionisti, alle imprese editoriali, ai teatri – tra cui La Scala– e a protagonisti come Foscolo, Manzoni, Rossini, Hayez e Verdi. L’esposizione celebra l’identità e il valore del Romanticismo italiano, in rapporto a quanto si andava manifestando nel resto d’Europa – in particolare in Germania, nell’Impero austriaco, in Inghilterra e in Francia – tra il Congresso di Vienna e le rivoluzioni che nel 1848 sconvolsero il vecchio continente. Le opere esposte alle Gallerie d’Italia di Milano e al Museo Poldi Pezzoli documentano un periodo che va dai fermenti preromantici fino alle ultime espressioni di una cultura che, almeno nel nostro Paese, avrà termine con la realizzazione dell’Unità d’Italia e l’affermazione del Realismo, che del Romanticismo rappresenta l’antitesi. In mostra, i dipinti dei maggiori interpreti della pittura romantica: Francesco Hayez, Giuseppe Molteni, Giovanni Carnovali detto Il Piccio, Massimo d’Azeglio, Giovanni Migliara, Angelo Inganni, Giuseppe e Carlo Canella, Ippolito Caffi, Salvatore Fergola, Giacinto Gigante, Pitloo, Domenico Girolamo Induno. Tra le sculture spiccano i lavori di tre straordinari maestri: Lorenzo Bartolini, Pietro Tenerani e Vincenzo Vela. Non mancano grandi artisti di diversa nazionalità attivi in Italia, come Caspar David Friedrich, Franz Ludwig Catel, Jean-Baptiste Camille Corot, William Turner, Friedrich von Amerling, Ferdinand Georg Waldmüller, Karl Pavlovic Brjullov, che permettono di approfondire le relazioni intercorse tra il Romanticismo italiano e quello europeo.
In occasione del centenario dalla morte dell’artista Angelo Morbelli (Alessandria, 1853 – Milano, 1919), Galleria Bottegantica propone una attenta monografica di protagonista della pittura italiana del secondo Ottocento e del Divisionismo, in modo peculiare. L’esposizione presenta una selezione di opere fondamentali, alcune mai prima esposte, atte a documentare l’evoluzione del percorso artistico di Morbelli e le sue tematiche di elezione. Il realismo sociale, che egli interpreta con profonda sensibilità e capacità di analisi, si trasmuta in positività le volte in cui egli si approccia al variegato tema del paesaggio. I suoi paesaggi dominati dall’assenza di figure e di azione, dove l’emozione del pittore trova pieno appagamento nell’aprirsi, in religioso silenzio, alla natura, che è il regno delle cose che si rinnovano da sole, l’ente che possiede e dona la vita. Ne sono un esempio gli ariosi paesaggi dei ghiacciai valtellinesi o delle montagne piemontesi, le ampie vedute della marina ligure, gli scorci della laguna veneta, colti perlopiù al tramonto, e quelli assolati dell’amato giardino della residenza campestre a La Colma, presso Rosignano, sulle colline del Monferrato. Monti, mare, boschi sono cantati come lezione di vita vera e autentica, nei quali l’animo dell’artista sembra quietarsi. In Morbelli, la ricerca del Vero e quella del Bello e di immagini idonee a esprimerlo, vanno di pari passo. Come risulta evidente nei dipinti dedicati al lavoro delle mondine, al nudo femminile e all’universo adolescenziale delle ballerine. Quest’ultima produzione, in particolare, è caratterizzata da una raffinatezza formale tale da distinguersi come uno dei momenti più alti raggiunti in pittura dall’artista, dove la visione si piega al sentimento, grazie anche a un uso sapiente e controllato dell’illuminazione e all’elegante messa in posa delle giovani creature, colte nella fugacità di un attimo. La bellezza e la perfezione delle loro forme fuggono dagli eccessi di un realismo troppo esibito. Più che a una rappresentazione realistica ci troviamo di fronte all’esaltazione di una nuova intensità espressiva, occasionata dall’aver conferito alla figura il potere di espansione della propria luminosità interna, in stretta relazione con la qualità della luce-ambiente, in cui essa è calata.

Il nostro itinerario ci porta ora a Como, presso la prestigiosa Fondazione Ratti per la rassegna Bizarre, novità e stravaganza nelle sete europee del XVIII. La mostra pone in una prospettiva contemporanea e trasversale, un fenomeno della storia del tessuto occidentale: a cavallo tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo, i tessitori europei inventano motivi decorativi inusuali mescolandoli liberamente e attingendo a tutti i riferimenti culturali che provengono dall’Oriente, senza preoccuparsi di produrre rappresentazioni fedeli al reale. E’ proprio questo approccio nel ridisegnare le forme il segno comune tra queste produzioni e il contemporaneo. Seguendo la propria sensibilità e interpretando le forme, per la prima volta gli artigiani tessili possono attingere a piene mani al repertorio delle disegnature e creare per le loro sete policrome disegni astratti che si snodano sinuosi mescolandosi a motivi geometrici, grandi infiorescenze fantastiche che si confondono tra raffigurazioni di architetture barocche ed edifici orientaleggianti. La realizzazione di disegni tanto impegnativi è resa possibile dall’altissima competenza tecnica dell’epoca, in grado di tradurre le novità, le stravaganze e la raffinatezza dei decori, a volte di difficile lettura.

Giungiamo a Mantova presso il Castello di San Giorgio del Complesso Museale Palazzo Ducale per la mostra Pietre colorate molto vaghe e belle. Arte senza tempo dal Museo dell'Opificio delle Pietre Dure, si tratta di una preziosa raccolta di opere d'arte realizzate con la particolare tecnica artistica detta ‘commesso’ che consente di creare, sulla base di un modello pittorico, immagini ottenute dal paziente assemblaggio di piccole sezioni di pietre colorate: porfidi, diaspri, agate, lapislazzuli che, accuratamente selezionati, tagliati e accostati, appaiono come una vera e propria ‘pittura di pietra’. L'esposizione è arricchita da una sezione interamente dedicata alle antiche tecniche di lavorazione e ai pregiati materiali utilizzati, che offrirà al visitatore la possibilità di cogliere in pieno la perizia tecnica che sta alla base di queste preziose e raffinate realizzazioni destinate a una committenza regale.

Ci spostiamo ora a Genova.
Nel Teatro del Falcone di Palazzo Reale, apre al pubblico una grande mostra dedicata alla celebre figura di Anton Maria Maragliano (1664-1739), rinomato autore di sculture lignee. Per la prima volta si possono ammirare, a confronto tra loro, i capolavori del maestro, testimoni della potenza persuasiva del legno dipinto e dorato a personificare i protagonisti del Paradiso: dalle eleganti statue mariane agli aggraziati Crocifissi fino alle grandiose macchine processionali con i martirii dei santi. Si tratta del primo evento espositivo utile a dar conto del profilo monografico dell’artista, affrontato negli ultimi vent’anni in maniera specifica e approfondita. Di questo artista la mostra vuole sottolineare la capacità di corrispondere alle esigenze della committenza attraverso immagini bellissime e di forte impatto emotivo rese possibile, a partire dall’inizio del Settecento, dall’ottenimento di un vero e proprio monopolio che costrinse lo scultore alla dotazione di un assetto imprenditoriale articolato. Ben due generazioni di allievi furono accolte nelle stanze di Strada Giulia, nel cuore di Genova, dove Maragliano aveva la bottega, dando corso a quel fenomeno di divulgazione del linguaggio del maestro che rappresenta l’aspetto più affascinante, benché problematico, dell’approccio allo scultore: e gli allievi degli allievi perseguirono questa divulgazione oltrepassando la fine del secolo. L’esposizione si aprirà con una sezione dedicata ai precedenti con le opere degli artisti su cui il giovane Maragliano si formò, da Giuseppe Arata e Giovanni Battista Agnesi a Giovanni Battista Bissoni e Marco Antonio Poggio. Seguiranno i luoghi di Maragliano evocati attraverso una serie di documenti, incisioni e acquerelli utili a raccontare le fasi di apprendistato e gli ambienti che hanno ospitato lo spazio di lavoro del maestro nel corso degli anni. Il magnifico San Michele Arcangelo di Celle Ligure, richiesto a Maragliano nel 1694, e il San Sebastiano per i Disciplinanti di Rapallo, commissionato nel 1700, testimoniano, in un’apposita sezione, il ruolo dei modelli in sintonia con la più aggiornata cultura figurativa radicata a Genova grazie al pittore Domenico Piola e allo scultore francese Pierre Puget. Queste sculture, capaci di tradurre nella tridimensionalità del manufatto la grazia coinvolgente propria della pittura coeva e della scultura berniniana, rivelano il nuovo, delicato dinamismo della cultura barocca. La pratica di lavoro, dalla manipolazione dei modelli in creta alla collaborazione con i pittori – specie quelli di Casa Piola – costituirà un approfondimento di particolare interesse che renderà comprensibile il progetto ideativo nell’interezza del suo iter.

Le nostre proposte ci portano ora in Veneto.
A Verona viene proposta una rassegna sul tema della maternità, in un momento nodale nell’arte italiana fra Otto e Novecento. Il fulcro della esposizione è costituito dalla Maternità di Gaetano Previati, un capolavoro di grande formato e fortemente evocativo legato al tema “dell’amore materno. Il dipinto esposto alla prima Triennale di Brera del 1891 suscitò un vivace dibattito oltre che sulla tecnica divisionista, anche sui possibili esiti simbolici della rappresentazione.
Il famoso artista-critico Vittore Grubicy, già attento sostenitore di Segantini, individuò nella tela di Previati il prototipo della pittura ‘ideista’. Il percorso espositivo costruito attorno al grande dipinto propone celebri capolavori di Gaetano Previati, Medardo Rosso, Giovanni Segantini, Angelo Morbelli, Giuseppe Pellizza da Volpedo e Umberto Boccioni, capaci di restituire in maniera esemplare l’intensa stagione culturale che ha segnato il transito rivoluzionario della pittura italiana ottocentesca nella direzione europea dell’arte moderna d’avanguardia. Da qui, la rigorosa selezione filologica di una quindicina di opere che mette in evidenza il confronto tra esiti e ricerche diverse contemporanee al maestro ferrarese, ma anche le ricadute e gli stimoli forniti da queste sperimentazioni alle avanguardie del primo Novecento.

Eccoci a Vicenza per la mostra Il trionfo del colore. Da Tiepolo a Canaletto e Guardi. Vicenza e i capolavori dal Museo Pushkin di Mosca. Dopo il grande successo riscosso in Russia, un’opportunità unica per il pubblico italiano per conoscere la grande stagione settecentesca dell’arte veneta e il suo impatto deflagrante sul panorama artistico europeo. Oltre sessanta capolavori distribuiti tra Palazzo Chiericati, sede del museo civico, e le Gallerie d’Italia, danno vita a una straordinaria avventura visiva che consente di apprezzare appieno il Settecento veneziano e veneto, reso eterno dai suoi protagonisti: Giambattista Tiepolo, Giovanni Battista Pittoni, Luca Carlevarijs, Giambattista Piazzetta, Antonio Giovanni Canal detto Canaletto, Francesco Guardi e Pietro Longhi. Il corpus delle 65 opere esposte è costituito da 24 dipinti provenienti dal Pushkin, tra cui Il ritorno del Bucintoro all’approdo di Palazzo Ducale di Canaletto, e da 41 opere selezionate sia dall’ampio patrimonio dei Musei Civici di Vicenza, che dal patrimonio di Intesa Sanpaolo conservato a Palazzo Leoni Montanari. La mostra si estende anche fuori dalle mura delle due sedi, nelle chiese, nei palazzi e nelle ville della città e del territorio, lungo itinerari appositamente messi a punto dagli organizzatori. Tra le tappe assolutamente da non perdere: il Palladio Museum, e le ville Valmarana ai Nani, Cordellina e Zileri, veri e propri patrimoni dell’umanità dove puoi trovare i maggiori capolavori ad affresco del Settecento europeo.
La prossima proposta ci porta a Treviso presso il Museo Nazionale Collezione Salce con la rassegna Verso il boom! 1950-1962. La mostra ci introduce nei meandri più sorprendenti e meno conosciuti della Collezione Salce proponendone le creazioni più recenti: quelle che, dal secondo dopoguerra fino al 1962 – anno estremo tanto dell’attività collezionistica quanto della vita di Nando Salce – raccontano lo straordinario momento storico della ricostruzione e della ripresa produttiva e preludono al vero boom economico e demografico che si configurò negli anni successivi. Passata la guerra, un incontenibile entusiasmo progettuale si diffonde capillarmente nel Paese. E la pubblicità riflette e anticipa, sottolinea, enfatizza questo sentimento, vivendo un momento di straordinaria effervescenza. Autori già maturi e specializzati da tempo nella grafica illustrata, reiterano con caparbietà i fasti del cartellonismo delle origini – è il caso di Dudovich, di Boccasile, di Edel – o ne rinnovano radicalmente i modi – Carboni, Nizzoli – beneficiando di spunti progettuali desunti da una consapevolezza professionale decisamente più complessa, esercitata nell’ambito di strategie comunicative che inseriscono il manifesto – nemmeno più così indispensabile – in promozioni pubblicitarie ad ampio spettro che il prodotto lo imballano, lo etichettano, lo animano.
Giovani geni venuti dal nord – lo svizzero Huber, l’olandese Noorda, il tedesco Engelmann – intercettano a Milano i fermenti generativi del migliore design e della più emancipata cultura d’impresa, disegnando immagini così perfettamente attuali da essere oggi, a settant’anni di distanza, vive e storiche al contempo. Ma infine, nel generale innamoramento per l’America – da cui arrivano bevande, detersivi e agenzie pubblicitarie, minime avanguardie tangibili di quello che resta un sogno ancora lontano – spicca il caso tutto italiano di Armando Testa: ispirato dai precorrimenti di Federico Seneca e alimentato da una grande cultura pittorica, si rivelerà a lungo capace di ineguagliati traguardi di sintesi e di efficacia comunicativa.

Arriviamo a Venezia e dintorni per proporre ben tre mostre.
A Mestre, presso il Centro Culturale Candiani abbiamo la mostra Venezia e San Pietroburgo. Artisti, principi e mercanti. Il Museo Statale Ermitage custodisce una delle più ricche collezioni di arte veneziana al mondo. La nascita di questa raccolta è tra i più avvincenti capitoli della storia del collezionismo, che ancora oggi ci sorprende con nuove scoperte e straordinari ritrovamenti.
La mostra documenta attraverso un gruppo di quadri e disegni – alcuni dei quali mai esposti in Italia – i percorsi che hanno condotto l’arte della Serenissima all’Ermitage, mettendo in evidenza affascinanti figure di collezionisti e mercanti. Ognuna delle opere selezionate riassume, nella propria vicenda storica, un episodio specifico nella formazione della raccolta d’arte veneziana del museo russo. Vengono esposti dipinti dei massimi artisti veneti a partire dal Cinquecento, come Tiziano, Veronese, Tintoretto, Bellotto, Canaletto, Tiepolo e Guardi. Allo stesso tempo sarà dato spazio ai rapporti fra i maestri veneziani e i mecenati russi nel corso del Settecento.

A Venezia, cuore della mostra Ultimi giorni di Bisanzio. Splendore e declino di un impero è la cosiddetta “icona di San Luca“ di Freising, opera bizantina raffigurante la Madonna dal titolo “Speranza dei disperati“. L’icona è emblema della situazione tragica in cui si trovava Bisanzio, in lotta con gli Ottomani, tra Tre e Quattrocento. Per ottenere sostegno militare, l’imperatore Manuele II Paleologo (*1350, 1391-1425) intraprese tra il 1399 e il 1403 un viaggio diplomatico in Occidente, durante il quale portò con sé l’icona e molti altri oggetti di estremo valore da donare ai potenti europei. In questa eccezionale occasione, per la prima volta dopo più di sei secoli l’icona di San Luca ritornerà a Venezia, città del suo primo approdo in Europa. In otto sezioni, sullo sfondo dei rivolgimenti politici internazionali che portarono alla caduta di Costantinopoli nel 1453, la mostra illustra il significato del viaggio dell’imperatore Manuele II (1399-1403) e dei suoi doni diplomatici, testimonianze dell’intenso scambio culturale tra l’Europa - e in particolare Venezia - e Bisanzio agli albori dell’Umanesimo. Nonostante l’aggravarsi del conflitto bizantino-ottomano, non mancarono tentativi di incontro pacifico tra le due culture e religioni, come dimostra il manoscritto dei "Dialoghi con un musulmano" di Manuele II, reso famoso dal dibattuto discorso di Papa Benedetto XVI all’Università di Ratisbona nel 2006, che dai dialoghi di Manuele traeva una citazione. Nella seconda sezione della mostra, carte geografiche dell’epoca presentano Costantinopoli e Venezia, punti di partenza e di approdo dell’imperatore nel suo viaggio in Europa. Si tratta di due tra le primissime rappresentazioni di queste città: la Costantinopoli di Cristoforo Buondelmonti (ca. 1420) e la Venezia di Bernardo di Breidenbach (1486). Giunto a Venezia, Manuele si recò a Milano, Parigi e Londra, portando con sé preziosi doni diplomatici, destinati ai sovrani europei e ai due papi allora residenti a Roma e ad Avignone. Due di questi doni si sono conservati e saranno visibili nell’esposizione: il reliquiario con una bolla imperiale donato all’antipapa Benedetto XIII, oggi nella cattedrale di Palma di Mallorca, e il reliquiario delle S. Spine della corona di Cristo dal Duomo di Pavia. Accompagna i due oggetti il preziosissimo codice manoscritto del Louvre con opere di Dionigi Areopagita e un ritratto della famiglia imperiale, donato dal Paleologo al monastero di S. Denis attraverso l’illustre umanista Manuele Crisolora, del quale un disegno - ancora del Louvre - mostra il ritratto. L’icona di San Luca, opera medio-bizantina, ridipinta e munita di un rivestimento d’oro all’epoca dei Paleologi, fu invece donata a uno degli uomini più ricchi e potenti del tempo, Gian Galeazzo Visconti (*1351, 1378/85-1402), ritratto nel suo inestimabile "Libro d’Ore". Per altre vie, l’icona entrò poi in possesso dei veronesi della Scala. Il 23 settembre 1440 Nicodemo della Scala, vescovo di Freising dal 1422, la regalò al Duomo della città, dove nel 1624 venne collocata in un altare d’argento smaltato. Icona e altare si troveranno al centro di una "galleria delle icone", che intende mettere in luce il significato e il potere divino attribuiti alle immagini sacre nel mondo bizantino.

Dalla collaborazione Città di Venezia, la Fondazione Musei Civici di Venezia e il Museo Statale Ermitage di San Pietroburgo nasce la mostra allestita a Palazzo Fortuny con circa 250 opere di cui 80 dal Museo Statale Ermitage, dall’antichità all’arte contemporanea, per riflettere sul senso e sui significati delle rovine; sulla costruzione del futuro, attraverso la consapevolezza dell’imprescindibile legame con il passato. La mostra riflette sul tema della rovina: allegoria dell’inesorabile scorrere del tempo, sempre incerta e mutevole, contesa com’è tra passato e futuro, vita e morte, distruzione e creazione, tra Natura e Cultura. L’estetica delle rovine è elemento cruciale nella storia della civiltà occidentale. La rovina simboleggia la presenza del passato ma contemporaneamente contiene in sé la potenzialità del frammento: un lacerto che ci arriva dall’antichità, ricoperto dalla patina del tempo, per i suoi risvolti culturali e simbolici diventa anche valida “pietra di fondazione” per costruire il futuro. Essa viene dal passato, conferisce ricchezza di senso al presente, dona consapevolezza ai progetti futuri.

Il Museo della Moda di Gorizia propone una mostra interamente dedicata ai kimono. Non kimono qualunque, ma quelli prodotti in Giappone tra il 1900 e gli anni ’40, pezzi che riflettono la volontà imperiale di occidentalizzare il Paese. Così come, nel secolo precedente, il Giapponismo era deflagrato in tutta Europa, influenzando una parte significativa della produzione artistica, all’inizio del Novecento il gusto occidentale esplode in Giappone. Questa ventata di novità investe anche il capo-simbolo della tradizione: il kimono. Ai motivi tradizionali si affiancano disegni coloratissimi che richiamano, in modo puntuale, il Cubismo, il Futurismo e le altre correnti artistiche europee. C’è anche un singolare kimono che celebra il patto tripartito Roma-Berlino-Tokyo del 1940, dove la bandiera italiana è seminascosta dentro le cuciture mentre il sol levante e la svastica campeggiano ovunque. La mostra presenta 40 pezzi, tra kimono e haori (sovrakimono), una selezione particolarmente significativa del contesto illustrato, per far conoscere al pubblico un settore della produzione tessile giapponese fino ad oggi poco esplorato.

Ancora cartellonismo, ma questa volta a Trieste. 150 anni fa nasceva in questa città Leopoldo Metlicovitz (1868-1944), uno dei maestri assoluti del cartellonismo italiano. È lui l’autore di decine di manifesti memorabili, dedicati a prodotti commerciali e industriali, ma anche a grandi eventi come l’Esposizione internazionale di Milano del 1906, a famose opere liriche (Madama Butterfly, Manon Lescaut, Turandot) e a film dell’epoca del muto (primo fra tutti Cabiria, storico precursore del kolossal). Assieme ad artisti quali Hohenstein, Laskoff, Terzi e al più giovane concittadino Marcello Dudovich, Metlicovitz (che di quest’ultimo fu il “maestro”) operò per decenni alle Officine Grafiche Ricordi di Milano, dopo un avvio come pittore paesaggista nella città natale e un apprendistato come litografo (professione ereditata dal padre) in uno stabilimento grafico di Udine.
Fu proprio grazie all’intuito di Giulio Ricordi, che Metlicovitz poté esplicare, dagli ultimi anni dell’Ottocento, tutte le proprie potenzialità espressive, non solo come grande esperto dell’arte cromolitografica, ma pure come disegnatore e inventore di quegli “avvisi figurati” (così chiamati allora) che, affissi a muri e palizzate, mutarono il volto delle città con il loro vivace cromatismo, segnando anche in Italia la nascita di quell’arte della pubblicità sintonizzata su quanto il “modernismo” internazionale andava proponendo nelle arti applicate sotto i vari nomi di Jugendstil, Modern Style, Art Nouveau, Liberty. Nella grande monografica rivive l’intero arco della produzione dell’artista. Le opere esposte, 73 manifesti (alcuni di dimensioni “giganti”), tre dipinti e una ricca selezione di “grafica minore” (cartoline, copertine di riviste, spartiti musicali ecc.), saranno organizzate in otto sezioni espositive, sette delle quali ospitate presso il Civico Museo Revoltella e una – la sezione dedicata ai manifesti teatrali per opere e operette – nella Sala Attilio Selva al pianterreno di Palazzo Gopcevich, sede del Civico Museo Teatrale “Carlo Schmidl”.

Le nostre proposte ci portano ora in Emilia, a Piacenza per un’interessante mostra dedicata ad Annibale. L’esposizione Annibale. Un mito mediterraneo è un viaggio nella storia del Mediterraneo all’epoca delle Guerre Puniche, attraverso la vicenda dell’uomo che osò sfidare Roma. La rassegna offre una lettura innovativa delle vicende del condottiero cartaginese. Affianca all’esposizione dei reperti (ceramiche, armi, dipinti) provenienti da collezioni italiane e straniere, un apparato tecnologico che arricchisce e rende dinamico e coinvolgente il racconto, orienta le modalità di comunicazione e movimenta l’allestimento. Pensato come esperienza immersiva, con installazioni audiovisive, animazioni grafiche, teche olografiche interattive e videoinstallazioni, il percorso della mostra si snoda negli spazi sotterranei di Palazzo Farnese con varie sezioni tematiche che raccontano l’avventura del protagonista, con la sua voce a far da guida nei passaggi nodali del racconto. Nelle prime sezioni due diverse linee del tempo introducono allo scenario storico del III secolo a.C, si passerà poi alla famiglia di Annibale, la sua città d’origine, la formazione culturale, la sua ascesa politica e militare sono raccontati attraverso schermi e pannelli grafici mentre una spettacolare ambientazione scenografica immersiva è dedicata all’episodio della traversata delle Alpi, con effetti speciali di suoni e di immagini in movimento. Un focus particolare è riservato all’arrivo del condottiero a Piacenza e una sala intera ospita il racconto delle sue più famose battaglie: grandi schermi a parete mostrano gli schieramenti dei due eserciti, gli armamenti, le caratteristiche tattiche, mentre un grande tavolo circolare con videoproiezione consente di rivivere su una mappa virtuale i combattimenti.

Presso il Museo Civico Medievale di Bologna propone troviamo un'esposizione dal titolo: Lodi per ogni ora. I corali francescani provenienti dalla Basilica di San Francesco. La mostra presenta una nutrita selezione dei vari codici liturgici, realizzati tra il XIII e il XV secolo per la basilica bolognese di San Francesco, che attualmente fanno parte della ricca collezione di codici miniati del Museo Civico Medievale della città. Tra questi si segnala la serie di preziosi graduali francescani riccamente miniati dal cosiddetto Maestro della Bibbia di Gerona, protagonista assoluto della decorazione libraria bolognese della fine del Duecento. Prossimi a questa anche la serie poco più tarda degli antifonari, anch'essi ampiamente decorati, ispirandosi in parte alle più antiche esperienze del Giotto assisiate, evidentemente filtrate in città attraverso lo stesso ordine dei frati minori. A queste prime serie di corali ne seguirono altre nel corso del Quattrocento, quando i frati minori si affidarono a vari miniatori coordinati dal bolognese Giovanni di Antonio, per decorare intorno al 1440-50 alcuni dei loro libri liturgici, anch'essi presentati in occasione della mostra.

Giovanni Santi. “Da poi … me dette alla mirabil arte de pictura”, è il titolo della rassegna realizzata presso la Galleria Nazionale delle Marche nel Palazzo Ducale di Urbino. Segnata dal giudizio negativo di Giorgio Vasari, svilita dal confronto con l’eccezionale statura artistica del figlio Raffaello, la figura di Giovanni Santi è rimasta in ombra per secoli ed ancora poco nota anche oggi, pur dopo gli studi fondamentali di Ranieri Varese. La mostra deve contribuire a restituire il giusto ruolo all’artista in quel contesto urbinate che costituì un momento imprescindibile di avvicinamento alla formazione e alla cultura ‘visiva’ di Raffaello. La poliedrica personalità umanistica di Giovanni Santi – dimostrata dall’ampia produzione letteraria – sarà testimoniata dal manoscritto originario del suo capolavoro, la Cronaca rimata, così come il San Girolamo. Urbino, patria di Giovanni Santi, e il Palazzo Ducale – presso il quale fu molto attivo – vedranno restituito al pubblico, per tutta la durata della mostra, l’intero ciclo pittorico concepito originariamente per il Tempietto delle Muse: le otto tavole – sette rappresentanti le Muse ed una Apollo – opera di Giovanni Santi e Timoteo Viti. A testimonianza del contesto culturale nel quale operò Giovanni Santi, saranno presentate delle opere coeve come l’Annunciazione di Fano del Perugino o l’Angelo Musicante di Melozzo da Forlì del Vaticano, che affiancheranno i capolavori di Piero della Francesca, Giusto di Gand, Pedro Berruguete. Ed ancora, opere di scultura, come la Madonna con Bambino dalla Pinacoteca Civica di Jesi di Domenico Rosselli, già attivo nel cantiere del palazzo urbinate per il Duca Federico, o l’inginocchiatoio intarsiato proveniente dalla Cappella Oliva nella chiesa di S. Francesco di Montefiorentino a Frontino – della quale si esporrà anche la pala del 1489 – che affiancherà i straordinari intarsi dello Studiolo e delle preziose porte dell’appartamento ducale. Parallelamente alla mostra ospitata nel Palazzo Ducale di Urbino, verrà pubblicato un itinerario alla scoperta di quelle opere di Giovanni Santi che, essendo inamovibili, sono rimaste nelle loro sedi originarie distribuite sul territorio. In particolare ad Urbino, oltre al Palazzo Ducale viene coinvolta la Casa di Raffaello dove visse Giovanni Santi con il figlio adolescente, ma anche la Cappella Tiranni nella chiesa di San Domenico a Cagli, la pala della Visitazione nella chiesa di S. Maria Nova a Fano e la Madonna con Bambino ed i SS. Elena, Zaccaria, Sebastiano e Rocco nella Pinacoteca Civica di Fano ed altri numerosi siti del territorio marchigiano.

La nostra proposta successiva ci porta a Firenze.
Quando il conte Carlo Ginori nel 1737 chiamò al suo servizio Carlo Wendelin Anreiter de Ziernfeld, pittore austriaco specializzato in porcellana, non badò certo a spese. Nei documenti è scritto che “… si obbliga questo a condurlo con la sua Moglie, e Creature a sue spese in Toscana ed ivi pagargli fiorini seicento all'anno, con più dargli con la sua famiglia quartiere, e solo ad esso Ziernfeld la tavola con vino, e di così continuare a tenerlo con tale assegnamento anni sei”. Insomma, quello stipendio favoloso, cui si aggiungevano vitto (con vino) e alloggio per lui, la moglie e i 10 figli, più gli altri 3 che nacquero durante la sua permanenza in Italia, servivano ad assicurarsi il più valente artista del genere sulla piazza europea: è evidente la volontà di Carlo Ginori di puntare senza indugio, per la manifattura di Sesto Fiorentino, a una qualità altissima, garantendosi inoltre relazioni strettissime con l’opificio viennese fondato nel 1718 da Claudius Innocentius Du Paquier. L’effetto fu che entrambe le produzioni ebbero un ruolo decisivo nella trasmissione di motivi decorativi, forme e tecniche artistiche che di fatto influirono nella definizione del gusto dell’epoca. Di tutto questo racconta la mostra Fragili tesori dei Principi. Le vie della porcellana tra Vienna e Firenze. Le opere esposte – porcellane, ma anche dipinti, sculture, commessi in pietra dura, cere, avori, cristalli, arazzi, arredi e incisioni – offrono un fertile dialogo tra le arti, per celebrare la magnificenza della porcellana durante il Granducato di Toscana sotto la dinastia lorenese. Ai prestiti hanno contribuito istituzioni nazionali e internazionali e i più importanti musei europei e statunitensi, oltre a diverse collezioni private.
“Have you seen Fedi’s group?”. Questa domanda veniva rivolta dai fiorentini amanti d’arte ai visitatori stranieri giunti a Firenze tra la primavera e l’estate del 1865, come ricordava la novellista e attrice americana Anna Cora Ritchie. In quel periodo Firenze, da sede del Granducato di Toscana, diventava capitale del nuovo Regno d’Italia: per celebrare la sua ascesa, erano in corso spettacolari festeggiamenti nazionali dedicati a Dante Alighieri. Nel mese di maggio, in concomitanza con l’inaugurazione in Piazza Santa Croce della statua del “Sommo Poeta”, lo scultore Pio Fedi nel suo studio di via de’ Serragli svelava al pubblico il colossale gruppo in marmo del Ratto di Polissena, oggi a fianco di Cellini e Giambologna nella splendida Loggia dei Lanzi di piazza della Signoria.La mostra Il Ratto di Polissena - Pio Fedi scultore classico negli anni di Firenze Capitale, presso gli Uffizi, si propone di rievocare quel suggestivo allestimento voluto dall’artista nel suo studio: così, nel raccolto e raffinato ambiente della Sala del Camino saranno esposti bozzetti in argilla e alcuni disegni preparatori per il gruppo marmoreo, a ricostruire le tappe di un percorso difficile e complesso per giungere alla redazione finale del gruppo monumentale, destinato a decretare la gloria di Pio Fedi in Italia e all’estero.Questa piccola mostra sarà l’occasione di ammirare opere non sempre esposte insieme al prezioso nuovo acquisto di un bozzetto in terracotta per il gruppo della Loggia dei Lanzi , e consentirà di mettere Pio Fedi nella luce che merita: la sua fama è infatti legata, oltre che al Ratto di Polissena nella cornice di piazza della Signoria, alla figura della Libertà raggiata per il Monumento funebre a Giovanni Battista Niccolini nella basilica di Santa Croce, che servì da ispirazione allo scultore francese Frédéric Auguste Bartholdi per la sua Statua della Libertà, celeberrimo simbolo della città di New York.
L’ultima rassegna che vogliamo proporre è organizzata al Museo del Novecento. Dopo Emilio Vedova e Piero Manzoni, il terzo appuntamento riguarda lo scultore Medardo Rosso. Le sei sculture esposte (Portinaia, Grande Rieuse [Ragazza che ride], Grande Rieuse [Ragazza che ride], Enfant à la bouchée de pain [Bambino alle cucine economiche], Enfant à la bouchée de pain [Bambino alle cucine economiche], Enfant Juif [Bambino ebreo]), documentano il livello altissimo a cui Rosso era giunto nella ridefinizione della scultura e l’inferenza della sua opera con quelle dei maggiori artisti del tempo. Infatti le Rieuses (1890-1891) nelle loro diverse varianti sono in aperto dialogo con dipinti come La chanson du chien di Degas, 1876, raffigurante la cantante Emma Valadon. I ritratti di Rosso, che è stato senza dubbio il maggiore ritrattista del secolo in scultura, restituiscono il punto più avanzato, con quelli pittorici di Degas, della ricerca nel campo di analisi psicologica e fisiognomica del soggetto e per la profonda comprensione delle nuove possibilità compositive e di messinscena dedotte dal confronto con la fotografia e il cinema. La mostra di Firenze propone un percorso di rilettura dell’opera dello scultore fuori della consueta visione codificata di un Rosso prima naturalista e poi simbolista, per segnalare invece la sua assoluta originalità e specificità nell’ambito dell’arte moderna. L’esposizione offre l’opportunità per la prima volta di mettere a diretto confronto in una analisi “testuale” due diverse varianti dello stesso soggetto, Enfant à la bouchée de pain [Bambino alle cucine economiche] e La Rieuse [Ragazza che ride], permettendo così di capire il “work in progress” di Rosso, grande sperimentatore di tecniche e di linguaggio. La ricerca rivoluzionaria sul soggetto si traduce in sculture di piccole dimensioni, antimonumentali, caratterizzate da superfici scabre, in molti casi espressione di processi artigianali che vengono gestiti in autonomia dallo stesso Rosso nel suo atelier, vera e propria fucina alchemica moderna. Alla sua peculiare indagine sull’arte plastica si affianca, influenzandola e restandone influenzata, la sperimentazione in ambito grafico e fotografico, in cui si accentua la passione per il frammento e il taglio compositivo e per la componente vibratile e fantasmatica dell’immagine.
Collateral demages
Aosta – Museo archeologico
13 ottobre 2018 - 31 marzo 2019
Orari: tutti i giorni 10.00 – 13.00/14.00 – 18.00, chiuso lunedì
Biglietti: 3€ intero, 2€ ridotto
Informazioni: www.lovevda.it

Van Dyck. Pittore di corte
Torino – Galleria Sabauda
16 novembre 2018 - 17 marzo 2019
Orari: lunedì 9.00 – 19.00 (con ingresso da Via XX Settembre, 86); martedì – domenica 9.00 – 19.00 (con ingresso da Piazzetta Reale, 1)
Biglietti: 14€ intero, 12€ ridotto
Informazioni: www.museireali.beniculturali.it

I Macchiaioli. Arte italiana verso la modernità
Torino – GAM
20 ottobre 2018 - 24 marzo 2019
Orari: martedì - domenica: 10.00 - 18.00, chiuso lunedì
Biglietti: 13€ intero, 11€ ridotto
Informazioni: www.gamtorino.it

Ad acqua. Vedute e paesaggi di Bagetti: tra realtà e invenzione
Torino – Galleria Sabauda
30 novembre 2018 - 31 marzo 2019
Orari: tutti i giorni 8.30-18, chiuso lunedì
Biglietti: 12€ intero, 6€ ridotto
Informazioni: www.museireali.beniculturali.it

Ercole e il suo mito
Venaria Reale (To) – Reggia, Sala delle Arti
13 settembre 2018 – 10 marzo 2019
Orari: martedì - venerdì 9.00- 17.00; sabato, domenica 9.00- 18.30, chiuso lunedì
Biglietti: 12€ intero, 10€ ridotto
Informazioni: www.lavenaria.it

Romanticismo
Milano – Gallerie d’Italia/ Museo Poldi Pezzoli
26 ottobre 2018 – 17 marzo 2019
Orari: Gallerie d’Italia: martedì - domenica 9.30- 19.30; giovedì 9.30 – 22.30; lunedì chiuso Museo Poldi Pezzoli: mercoledì - lunedì 10.00- 18.00; giovedì 10.00 – 22.30; martedì chiuso
Biglietti: 10€ intero per ogni sede, 7€ ridotto per ogni sede (possibilità di riduzioni)
Informazioni: www.gallerieditalia.com

Angelo Morbelli . Luce e colore
Milano – Galleria Bottegantica
26 gennaio 2019 – 16 marzo 2019
Orari: martedì - sabato 10.00-13.00/ 15.00-19.00
Ingresso libero
Informazioni: www.bottegantica.com

Bizarre, novità e stravaganza nelle sete europee del XVIII
Como – Fondazione Ratti
14 dicembre 2018 - 31 marzo 2019
Orari: lunedì - venerdì 10.00-13.00/15.00-18.00; domenica 14.00-18.00
Ingresso gratuito
Informazioni: www.fondazioneratti.org

Pietre colorate molto vaghe e belle. Arte senza tempo del museo dell’Opificio delle Pietre Dure
Mantova – Palazzo Ducale /Castello di San Giorgio
20 ottobre 2018 -31 marzo 2019
Orari: martedì - domenica 8.15 - 19.15; lunedì chiuso
Biglietti: 12€ intero, 7,50€ ridotto
Informazioni: www.mantovaducale.beniculturali.it

Maragliano 1664-1739. Lo spettacolo della scultura
Genova – Palazzo Reale
10 novembre 2018 - 10 marzo 2019
Orari: martedì -venerdì 10.00 – 18.00; sabato e domenica 14.00 – 18.00
Biglietti: 10€ intero, 5€ ridotto
Informazioni: www.palazzorealegenova.beniculturali.it

L’Amore materno alle origini della pittura moderna da Previati a Boccioni
Verona – Palazzo della Ragione/Galleria d’Arte Moderna A.Forti
7 dicembre 2018 – 10 marzo 2019
Orari: martedì-venerdì 10.00-18.00; sabato e domenica 11.00-19.00, lunedì chiuso
Biglietti: 8€ intero, 5€ ridotto
Informazioni: www.gam.comune.verona.it

Il trionfo del Colore. Da Tiepolo a Canaletto e Guardi. Vicenza e i Capolavori dal Museo Pushkin di Mosca
Vicenza – Museo Civico Palazzo Chiericati/Gallerie d’Italia Palazzo Leoni Montanari
23 novembre 2018 - 10 marzo 2019
Orari: tutti i giorni 10.00-18.00, lunedì chiuso
Biglietti: 5€ intero, 3€ ridotto
Informazioni: www.gallerieditalia.com

Verso il boom! 1950-1962
Treviso – Museo Nazionale Collezione Salce
29 settembre 2018 – 17 marzo 2019
Orari: mercoledì-domenica: 10.00 - 18.00
Biglietti: 8€ intero, 4€ ridotto
Informazioni: www.collezionesalce.beniculturali.it

Venezia e San Pietroburgo. Artisti, principi e mercanti
Mestre (Ve) – Centro Culturale Candiani
18 dicembre 2018 – 24 marzo 2019
Orari: tutti i giorni 10.00-19.00, lunedì chiuso
Biglietti: 5€ intero, 3€ ridotto
Informazioni: www.visitmuve.it

Ultimi giorni di Bisanzio. Splendore e declino di un impero
Venezia – Biblioteca Marciana
26 novembre 2018 - 5 marzo 2019
Orari: tutti i giorni 10.00 - 17.00; lunedì chiuso
Biglietti: 20€ intero, 13€ ridotto
Informazioni: www.marciana.venezia.sbn.it
Occidentalismo. Modernità e arte occidentale nei kimono. 1900-1950
Gorizia – Museo della Moda e delle Arti Applicate
21 novembre 2018 – 17 marzo 2019
Orari: tutti i giorni 9.00-19.00, lunedì chiuso
Biglietti: 6€ intero, 3€ ridotto
Informazioni: www.musei.regione.fvg.it

Metlicovitz. L’arte del desiderio. Manifesti di un pioniere della pubblicità
Trieste – Civico Museo Revoltella/ Civico Museo Teatrale “Carlo Schmidl”
16 dicembre 2018 – 17 marzo 2019
Orari: museo Revoltella tutti i giorni 9.00-19.00 (martedì chiuso); Civico Museo Teatrale “Carlo Schmidl”: tutti i giorni 10.00-17.00
Biglietti: 8€ intero, 5€ ridotto (biglietto unico se si usa il medesimo giorno)
Informazioni: www.museorevoltella.it; www.museoschmidl.it

Annibale. Un mito mediterraneo
Piacenza – Palazzo Farnese
16 dicembre 2018 – 17 marzo 2019
Orari: martedì -giovedì 10.00- 19.00; venerdì, sabato e domenica 10.00 - 20.00; lunedì chiuso
Biglietti: 12€ intero, 10€ ridotto
Informazioni: www.annibalepiacenza.it

Lodi per ogni ora. I corali francescani provenienti dalla Basilica di San Francesco
Bologna – Museo Civico Medioevale
16 settembre 2018 - 17 marzo 2019
Orari: martedì - domenica 10.00 -18.30; lunedì chiuso
Biglietti: 5€ intero, 3€ ridotto
Informazioni: www.museibologna.it

Giovanni Santi. Da poi…me dette alla mirabil arte de pictura
Urbino (PU) – Palazzo Ducale
30 novembre 2018 - 17 marzo 2019
Orari: martedì - domenica 8.30 -19.15; lunedì 8.30- 14.00
Biglietti: 8€ intero, 5€ ridotto
Informazioni: www.gallerianazionalemarche.it

Fragili tesori dei Principi. Le vie della porcellana tra Vienna e Firenze
Firenze – Palazzo Pitti
13 novembre 2018 - 10 marzo 2019
Orari: martedì -domenica 8.15-18.50, lunedì chiuso
Biglietti: 16€ intero, 8€ ridotto
Informazioni: www.uffizi.it

“Il ratto di Polissena”. Pio Fedi scultore classico negli anni di Firenze capitale
Firenze – Uffizi
24 novembre 2018 - 10 marzo 2019
Orari: martedì - domenica 8.15-18.15; lunedì chiuso
Biglietti: 20€ intero, 10€ ridotto
Informazioni: www.uffizi.it

Prima mostra italiana dell’Impressionismo e di Medardo Rosso
Firenze – Museo del Novecento
20 dicembre 2018 - 28 marzo 2019
Orari: lunedì - martedì - mercoledì - venerdì - sabato - domenica 11.00 – 19.00; giovedì 11.00 – 14.00
Biglietti: 9,50€ intero, 4,50€ ridotto
Informazioni: www.museonovecento.it

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