Il “nutritore” di Gesù: 19 marzo festa di san Giuseppe a Milano
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A Milano la devozione a san Giuseppe ha una lunga tradizione. Già Ambrogio nel suo Commento al Vangelo di Luca ne parla, comparando il falegname Giuseppe a Dio Padre creatore del mondo, eppure per tutto il tardo antico e il Medioevo la sua figura è relegata a semplice comparsa nelle vicende degli inizi della vita di Gesù, episodi dove l’attenzione è focalizzata soprattutto sulla Vergine Madre. Con san Francesco comincerà una devozione particolare a Giuseppe, di cui si metteranno in luce gli umili servizi per il compimento del mistero della Redenzione.
Un calendario ufficiale della Chiesa milanese, redatto nel 1440, registra per la prima volta una festa in onore del padre putativo di Gesù, ma probabilmente la devozione era precedente a tale data ad opera dei falegnami riuniti in confraternita o paratico già dal XIII secolo. Nel 1459 essi fecero approvare i propri statuti dal duca Francesco Sforza, tanto che nel Duomo di Milano fu realizzato, a loro spese, un altare dedicato al santo, presente ancora oggi, anche se con molte diversità dal primo.
L’altare di San Giuseppe in Duomo
Il culto accrebbe anche a seguito di un importante fatto politico: l’8 marzo 1466 moriva Francesco Sforza, mentre il figlio Gian Galeazzo si trovava in Francia. Giunto in città tra il 19 e il 20 marzo e preso il potere senza incontrare ostacoli, Gian Galeazzo attribuì a san Giuseppe il felice esito di quella successione, per cui, con l’appoggio della madre Bianca Maria, stabilì che il 19 marzo sarebbe stato giorno di precetto e grande festa in onore di san Giuseppe; festa da celebrarsi solennemente in Duomo con la partecipazione di tutti i notabili e i paratici della città. I deputati della Fabbrica del Duomo, quindi, giudicarono inadeguato il semplice altare già presente, per cui diedero incarico all’Amadeo di provvedere ad un altare più ricco e più consono all’evento ducale. Le vicende dell’altare, frutto di recenti indagini documentarie, sono lunghe, travagliate e complesse, ma ancora oggi in cattedrale possiamo ammirare nella estrema navata di sinistra l’altare dedicato a san Giuseppe, frutto dei lavori di riqualificazione degli interni, realizzati dal Tibaldi nella seconda metà del Cinquecento (Immagine 1). Al centro si trova la pala con Lo Sposalizio di Maria e Giuseppe (Immagine 2) di Enea Salmeggia; le statue ai lati della pala, Davide e Aronne sono opera di Giovanni Antonio Labus (1842), mentre le statuette che decorano la sommità dell’altare e del timpano spezzato raffigurano Profeti e Patriarchi, opere tra Cinque e Seicento degli scultori Giovanni Andrea Biffi, Michele Prestinari ed altri. Campeggia sopra l’altare una vetrata raffigurante quattro episodi della vita di Giuseppe: il Sogno di Giuseppe, la Visitazione, la Nascita di Gesù e la Fuga in Egitto (Immagine 3). Si tratta di episodi di grandi proporzioni, ben visibili e riconoscibili dal basso, eseguiti probabilmente dal fiammingo Perfundavalle (1576) e rimaneggiati dal vetraio Giovan Battista Lampugnani (1657). I falegnami si presero sempre cura dell’altare del loro patrono fino al 1773 quando le riforme austriache soppressero la gran parte delle antiche corporazioni milanesi di arti e mestieri.
Il Santuario di San Giuseppe
Crescendo la devozione al santo presso l’altare del Duomo, nel 1503 si costituì, su suggerimento del frate Francesco di San Colombano, “il luogo pio di San Giuseppe” ad opera di persone desiderose di aiutare i poveri. La confraternita si era insediata presso una piccola chiesa lì dove ora si trova via Andegari; il pio sodalizio fu approvato dal re di Francia Luigi XII, dato che in quegli anni Milano era stata occupata dai francesi. San Carlo Borromeo visitò il luogo pio nel 1568 e 1570 e diede ordine di costruire una chiesa più adeguata alle funzioni della confraternita e più capace di contenere i numerosi fedeli che in essa accorrevano. Il progetto, più volte elaborato, venne affidato a Francesco Richino. (Immagine 4) Sita in Via Verdi, proprio a fianco del Teatro alla Scala, il santuario è una delle chiese più belle di Milano (Immagine 5), in cui sono conservate, oltre all’edificio seicentesco, tipica espressione del barocco lombardo, pale d’altare di notevolissimo valore e pregio artistico e spirituale quali quelle del Procaccini (con l’afflitto e composto Transito di Giuseppe) (Immagine 6), del Ceranino (l’ombrosa grazia del Lo sposalizio della Vergine) (Immagine 7), del Lanzone (con la incantevole e coloratissima La fuga in Egitto) e del Montaldo (con la barocca e selvatica La predicazione di Giovanni Battista), ossia dei pittori più noti del Seicento dell’area milanese-lombarda e non. Anche il pavimento del Santuario è “firmato”, realizzato dall’architetto dello stesso edificio sacro, Francesco Maria Richini, con lastre in marmo nero, bianco e rosso alternati, che creano un suggestivo motivo a spirale concentrica nell’aula ottagonale della chiesa (Immagine 8); così come la statua principale del Santo, San Giuseppe col bambino (Immagine 9), al centro del presbiterio, opera dello scultore Elia Vincenzo Buzzi, uno dei protagonisti della scultura lombarda del XVIII secolo, di notevole fattura.
Altre immagini del Santo
A conclusione della storia della devozione a Milano di san Giuseppe vorrei proporre altri quattro esempi.
Certamente non si può dimenticare ilo celeberrimo quadro di Raffaello Sanzio, Lo sposalizio della Vergine (Immagine 10) esposto alla Pinacoteca di Brera. Tavola firmata dall’autore (Raphael Vrbinas/ MDIIII), venne commissionata dalla famiglia Albizzini per la cappella di San Giuseppe nella chiesa di San Francesco a Città di Castello. Nel 1798 il municipio di Città di Castello fu obbligato a far rimuovere la pala, per donarla al generale napoleonico Lechi, che tre anni dopo la vendette per 50.000 lire al mercante milanese conte Giacomo Sannazzari della Ripa. Quest'ultimo la lasciò poi in eredità all'Ospedale Maggiore di Milano nel 1804. Nel 1806 fu acquistata da Beauharnais, che la destinò all'Accademia di Belle Arti milanese, le cui collezioni sono poi confluite nella Pinacoteca di Brera, inaugurata nel 1809. Lo sposalizio di Maria e Giuseppe avviene in primo piano, con al centro un sacerdote che, tenendo le mani di entrambi, officia la funzione. Come da iconografia tradizionale, dal lato di Maria, in questo caso la sinistra, si trova un gruppo di donne, da quello di Giuseppe di uomini, tra cui uno, presente in tutte le versioni del soggetto, che spezza con la gamba il bastone che, non avendo fiorito, ha determinato la selezione dei pretendenti. Maria infatti, secondo i vangeli apocrifi, era cresciuta nel Tempio di Gerusalemme (quindi con uno stile di vita casto, simile a quello delle monache) e quando fu giunta in età da matrimonio venne dato a ognuno dei pretendenti un ramo secco, in attesa di un segno divino: l'unico che fiorì, fu quello di Giuseppe. Giuseppe, diversamente dalla tradizione iconografica precedente e contemporanea a Raffaello, è giovane, aitante, un valido aiuto per quelle che saranno le successive vicissitudini della Sacra famiglia. La disposizione dei personaggi in primo piano non è allineata e con pose rigidamente bilanciate e simmetriche, ma è naturale, con una maggiore varietà di pose e di raggruppamenti. Grazie al punto di vista rialzato si legge meglio la loro disposizione nel grande riquadro del lastrone al suolo, con una forma che crea un emiciclo e bilancia la forma convessa dell'architettura di sfondo. Il semicerchio alla base delle figure è il primo di una serie che attraversa la tavola, attraverso la cupola e la sagoma stessa del dipinto. Lo sfondo è occupato da una piazza lastricata a grandi riquadri, al termine della quale si trova un edificio a pianta centrale, al culmine di una gradinata, sul cui portale convergono tutte le linee prospettiche del dipinto: le riflettografie hanno infatti rivelato il reticolo di linee convergenti verso il portale del tempio. Alcuni gruppetti di figure, senza un particolare significato, popolano la piazza per dare un tocco quotidiano e per scandire la profondità spaziale, con le loro dimensioni opportunamente scalate. Il tempio sopraelevato ha sedici lati ed è circondato, al piano terra, da un porticato con colonne ioniche e archi a tutto sesto. Sull'architrave al centro del portico, sopra gli archi, si trova la firma dell'artista e la data, negli spazi tra l'arco. In alto il portico è raccordato al corpo centrale da una serie di volute. Il piano superiore è scandito da lesene e finestre architravate rettangolari, con un cornicione oltre il quale si innesta la cupola con lanterna. Il portale centrale, con timpano triangolare, è aperto e allineato a un'apertura gemella sull'altro lato, pure aperta, permettendo di mostrare il cielo e amplificare il respiro dell'opera, nonché esprimere la piena armonia tra architettura e mondo naturale.
Presso il Museo Diocesano troviamo una piccola tavola, forse destinata alla devozione privata, opera di Guido Reni raffigurante Giuseppe che tiene tra le braccia il piccolo Gesù (1625-1630) (Immagine 11) durante il riposo nella fuga in Egitto (in lontananza si vede la famigliola in fuga accompagnata da un angelo), una versione maschile della Madonna con Bambino. Per tre volte Guido Reni si presta a realizzare tavole con questo soggetto, segno di una mutata percezione di Giuseppe nella riflessione teologica e nella conseguente devozione popolare: dopo il Concilio di Trento Giuseppe non è più considerato un comprimario negli inizi della Storia della Salvezza, ma uno dei suoi principali protagonisti nella tutela di Maria e del Bambino e nella crescita ed educazione di Gesù.
Arriviamo ora a due esempi moderni: il primo si trova nella chiesa parrocchiale di San Paolo apostolo, a nord di Milano. Si tratta di un quadro ad olio di un anonimo pittore di tardo Ottocento, donato alla chiesa dal card. Schuster. Collocato nel transetto destro, la tela raffigura il Sogno di Giuseppe (Immagine 12): sullo sfondo, come su un piano superiore, si nota la giovane Maria intenta a cucire, in primo piano un giovane Giuseppe addormentato accanto al tavolo da lavoro su cui si vedono bene gli strumenti del suo mestiere. Tutto il lato sinistro del quadro è occupato dalla figura dell’angelo: avvolto in una nube iridescente, con i piedi collocati sulla nube stessa, le ali ancora aperte in volo, silenziosamente si rivolge a Giuseppe, quasi sfiorandogli con una mano una spalla e con l’altra indicare il Cielo, cioè la volontà di Dio e il comando a prendere con sé Maria.
Da ultimo presentiamo la Cappella di San Giuseppe nella chiesa di Sant’Angela Merici, poco distante dalla precedente chiesa parrocchiale. Edificata a pochi anni di distanza dalla proclamazione della festa di San Giuseppe lavoratore del 1 maggio, la cappella nella sua semplicità es essenzialità è un inno alla presenza silenziosa e laboriosa di san Giuseppe. Le vetrate della cappella, opera di Amalia Panigati, sono state realizzate nel 1963 (Immagine 13). Si tratta di un trittico (Immagine 14) la cui narrazione comincia da destra con lo Sposalizio tra Maria e Giuseppe. Al centro della scena il Sommo sacerdote, in atto benedicente, è abbigliato come un vescovo e tiene le mani dei due sposi. Maria ha lo sguardo abbassato, Giuseppe, dai tratti giovanili, sorregge la verga fiorita del racconto apocrifo. Nello scomparto centrale Giuseppe è raffigurato solo con il Bambinello: Giuseppe con le mani giunte è in silenziosa adorazione; Gesù, un infante nudo e paffuto, con un braccino indica l’adulto accanto a lui; se il corpo di Gesù è di un bambino, non così è lo sguardo: serio e autorevole. Da ultimo la vetrata in cui compare Giuseppe e Gesù adolescente davanti ad un libro aperto. La semplicità della vita quotidiana è indicata dal tavolino a cui sono appoggiati i due personaggi: Giuseppe guarda intensamente quel fanciullo, il quale di rimando guarda verso di noi con la mano alzata in segno di autorità.