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Polacco, Fabrizio - La cultura a picco

Fonte:
CulturaCattolica.it ©
Marsilio

Venezia, 1998

Pagine: 138

Prezzo: € 9,29



Per i compiti istituzionali che le sono affidati la scuola riveste un ruolo sociale da tutti riconosciuto: essa tocca profondamente la formazione della persona e chi ha il compito di legiferare in materia scolastica sa, o dovrebbe sapere, che su questo delicatissimo terreno si misura la vera natura del potere politico, il suo volto liberale, la sua capacità di rispettare i diritti fondamentali dei cittadini o, al contrario, il suo volto autoritario e (perché no?) dispotico.
E davvero, in questo settore, negli ultimi anni i nostri politici ci hanno offerto in abbondanza occasioni di riflessione e di giudizio critico sul loro operato: dai progetti di riforma alle proposte di legge, ma soprattutto la miriade di provvedimenti presi a ritmo frenetico ( circolari, decreti ministeriali, leggi....) con i quali i ministri di turno, avvalendosi di saggi, esperti, uomini di cultura ( ma guarda caso quasi mai insegnanti) hanno via via disegnato una nuova fisionomia della scuola, non ancora definitivamente conclusa.
Il testo che proponiamo all'attenzione dei lettori ci è sembrato uno strumento utile proprio per capire secondo quale concezione di fondo della persona, della libertà e della cultura si è mosso lo schieramento politico-culturale che tali riforme ha attuato.
Il libro si intitola emblematicamente La cultura a picco; ne è autore Fabrizio Polacco, un docente di lettere, che a un certo punto della sua carriera ha sentito l'improrogabile necessità di opporsi alle decisioni ministeriali ritenute autoritarie e lesive della libertà di insegnamento e ha dato il via a quella che egli stesso ha definito una forma di "disobbedienza culturale".
La scintilla della ribellione scattò in lui nel Novembre 1996, allorché l'allora ministro alla Pubblica Istruzione Luigi Berlinguer emanò un decreto (per l'esattezza il Decreto ministeriale n. 682 del 4/11/96 intitolato Modifiche delle disposizioni relative alla suddivisione annuale del programmi di Storia ) che stabiliva una nuova scansione dello studio della storia nella scuola media secondaria inferiore e superiore. Sotto l'aspetto di provvedimento puramente tecnico e riorganizzativo della disciplina, in realtà il ministro compiva una scelta autoritaria, pesantemente ideologica e dalle gravi implicazioni culturali ed educative: egli imponeva di dedicare l'ultimo anno dei due ordini di scuola esclusivamente allo studio del '900; a tale dilatazione ovviamente corrispondeva una squilibrata riorganizzazione delle precedenti epoche ( solo per fare un esempio nel secondo anno di scuola ci si dovrebbe occupare di un periodo che va dal IV secolo d.C. alla metà del XIV secolo ). Più che la difficile praticabilità del provvedimento ciò che sollevò la reazione rabbiosa dei docenti più avvertiti fu l'imposizione a sacrificare periodi e temi fondamentali per la costruzione dell'identità europea (pensiamo ad esempio alla storia romana e medievale).
In quella circostanza Polacco iniziò la sua battaglia di opposizione coinvolgendo altri colleghi, trovò ascolto sui mezzi di informazione e nel giro di pochi mesi, il 6 dicembre del 1997, giunse all'elaborazione di un progetto chiamato PRISMA, ossia Progetto per la rivalutazione dell'insegnamento e dello studio del mondo antico.
Nel suo libro l'autore racconta appunto le vicende di quel periodo, le prese di posizione ai provvedimenti imposti, le iniziative portate avanti a difesa della cultura non solo classica ma della cultura in generale; consapevole infatti che la posta in gioco non riguardava la semplice difesa del proprio orticello d'insegnamento, attraverso il progetto PRISMA Polacco decise di porsi come interlocutore del mondo politico sul tema della riforma scolastica allora in fase di elaborazione.
Il suo pamphlet (ed è questo che a distanza di alcuni anni dalla pubblicazione lo rende ancora attuale) documenta bene tale intenzione, poiché la cronaca dei fatti lascia presto il passo una riflessione di ordine ancor più generale sulla scuola superiore, diventa una disamina critica dei documenti elaborati dagli esperti delle commissioni ministeriali in quella perfetta antilingua ("sociopsicopedagoghese" giustamente egli la definisce) che spinge Polacco a un divertito esercizio di analisi e di traduzione.
Passa poi in rassegna alcune delle scelte operative conseguenti alla "ideologia" dei nuovi progetti: l'insegnamento filosofico per tutti gli indirizzi senza nulla conoscere di storia della filosofia, la conoscenza della cultura classica, anche in questo caso in modo indistinto per tutti, indipendentemente dalla conoscenza della lingua, l'istituzione di un iniziale percorso unitario senza diversità di indirizzi, l'insegnamento modulare, i corsi passerella, insomma tutta l'alta ingegneria dispiegata dai riformatori.
Quali le osservazioni più rilevanti della riflessione di Polacco?
Lasciando al lettore interessato la lettura completa del testo nei suoi aspetti più dettagliati , ci limitiamo qui ai giudizi più significativi di ordine generale: per Polacco simili progetti, più che segno della vitalità o genialità di chi li ha elaborati, sono il sintomo di una grave crisi, la crisi di una civiltà, di un mondo adulto che non riesce più a capire quale sia il senso della scuola, quali i contenuti da trasmettere; oggi nella scuola la formula prescrittiva per il bravo docente aggiornato al verbo ministeriale è di " far imparare ad imparare", formula che, come in tanti altri campi, a furia di essere ripetuta è diventata un dogma indiscusso e indiscutibile; ma l'esasperata accentuazione del metodo, fa riflettere Polacco, rischia di avere come esito quella di trovarsi "di fronte ad un eterno ciclo vizioso, ad una scuola che ha come fine se stessa" (pag. 56) anziché aprire i ragazzi a un dialogo fecondo con la nostra ricca tradizione culturale.
Altro elemento a cui egli guarda con preoccupazione è l'ideologia del "nuovismo", dell'attualità a tutti i costi, l'atteggiamento di chi pensa ( ma quel che è peggio vuol costringere anche gli altri a tale pensiero unico) che un sistema scolastico è moderno solo se capace di rispondere alle esigenze dell'attuale momento storico: "l'idolatria del presente, cioè del momento storico, è quanto di più conservatore ed antiprogressista possa esistere, poiché nega il lontano, il diverso l'altro rispetto a ciò che già è; in breve nega quel potenzialmente nuovo che è costituito anche dal nostro passato" (pag. 51)
In effetti il nuovo di oggi rischia di essere già il vecchio di domani , mentre una seria ripresa di ciò che di valido proviene dal passato (la tradizione ) è essenziale in una scuola che voglia educare: lì affondano le nostre radici e reciderle significa impedirsi di comprendere se stessi, la contemporaneità e persino di progettare il futuro.
Le tesi di Polacco, come si può desumere da questi spunti , portano un contributo vivace e appassionato nel dibattito sulla riforma della scuola, così come da non dimenticare è il suo invito rivolto ai docenti a non attendersi dall'alto "palingenesi legislative", ma a riprendere consapevolezza del proprio compito facendosi essi stessi soggetti attivi e promotori di un reale rinnovamento, da subito, nelle aule scolastiche.
(F.B.)
N.B. Sempre sul medesimo tema è possibile consultare la recensione del libro "Segmenti e bastoncini" di Lucio Russo.

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