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Gnocchi, Alessandro e Palmaro, Mario - Contro il logorio del laicismo moderno

Piemme - 2006 - pp. 208 - € 11,50

Se parla un cattolico è ingerenza; se parla un teoprogressista è profezia.

Quando esce di casa la mattina, il cattolico deve essere prudente almeno il doppio di un laico qualsiasi.
Al cattolico non basta guardare dalla finestra se piove per decidere se prendere o no l’ombrello.
Prima di andare in ufficio, al bar o dal barbiere, il cattolico deve leggere i giornali per vedere se hanno parlato il cardinale Ruini o qualsiasi altro membro della gerarchia non gradito al laicume e al
cattoprogressismo.
Se il cardinale Ruini o qualsiasi altro membro della gerarchia hanno parlato, il cattolico si deve preparare al temporale: colleghi, baristi e clienti del barbiere lo attendono per dirgli quello che si
merita, qualunque cosa il cardinale o altri prelati abbiano detto senza rispettare la vulgata laica.
Figuriamoci se hanno osato parlare della politica anche solo per dire quali ne siano i valori fondamentali.

Un esempio. Lunedì 20 marzo 2006, a poca distanza dalle elezioni del 9 aprile, nella prolusione ai lavori del Consiglio permanente della CEI, il cardinale Ruini ha detto che i criteri di riferimento per
una scelta politica sono il rispetto della vita dal concepimento al suo termine naturale, la famiglia fondata sul matrimonio e la cura di evitare l’introduzione di normative che comprometterebbero
gravemente il valore e la funzione della prima cellula della società.

Per meno di così, avrebbe potuto stare in curia e mandare un telegramma. Eppure, apriti cielo. I sacerdoti del laicismo hanno aperto il fuoco di fila delle grandi occasioni e i proiettili sono
finiti sulle scrivanie, sui banconi da bar e sulle poltroncine da barbiere frequentati dal povero cattolico.

A bombardamento passato, per rinfrescare la memoria, basta riportare il compassato commento del professor Gian Enrico Rusconi uscito sul compassato quotidiano «La Stampa», dove si legge: «Lo ripetiamo sino alla noia: la Chiesa ha tutto il diritto di esporre e promuovere le sue tesi. Nessuno la ostacola nel discorso pubblico. Ma quando entra in gioco la deliberazione politica - a qualunque livello - la Chiesa deve accettare con rispetto - non semplicemente tollerare - le procedure attraverso cui i cittadini e i loro legittimi rappresentanti prendono decisioni dissonanti dalla sua dottrina».
Grazie professor Rusconi, anzi “professore Rusconi”, come la chiama il costipato e compiaciuto direttore di Radio Radicale. Ma questo che cosa è se non un discorso pubblico? E dov’è che non vengono rispettate le procedure attraverso cui i cittadini eccetera eccetera?

Però adesso bisogna lasciare un momento il “professore Rusconi” e riflettere su un piccolo fatto. Negli stessi giorni i quotidiani riportavano gli attacchi delle riviste dei Paolini al governo di
centrodestra, e nessuno si scandalizzava.
Monsignor Giovanni Nervo, ex direttore della Caritas italiana, se la prendeva con il governo sul periodico dehoniano «Settimana», e nessuno si scandalizzava. Monsignor Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea, diceva testualmente: «Più che sulla dottrina sociale della Chiesa, la politica dell’attuale governo si è modellata sul programma della loggia massonica P2», e nessuno si scandalizzava.
Qui, non si vuole entrare nel merito dei giudizi. Qui si vuole evidenziare che dal “professore Rusconi” in giù, fino all’ultimo dei Capezzoni e delle Rosebindi, in questi casi nessuno eccepisce.
Perché, dicono, queste sono voci isolate. Ma mentono, perché queste sono voci vezzeggiate, coccolate, irretite. E, purtroppo, durano più a lungo di una prolusione del cardinale Ruini.

Sul numero 19 dell’«Europeo» del 1974, per esempio, padre Turoldo spiegava perché avrebbe votato “No” al referendum per abrogare il divorzio, in barba all’insegnamento della Chiesa: «Io scelgo di votare contro il referendum e dico di “no” proprio per rispetto della fede e della Chiesa. […] Le ragioni del mio “No” scaturiscono […] dal primato dell’amore sulla legge».
Questa elogio della prassi anticattolica celebrato da un sacerdote è stato usato sul sito dell’Associazione Luca Coscioni per sostenere le ragioni degli anticristiani al referendum sulla procreazione assistita del 2005: trentun anni dopo. Non è uso politico della religione, allora e oggi?

E vogliamo parlare di don Giuseppe Dossetti? L’inventore del dossettismo ha diviso la sua vita in due parti eguali e simmetriche: durante la prima ha manipolato la vita della Chiesa facendo il
politico, durante la seconda ha manipolato la vita politica facendo l’ecclesiastico. Anche questo è niente?

Dossetti e Turoldo, due esempi fra i troppi, non sono scartine e anche i laicisti e i cattoprogressisti sono obbligati ad ammettere la loro influenza. Ma qui sfoderano il colpo di genio linguistico:
se a parlare della politica è la gerarchia ecclesiastica si tratta di “ingerenza”, se a fare esplicitamente politica sono i santoni teoprogressisti si tratta di “profezia”.
Giù il cappello.
Quando l’allora arcivescovo di Milano cardinal Martini consegnò a padre Turoldo il Premio Lazzati sentenziò contrito che «la Chiesa riconosce la profezia troppo tardi».

Il Dizionario di Teologia della pace, edito dai Dehoniani, parlando del pensiero e della prassi politica di monsignor Tonino Bello, di Pax Christi, dice: «Molti gesti che hanno accompagnato la vita di questo vescovo hanno le caratteristiche della profezia».

Per ultimo, un “profeta” dei giorni nostri. Quel don Andrea Gallo che dà del pastore tedesco a Papa Benedetto XVI, predica il matrimonio tra omosessuali, definisce Vasco Rossi un evangelista,
porta i transessuali a farsi operare e scrive nella sua autobiografia: «È vero: sono comunista. Non dimentico mai la Bibbia e il Vangelo. E non dimentico mai quello che ha scritto Marx».

Tutto ciò per dare almeno una fionda al povero cattolico bersagliato dal fuoco di fila di giornali, colleghi e conoscenti: questo genere di “profezia”, uno dei tanti frutti maturati dalla primavera del
Vaticano II, punta gli occhi in terra e non parla in nome di Dio, ma del Partito.

Prima di concludere, bisogna tornare al “professore Rusconi”, che merita una risposta autorevole.
Se nel frattempo qualche profetica commissione teologica non l’ha cassata, ecco due passi dell’Enciclica Sulla Regalità di Cristo, la Quas Primas, di Papa Pio XI: «Né v’è differenza fra gli individui e il consorzio domestico e civile, poiché gli uomini, uniti in società, non sono meno sotto la potestà di Cristo di quello che lo siano gli uomini singoli. È lui solo la fonte della salute privata e
pubblica. […] Non rifiutino, dunque, i capi delle nazioni di prestare pubblica testimonianza di riverenza e di obbedienza all’impero di Cristo insieme coi loro popoli, se vogliono con l’incolumità del loro potere, l’incremento e il progresso della patria».
Con questa Enciclica, il Pontefice istituiva la festa di Cristo Re.
Si celebra l’ultima domenica dell’anno liturgico, prima dell’inizio dell’Avvento: manteniamola viva, è un’idea.

Tratto da: Alessandro Gnocchi, Mario Palmaro - Contro il logorio del laicismo moderno

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