Marchesini, Roberto – “E vissero felici e contenti”
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Che bello l’ultimo libro dell’amico, e collega, Roberto Marchesini! S’intitola “E vissero felici e contenti”, edizioni Sugarco. Come dice l’autore è: “l’ennesimo libro sul matrimonio”. Di volumi sull’argomento ce ne sono a iosa. Non è difficile capire il perché, basta guardarsi attorno. Come ha detto Eugenia Scabini, celebre ex-preside della facoltà di psicologia all’Università Cattolica di Milano nonché direttrice del Centro Studi e Ricerche sulla Famiglia della stessa Università: “È la coppia oggi ad essere in crisi più che la famiglia” (1) . C’era dunque bisogno di un altro scritto sul tema? Assolutamente sì, perché il libro di Roberto Marchesini ha tre particolarità, che lo rendono unico.
La prima è di inscriversi in un percorso di riscoperta del valore della persona prima ancora che della coppia. Poiché il matrimonio è fatto da due soggetti, ovvero da due soggettività. Ed anche se è vero che l’insieme dei due diviene “un’unica carne”, è altrettanto vero che l’individualità non viene mai meno, come ben dice Rudolf Allers: “Benché gli sposi dicano: “noi” in un senso più profondo rispetto ad ogni altra coppia, questo “noi” resta sempre un plurale! Una coppia è “una caro” (Mat. 19, 6), mai una persona o ens unum” (2) . Una persona sta in piedi se entrambe le gambe sono forti. Dunque, lo sguardo di Marchesini si rivolge alla consistenza della persona, alla sua autocoscienza, al suo Io, poiché è dalla soggettività che dipende la cura del legame. È un lavoro che Marchesini propone ai pazienti che gli chiedono aiuto e si inscrive in un percorso più ampio, come testimonia un altro suo testo, edito sempre per Sugarco: “Quello che gli uomini non dicono” (2010), in cui il focus era specificatamente orientato alla costruzione di una sana percezione di sé, ancorata sullo sviluppo della personalità secondo le virtù. In quest’ultimo lavoro la dinamica individuale si apre alla relazione di coppia. Poiché è sempre l’Io del soggetto il responsabile delle proprie azioni, anche nelle dinamiche relazionali: “È sicuramente vero che l’ambiente in cui cresciamo influisce in modo determinante sulla nostra personalità, sulle nostre abitudini, sui nostri gusti: ma noi disponiamo sempre di un certo grado di libertà sulla nostra vita” (p. 77). Il richiamo, dunque, è al potere personale o, se si preferisce, alla responsabilità o obbedienza. Poiché il lamento, la commiserazione, la disperazione che – comprensibilmente, diciamolo – i fidanzati e le fidanzate, i mariti o le mogli vivono di fronte ai limiti altrui, sono il segnale di una concezione di sé inadeguata. Non è poi così vero che è impossibile cambiare. È invece vero che bisogna armarsi di buona volontà e lavorare innanzitutto su se stessi, prima che sugli altri: “Se uno dei coniugi ha atteggiamenti o comportamenti irritanti o indisponenti in misura tale da mettere a rischio il matrimonio, l’altro può contribuire a cambiare. Non certo chiedendo o pretendendo che il coniuge cambi. Non si può cambiare gli altri: è una pretesa, che genera solo rabbia e frustrazione. Ma possiamo tentare di cambiare noi stessi (cosa tutt’altro che facile), dando così indirettamente all’altro la possibilità di cambiare” (p. 58). Non si è vittima del coniuge, bensì si è padroni delle proprie azioni nonostante le difficoltà col coniuge. Quando si riacquista tale consapevolezza, le cose iniziano a cambiare. Bisogna però fare una precisazione. Percepire la propria forza, ovvero la propria libertà, non significa eludere i limiti della realtà, credersi onnipotenti o onnipresenti. Ovvero vedere solo se stessi. Tutt’altro. Con un’analisi acutissima, Marchesini descrive il nesso che lega il valore al potere personale: “Avere una buona autostima non significa pensare sempre e comunque bene di sé. Questo atteggiamento si chiama narcisismo, non buona autostima. La parola “autostima” significa auto-valutazione, cioè avere una conoscenza di sé realistica, per quanto possibile. In termini teologici, avere una buona autostima corrisponde quindi all’umiltà (che, viceversa, non significa pensare sempre e comunque male di sé). Secondo san Tommaso l’umiltà consiste nel conoscere ciò che si può fare e ciò che non si può fare, ed agire di conseguenza. Dunque l’umiltà (e la buona autostima) consiste in una visione il più possibile oggettiva di sé: è, in una parola, realismo. Sempre secondo il doctor communis, l’umiltà avrebbe due nemici: l’orgoglio (che consiste nel credere di poter fare cose che non si possono fare) e la pusillanimità (che consiste nel credere di non poter fare cose che si possono fare); allo stesso modo, la buona autostima ha due avversari: il narcisismo e la svalutazione di sé” (p. 65). Sviluppare una buona autostima implica innanzitutto esercitare quella forza che si possiede, senza cedere alla scelta più comoda: “Significa rinunciare al lamento, all’accusa, alla vendetta; significa parlare dei propri sentimenti, significa dire al coniuge: “Le tue parole, il tuo gesto, mi hanno fatto sentire così, hanno prodotto questo effetto” (p. 71). Mettere a nudo ciò che si prova, con onestà, a testa alta – ai miei pazienti prescrivo spesso di dire: “mi sento” - produce un cambiamento: “In questo modo il coniuge si renderà conto delle conseguenze delle sue parole, del suo gesto; e saranno conseguenze non volute, indesiderate. Si ricorderà della sua promessa e si prenderà cura del cuore ferito, e lo farà con un amore ancora più grande, poiché egli ha causato quella ferita” (p. 71). Bisogna partire sempre e comunque dal proprio criterio di giudizio, che è interno ed oggettivo.
Il riferimento esplicito a San Tommaso d’Aquino testimonia la seconda unicità del testo, ovvero la continuità con la psicologia tradizionale della Chiesa. Come ha potuto approfondire in altri lavori (3) , Roberto Marchesini coniuga senza fratture il lascito della psicologia cristiana, recuperato sia dal Magistero Pontificio sia dalla filosofia tomista, con la pratica psicoterapeutica. Per questo motivo il libro attinge sia alle fonti psicologiche, sia al Vangelo, alla Summa Teologica, ai discorsi dei Pontefici. Tutto serve per leggere il dato di realtà: “In un clima culturale caratterizzato da egoismo ed edonismo, il matrimonio diventa esclusivamente un mezzo di soddisfazione personale, di gratificazione emotiva”. Come si è giunti sino a questo punto? Con una non banale lettura storica, Marchesini individua “diversi fattori” che contribuirono allo sviluppo di un “nuovo matrimonio”: “Negli anni Cinquanta del secolo scorso, in Italia, comincia a farsi avanti – grazie a radio, fotoromanzi, rotocalchi, televisione, cinema e letteratura – una nuova concezione dell’amore, del sesso e, soprattutto, del matrimonio” (p. 23). La caratteristica di questa nuova concezione è di fondarsi sull’innamoramento e non sull’amore: “Se l’amore ha per oggetto un altro da sé, l’innamoramento è invece riflessivo. Se amare è volere il bene dell’altro, l’innamoramento è fonte di benessere per chi lo sperimenta. Dunque il “nuovo” matrimonio, più che fondato sull’amore, è fondato sull’innamoramento. Ma l’innamoramento è solo una fase transitoria, esclusivamente emotiva, che deve lasciare il posto all’amore, duraturo e che coinvolge anche la ragione e la volontà” (p. 30). Bisogna allora imparare ad amare, perché: “Il sentimento, da solo, non basta. Ci si sposa per dare, perdersi. Se ci si sposa per ricevere, inevitabilmente il matrimonio diventerà una “partita doppia”: dare-avere. Altrettanto inevitabilmente verrà il giorno in cui ci si accorgerà di non ricevere quanto si dà, o di non ricevere quanto ci saremmo aspettati nel giorno del nostro matrimonio. In quel momento, il matrimonio basato sulla gratificazione dei propri (legittimi, va pur detto) bisogni affettivi sarà finito” (p. 32).
Il terzo aspetto è la sinteticità. Marchesini è un maestro nella sintesi, un esempio di chiarezza. Gli bastano un’ottantina di pagine per suggerire nove spunti di “sopravvivenza per fidanzati e giovani sposi”. Questo sorprende e fa riflettere. La verità non è complicata. L’uomo non è un meccanismo incomprensibile o accessibile solo con iperboliche analisi speculative dietro cui, in fondo, ci si difende. L’amore è una cosa semplice, e con semplicità Marchesini ripropone i punti chiave: “L’unico, vero motivo per cui valga la pena sposarsi è l’amore” (p. 35). Chesterton diceva che ben presto ci saremmo trovati in un mondo dove avremmo dovuto dimostrare l’ovvio: “Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate” (4) . Marchesini lo fa, senza voli pindarici: “Il problema è che l’amore non consiste nelle farfalline nello stomaco, nel sorriso ebete, nel piacevole ottundimento simile all’ebrezza alcolica che, nell’insieme, danno una sensazione di benessere psicologico, appagamento emotivo, soddisfazione personale. Queste sono le conseguenze dell’amore, non l’amore” (p. 35). Cos’è, dunque, l’amore? “Secondo san Tommaso d’Aquino (1225-1274) l’amore è volere il bene dell’amato. Amare significa, dunque, voler bene a qualcuno, non volere che qualcuno ci voglia bene; amare vuol dire volere il bene di un altro, non il proprio. Amare, anzi, significa volere più il bene dell’altro che il proprio. In altre parole, significa sacrificare se stessi per il bene dell’altro” (p. 35).
In conclusione, “E vissero felici e contenti” è un bel libro divulgativo, da poter leggere da soli sotto l’ombrellone questa estate o assieme al proprio amato in questi freddi giorni invernali. Può essere utile per il ragazzino innamorato così come l’adulto “abituato” da anni di matrimonio. Ognuno troverà semplici e facili parole che dischiudono una verità chiara ed inconfondibile, valida per qualsiasi tempo e qualsiasi luogo dell’umano, ma che forse oggi siamo chiamati a riscoprire, rivivere e, quindi, testimoniare.
NOTE
- Il soggetto e i percorsi di cura, Convegno organizzato dall’Associazione Medicina e Persona, venerdì 17 Ottobre 2014, Triuggio (Milano).
- Allers Rudolf, L’amore e l’istinto, edito in italiano su www.psicologiacattolicesimo.blogspot.it.
- Si vedano Psicologia e cattolicesimo e La psicologia e san Tommaso d’Aquino editi per D’Ettoris, Crotone, a cui ben presto si aggiungerà un terzo volumetto.
- Chesterton Gilbert K., Gli eretici, Lindau, Torino, 2010, pag. 242.