Miriano, Costanza - Sposala e muori per lei
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Il secondo libro di Costanza Miriano vorrebbe essere dedicato ai mariti, che secondo san Paolo hanno il compito ben più arduo rispetto alle mogli – che devono semplicemente essere sottomesse al marito come a Cristo – di amare le loro mogli così come Cristo ha amato la Sua Chiesa, dando la vita per lei. Tuttavia, l’autrice si dichiara fin dal primo capitolo incapace di parlare agli uomini e decide, per la maggior efficacia del libro, di rivolgersi ancora alle donne, per consigliare loro almeno come non comportarsi con gli uomini, affinché questi ultimi siano stimolati a diventare veramente eroici tanto da donare la vita per le mogli.
E’ purtroppo ormai assodato che una delle conseguenze più funeste del femminismo e delle presunte conquiste progressiste della donna sia una carenza preoccupante di virilità nel genere maschile; sembra, addirittura, che un uomo che sa valorizzare il suo lato femminile sia il massimo del conformismo di questi tempi. Costanza, a giusta ragione, sottolinea che questa decadenza sia in gran parte attribuibile alle donne, soprattutto a quelle che si credono superiori agli uomini e li sopravanzano, li umiliano, criticandoli in continuazione facendoli sentire inadeguati. Per questo motivo, Costanza dà ai suoi lettori delle indicazioni molto precise sui comportamenti da evitare e sui virtuosismi da adottare per valorizzare il matrimonio.
“Temo di non sapere quale sia il segreto per stare davvero profondamente insieme. Però, a occhio e croce, secondo me si parte dall’accettare la differenza. Perché l’altro è, appunto, l’altro. E’ libero di fare le cose […] a modo suo”. Questo è veramente il punto di partenza, l’accettazione e la comprensione della diversità e, alla luce di questo, noi donne dovremmo limitare la “sindrome della preside” che ci porta a voler diventare educatrici non solo dei figli ma anche dei mariti, magari con la pretesa di cambiarli per migliorarli (atteggiamento che, tra l’altro, li offende profondamente, in quanto li fa sentire sbagliati, non all’altezza). Il matrimonio deve implicare un cammino comune di crescita e di cambiamento (vogliamo chiamarlo con il suo nome, conversione?) ma questo processo deve partire da noi donne (“quando qualcosa di tuo marito ti irrita, comincia a lavorare su di te”) e non dobbiamo pretenderlo dall’uomo che abbiamo accanto. Si devono “ridurre al minimo i condizionamenti, rendere l’altro non tanto libero da, ma libero per”, solo così è possibile sperare di veder mutare quell’essere mitologico metà uomo e metà divano in un uomo vero, un eroe che muore a se stesso (e al suo egoismo) per donare la sua vita alla moglie e alla famiglia che lo reclama come guida.
Solamente una donna che apprezza il suo uomo e gli lascia occupare il ruolo che gli appartiene può sperare di distoglierlo dalla modalità stand-by #cisonomanontiascolto in cui l’uomo si pone quando entra nel network, o sta cinguettando o whatsappando, perché la figura della moglie-maestrina provoca all’uomo effetti collaterali quali voglie impellenti di verificare in rete i risultati del torneo provinciale di tamburello o di leggere su un blog le ultime opinioni su quel nuovissimo software agli occhi della donna completamente inutile ma per lui di vitale importanza.
Le donne devono imparare a diventare specchi di bellezza (utilizzando varie tecniche, tipo il “fare come se”) e Costanza ci ricorda che gli specchi – tranne quelli di certe fiabe – non parlano. Se si vuole veramente affascinare un uomo e farlo diventare “vero”, bisogna parlare con i fatti, pur sapendo che stiamo costruendo un’opera di cui non vedremo la fine, una cattedrale che ci sopravvivrà (la nostra famiglia) ma per la cui edificazione molto probabilmente non riceveremo complimenti (di sicuro non dal marito). Solo così l’uomo vorrà seguirci perché vedrà nella sua donna e nel suo agire un significato più alto, che conduce alla vera essenza della nostra vita, che sulla terra è incompiuta ma è presagio e preludio di quanto ci è stato promesso. La donna così facendo si riappropria del ruolo ontologicamente suo dell’accoglienza e dell’accudire; le donne che hanno abdicato a queste funzioni soffrono terribilmente perché si sono allontanate dalla loro natura e pretendono di rivestire posizioni che non appartengono al loro essere più autentico.
L’infelicità che affligge una quantità esagerata di persone nei tempi recenti è da attribuirsi all’incapacità di capire che l’irrequietezza che proviamo così spesso è semplicemente la mancanza di Dio nelle nostre vite; solo il Suo amore ci completa e ci salva e solo rivolgendo lo sguardo a Lui possiamo dare un senso alle nostre fatiche quotidiane. Cristo sulla croce ha le braccia aperte per accoglierci, sempre.