Marai, Sandor - Il sangue di San Gennaro
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“…Non chiedeva nulla, non accettava denaro, né regali di nessun genere… riceveva chiunque, stava seduto ad ascoltare le persone e sorrideva impacciato e quelli che andavano da lui, d’un tratto si calmavano… mi disse (nella conversazione con un frate francescano), che non vedeva alcuna via di scampo, per l’umanità, se non nella redenzione, bisognava a tale scopo rischiare l’impossibile perché, per la massa e l’ideologia, che inghiottono la persona, Dio è morto…”. Ambientato tra il 1948 e il 1952, nella Napoli dell’immediato dopoguerra, città in cui lo scrittore visse prima di emigrare negli USA, il libro narra di una coppia profuga da un Paese europeo, per anni occupato dai nazisti. Ambedue credono che sotto il Vesuvio possa accadere un miracolo. Uno dei meriti principali dell’editrice Adelphi è quello di averci fatto scoprire uno dei più grandi scrittori della letteratura europea, l’ungherese Sandor Marai, pubblicando, dal 1998, le sue opere (finora una dozzina): da “La donna giusta” a “La recita di Bolzano”, fino a “Le braci”. In questo libro ritroviamo il miglior Marai. Quello cioè che, avviluppandoci progressivamente in una narrazione drammaticamente introspettiva, (direi anzi “interiore”), svela le domande più importanti del nostro cuore, nella loro esigenza di bene e di vero. Si veda, per esempio, la tenerezza priva di sociologismo, con cui racconta i personaggi dei “bassi” napoletani, andando all’essenziale del loro bisogno. Oppure gli straordinari dialoghi che il protagonista ha con un francescano di un convento, in cui si snoda parte della biografia? saggio? romanzo?... In questo testo, c’è tutto questo e parecchie ipotesi di risposta al nostro desiderio di assoluto.