Jérôme Lejeune - Il messaggio della vita
- Autore:
- Curatore:
- Fonte:

Nel 1997, mentre era in Francia per la Giornata mondiale della Gioventù, Giovanni Paolo II compì una lunga deviazione dal percorso programmato per andare in forma privata a pregare sulla tomba di un “illustre sconosciuto”.
Più di un giornalista allora si consultò con i colleghi e con la propria redazione, perché lo sconosciuto aveva sì un nome: Jerome Lejeune, ma questa rivelazione non serviva granché.
Si trattava invece di uno dei più grandi scienziati del ‘900, pediatra e genetista, che a soli 32 anni aveva scoperto quell’anomalia cromosomica che genera la sindrome di Down, fino ad allora considerata come una tara ereditaria o della razza.
Lui e i suoi ricercatori seguirono circa 9000 casi, soprattutto di piccoli pazienti, ottenendo una serie di successi che segnarono così l’avvio della genetica moderna .
Lejeune ebbe numerose onorificenze e premi insieme a grandi prospettive di carriera, ma rimase un uomo semplice e onesto, che amava considerarsi più medico che ricercatore, cioè curare personalmente i sofferenti, implicandosi in un rapporto con il paziente.
Quando sentì vicina la propria fine, era il 1994, non si dava pace pensando ai suoi piccoli malati: “Ero il medico che doveva guarirli e me ne vado. Ho l’impressione di abbandonarli”.
Uno scienziato del suo livello sarebbe presto arrivato al Nobel, ma lui aveva un’imperdonabile colpa: era tenacemente a favore della vita, anche di quella ancora nel grembo materno, e tenacemente contrario all’aborto, ed era scandalizzato dall’entità dei fondi stanziati per la diagnosi prenatale rispetto a quelli sempre più esigui per curare le malattie dell’intelligenza.
In un intervento all’ONU, il tema era l’aborto, senza mezzi termini definì l’ Organizzazione Mondiale della Sanità: ”…un’istituzione per la salute che si è trasformata in un’istituzione per la morte”.
Realista com’era quella sera chiamò la moglie: ”Oggi ho perso il Nobel…”, e da allora iniziò la sua emarginazione. “Era diventato un appestato” disse la figlia.
Finirono i riconoscimenti e i fondi per le sue ricerche furono tagliati (poté contare solo su finanziamenti esteri), arrivarono le minacce e persino le scritte sui muri della sua università, come questa: “A morte Lejeune e i suoi mostriciattoli!”
E’ interessante leggere Il messaggio della vita di Cantagalli editore dove sono raccolte le riflessioni dello scienziato francese in tema di aborto, diagnosi prenatale, fecondazione assistita esposte con rigore scientifico ma comprensibilissime e con un corrispondente giudizio morale.
Papa Wojtyla che lo nominò presidente della Pontificia accademia pro Vita lo definì “un grande cristiano del XX secolo…un uomo per il quale la difesa della vita è diventata un apostolato”.
Sempre Cantagalli ha pubblicato recentemente Il Professor Lejeune fondatore della genetica moderna e La vita è una sfida. Il primo libro è curato di Jean Marie Le Mené presidente della Fondation Lejeune, fondazione scientifica che porta avanti le attività di ricerca: “Il lavoro è immenso, ma anche la speranza”, diceva Lejeune.
Il secondo è a cura della figlia Clara: si tratta di un’appassionata testimonianza, dove emerge la figura di un padre così importante e così impegnato, che non dimentica però di dedicarsi alla moglie e ai cinque figli.
Il 25 aprile 2007 per Jerome Lejeune è iniziata la causa di canonizzazione, ed egli è stato proclamato Servo di Dio.