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Una filosofa verso la verità, Simone Weil

Autore:
Sciffo, Andrea
Fonte:
CulturaCattolica.it
Il primo bisogno dell'anima cioè il più vicino al suo destino eterno è l'ordine, vale a dire un tessuto di relazioni sociali tale che nessuno sia costretto a violare obblighi rigorosi per adempierne altri. Oggi abbiamo un grado molto elevato di disordine e di incompatibilità fra gli obblighi. Purtroppo non abbiamo nessun metodo per ridurre questa incompatibilità



"Ma abbiamo tutti i giorni sotto gli occhi l'esempio dell'universo nel quale un'infinità di azioni meccaniche indipendenti concorrono a costituire un ordine che, attraverso le variazioni, resta fisso. Così noi amiamo la bellezza del mondo, poiché dietro di essa sentiamo la presenza di qualcosa di analogo alla saggezza che vorremmo possedere per appagare il nostro desiderio del bene. La contemplazione delle opere d'arte autentiche, e ancor più quella della bellezza del mondo, e ancor più quella del bene sconosciuto al quale aspiriamo, ci può sostenere nello sforzo di pensare continuamente all'ordine umano che dev'essere il nostro primo oggetto. I grandi istigatori di violenza si sono incoraggiati da sé considerando come la forza meccanica, cieca, domini tutto l'universo. Osservando il mondo meglio di quanto essi facciano, troveremo un incoraggiamento maggiore considerando quanto le innumerevoli forze cieche siano limitate, combinate in un equilibrio, destinate a concorrere a un'unità, tramite qualcosa che non comprendiamo, ma che amiamo e che chiamiamo "bellezza". Se incessantemente teniamo presente allo spirito il pensiero di un vero ordine umano, se vi pensiamo come un oggetto al quale si debba sacrificio totale quando se ne presenti l'occasione, saremo nella situazione di uno che cammina nella notte, senza guida, ma che pensa continuamente alla direzione che vuol seguire. Per un tale viandante, grande è la speranza. Quest'ordine è il primo dei bisogni, sta perfino al di sopra dei bisogni propriamente detti. Per poterlo pensare, occorre la conoscenza degli altri bisogni".
Così disse Simone Weil nelle pagine iniziali un libro singolare, Enracinément, preludio a una dichiarazione dei doveri verso l'essere umano (trad. it. La prima radice, postumo, 1943) e aggiungeva che "il primo dovere della scuola è quello di sviluppare nei bambini la facoltà di attenzione, mediante gli esercizi scolastici, ma ricordando loro incessantemente che devono essere attenti per poter essere, più tardi, giusti".
Fu insegnante di Filosofia presso i Licei femminili di Le Puy, Auxerre, Roanne e altri, tra il 1931 e il 1938: benché ventitreenne, le sue lezioni attingevano a fonti profonde e di prima mano, la preparazione unita alla passione le procurava grande seguito presso le alunne (dal quale ella si difendeva, per difendere la loro autonomia da qualunque influenza).
Il desiderio di suscitare l'amore della conoscenza, l'apprendimento della scrittura come "possesso di sé", l'invito al coraggio del giusto che è renitente alla menzogna e che è "moralmente e materialmente solo", sono temi maggiori in Simone Weil.
"Educare è innalzare qualcuno ai suoi stessi occhi". Quale pedagogista o burocrate ministeriale riflette oggi su questo assioma e sulla sua impossibile applicazione a causa dell'insegnamento di una scienza che ci vorrebbe animali in mezzo ad animali o di una filosofia che vorrebbe la persona "una cosa tra altre cose"? Scriveva la Weil all'allieva Simone Gibert nel marzo 1935:
"è troppo ardente e impetuosa per poter adattarsi alla vita sociale della nostra epoca. Ma soffrire non è importante, tanto più che proverà anche gioie intense. Quel che conta è non mancare la propria vita".
Con altri accenti, la filosofa indirizzava le giovani al confronto con la verità delle cose, al difficile equilibrio tra lavoro e pensiero, alla fatica quotidiana e a guardarsi dall'immaginazione ("l'università è il posto dove si è pagati per pensare o per fingere di farlo; in fabbrica, per non pensare"). E di fronte al taglio netto dei suoi giudizi, siamo portati a comparare il suo arduo messaggio con la facile dottrina di alcuni insegnanti contemporanei: recriminazione e risentimento.
"Ogni alleanza militare è odiosa - afferma la Weil (partita come volontaria miliziana "trotzkista" durante la guerra civile spagnola) - ma un'alleanza con la Germania sarebbe, probabilmente, il male minore". Immaginate, a queste parole, la reazione del depositario dell'opera weiliana, la cultura di sinistra. "In nessun paese le masse lavoratrici sono più miserabili, più oppresse, più svilite che in Russia" e "il partito comunista tedesco ha grandi responsabilità nella vittoria di Hitler".
Molti, a questo punto, si straccerebbero le vesti. Cristina Campo dirà che la Weil del cattolicesimo e di san Tommaso "non aveva capito niente" e la constatazione pesa, per una pensatrice che volle seguire il vero ovunque. Simone "la terribile" fu infatti ostacolata dal suo intellettualismo. Ripeteremo volentieri però un suo perfetto assioma: "chi è sradicato, sradica".

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