O'Connor, Flannery - La schiena di Parker
- Fonte:
Milano, 1998
Pagine: 400
Prezzo: € 8,26
Morta a soli trentanove anni dopo una lunga e dolorosa malattia, Flannery O'Connor respira e parla ancora attraverso quei racconti che inesorabilmente e quasi spietatamente portano il lettore di fronte all'abisso del male e del peccato: "io difendo con le unghie e coi denti il diritto dell'artista a scegliere un aspetto negativo del mondo da ritrarre, e col mondo che diventa sempre più materialistico, ci sarà sempre più da scegliere. Naturalmente è consentito vedere le cose nere solo se hai un lume che te le faccia vedere" scrive in una lettera del 1956. E lei, profondamente cattolica, ha la Chiesa dalla sua parte: non scrive per esprimere il proprio piccolo e meschino universo (come dovrebbe fare ogni autore che voglia essere serio), ma racconta le cose da un punto di vista che risulta allargato (e non ristretto, come le era stato accusato) dall'introduzione nella vita e nella realtà di un fattore nuovo e inaspettato, l'Incarnazione del Dio fatto carne che si è reso compagno all'uomo in ogni attimo della sua vita: "se c'è una cosa tremenda a scrivere quando si è cristiani è che per te la realtà suprema è l'Incarnazione, la realtà presente è l'Incarnazione, e all'Incarnazione non ci crede nessuno."
L'abisso in cui la O'Connor accompagna può essere descritto soltanto attraverso gli occhi sicuri di chi nella vita ha fatto un incontro che dell'umano non dimentica nulla, salvando tutto con la crocifissione: "quanto al fatto che Gesù sia un realista: se non era Dio, non era un realista, ma solo un bugiardo, e la crocifissione un atto di giustizia", scrive in una delle prime bellissime lettere che scriverà per tutta la vita alla misteriosa signorina "A", una lettrice-scrittrice con cui entrerà in amicizia e che vedrà rientrare nella chiesa cattolica, accompagnandola nel suo cammino di conversione: "padre Jean disse a qualcuno di non entrare nella Chiesa finché non l'avesse sentito come un ampliamento della libertà" - "Vorrei festeggiare in qualche modo il tuo ingresso nella Chiesa, desiderio che mi richiama bruscamente all'idiozia di qualunque gesto umano. Mi ci vedi con una specie di candela metaforica in mano a gracchiare le risposte di rito? In realtà mi limiterò a fare la comunione per te e per il tuo proposito la mattina di Pasqua, e visto che allora divideremo lo stesso nutrimento, saprai che la tua presenza mi arricchisce, e viceversa".
Sono racconti, i suoi, che certo non fanno dormire. Convinta che i suoi lettori siano quelli che "credono che Dio sia morto", parla della devianza per aprire gli occhi alla gente. "I racconti - dice l'autrice - sono duri perché non c'è niente di più duro o meno sentimentale del realismo cristiano. Ormai non si contano gli informi animali che arrancano alla volta di Betlemme per venire alla luce: io non ho fatto che rintracciare l'itinerario di alcuni, e quando li descrivono come racconti dell'orrore, mi diverte sempre vedere che il recensore coglie sempre l'orrore sbagliato." Non gusto del macabro nei suoi racconti, quindi, ma compassione e pietà e partecipazione al dramma umano della vita. Come per il vecchio Dudley, che si perde nel labirinto inestricabile di New York, o il piccolo Harry-Bevel che invece ritrova se stesso nel letto del fiume nel quale è stato battezzato, o il giovane Parker che dopo aver ricercato la bellezza per tutta la vita la trova in due occhi che fissandolo gli penetrano nel cuore, due occhi cui "si deve obbedire": ""mi faccia vedere il libro con i ritratti di Dio" (…) Continuò a sfogliare, finché arrivò quasi all'inizio del libro. Da una pagina, un paio d'occhi gli lanciarono un rapido sguardo. Parker proseguì svelto, poi si fermò. Pareva che gli avessero staccato la corrente dal cuore: il silenzio era assoluto. E diceva chiaro, come se fosse stato linguaggio torna indietro."
Flannery O'Connor è pienamente consapevole che la grazia che agisce nel mondo opera circondata dal male, e i suoi racconti testimoniano proprio questa straordinaria e apparente contraddizione. Convinta che la narrativa sia espressione del Mistero, trascina letteralmente il lettore di fronte alla grande alternativa che vivono gli stessi personaggi dei racconti, la scelta tra la negazione e il riconoscimento del Mistero presente: "Gesù è stato l'unico a resuscitare i morti, e non avrebbe dovuto farlo. Ha mandato tutto a gambe all'aria. Se ha fatto quello che ha detto, allora non ci resta che gettar tutto e seguirlo; se non l'ha fatto, allora non ci resta che goderci meglio che possiamo i pochi minuti che ci avanzano: uccidendo qualcuno, bruciandogli la casa o facendogli qualche altra cattiveria. Non c'è piacere al di fuori della cattiveria", dice il Balordo alla vecchia signora prima di spararle in "Un brav'uomo è difficile da trovare". Un uomo che è perfettamente consapevole della gravità e della responsabilità della decisione: "Io non c'ero, quindi non posso dire se l'ha fatto o no. E vorrei esserci stato. Non è giusto, che non ci fossi, perché se fossi stato lì avrei saputo. Senta signora, se ci fossi stato, avrei saputo la verità e non sarei come sono adesso".
Quando si ha uno sguardo di questa portata dunque si può parlare anche del male, consapevoli che "Dio ci salva da noi stessi, sempre che lo vogliamo": "a vivere oggi si respira nichilismo. Dentro e fuori la Chiesa, è il gas che si respira. Se dalla mia non avessi avuto la Chiesa per combatterlo o per infondermi l'esigenza di combatterlo, sarei stata la più fetente positivista logica mai vista".
Elisabetta Valcamonica