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Zanussi, Krzysztof - Tempo di morire

Fonte:
CulturaCattolica.it
Spirali, € 25
Non una recensione: l'invito appassionato alla lettura

Ho ricevuto per recensione il libro di Krzysztof Zanussi «Tempo di morire», ed. Spirali. L’ho chiesto ricordando il brevissimo incontro con lui, al Meeting di Rimini, in cui gli chiesi un autografo sul libro pubblicato da CSEO, che riportava la sceneggiatura di sei suoi film. E ricordo anche l’emozione provata vedendo il suo film «Il contratto». Ho visto poi con commozione il film «Da un paese lontano», in cui era rievocata la storia della Polonia, per far comprendere la figura di Giovanni Paolo II. Così, con curiosità, ho iniziato a leggere questo libro. E, come mi capita spesso, ho iniziato a sfogliarlo, per capire di che cosa tratta, come, quali gli interessi principali. A dir il vero, pur nella limitatezza del tempo a disposizione, mi piace leggere testi che siano il racconto di esperienze e riflessioni personali, perché è proprio attraverso la persona che ci si addentra nella realtà.
Così, sfogliandolo, mi sono imbattuto nel capitolo che tratta della nascita del film «Da un paese lontano», e mi ha colpito la franchezza con cui Zanussi parla della nascita del progetto, del modo di realizzarlo, ma soprattutto dello sguardo che porta sulla figura di Giovanni Paolo II. Se questo è solo un assaggio, nell’attesa di compiere l’opera della lettura del testo integrale, che – mi ha colpito – risente della storia vissuta dall’autore nelle varie epoche (se la data della prima pubblicazione è il 1997, le aggiunte vanno fino al presente, e quindi ci racconta anche della scomparsa di questo grande Papa). Ed ha anche come caratteristica una sorta di riserbo, una discrezione narrativa che non usa delle notizie in proprio possesso per scoop giornalistici (di cassetta), ma lascia intravvedere il mistero di una persona e la bellezza di una amicizia. Rispetto e discrezione che fanno scoprire molto di più che uno sbandieramento delle conoscenze acquisite.
Vorrei riportare due stralci straordinari di questo testo, che ne evidenziano – per me – l’importanza.
Eccoli.

«Si parlava dell’uomo Wojtyła, che i presenti consideravano all’unanimità come un personaggio molto pericoloso. Il presupposto per quel giudizio era la convinzione, del resto giusta, e il Papa fosse diventato destabilizzante, che stesse cercando di intaccare un certo stato di equilibrio e che con questo stesse nuocendo all’Europa. A giudizio dei miei interlocutori il pontificato di Giovanni Paolo II era pericoloso dal punto di vista della grande politica, in quanto rendeva più aspro il conflitto fra le superpotenze (e nera, mi pare, il 1982). Ne erano prova suprema gli avvenimenti polacchi, dei quali incolpavano indirettamente - non senza ragione - il Papa. Senza di lui non ci sarebbero stati gli scioperi, Solidarność e tutta quella irragionevole determinazione con cui i polacchi, secondo loro, invece di addomesticare l’oppressore, stavano costringendolo ad usare la violenza.

Più interessante era l’argomento di carattere, come dicevano, capillare. Il rinnovamento del cristianesimo cui aspirava il Papa minacciava la stabilità delle società. I patroni della grande industria mi dissero che il cosiddetto consumismo dell’Europa occidentale aveva assicurato quasi mezzo secolo senza guerre nel nostro continente. L’uomo, assorbito dal consumismo e dal guadagnare soldi, non si impegnava per le grandi idee e non era disposto uccidere per queste. Wojtyła suscitava un nuovo integralismo o fondamentalismo, cioè chiedeva alla gente di farsi guidare dal Vangelo nella vita di tutti i giorni: essere cattolici quotidianamente, in ufficio come in negozio, compiere scelte dettate dalla fede. L’idea, per loro, era destabilizzante.

Quel colloquio mi è rimasto impresso, perché mi aveva affascinato la nitidezza con la quale era stato definito l’oggetto della contesa. I miei interlocutori in parte si consideravano cattolici, erano anche pronti ad ammettere che ridurre la professione di fede al rituale domenicale costituisse qualcosa di triste, ma dato che l’uomo è debole, è meglio che sia un cattolico mediocre, che “consumi” la propria vita, ma non la traduca nell’aggressività. Un buon cattolico dovrebbe ovviamente avere ambizioni più grandi, mirare spiritualmente in alto, ma questa è una prerogativa degli eletti, mentre la folla, quando dà prova di esaltarsi troppo con la fede, immediatamente la falsa, provocando violenza. Nessuno osò dire che questo era un difetto della fede in quanto tale. Non è il cristianesimo rendere gli uomini aggressori, è l’aggressività innata dell’uomo a falsare il cristianesimo. Se siamo ormai condannati all’eterna falsità, è meglio che sia quella già nota e non quella a cui giungeranno le persone nelle quali il pontificato di Giovanni Paolo II avrà risvegliato nostalgie spirituali oltre la misura della loro fede reale ed anche della loro virtù.

Ritengo che questo ragionamento contenga un errore. La maggior parte della gente che ha vissuto l’esperienza polacca o centro europea avrà inteso che i “capitani” (o i “baroni”) dell’industria, con quella loro amplissima visione delle cose, ignorano del tutto la sofferenza, l’abiezione, la paura, la vita senza dignità e speranza, e tutto quello che il cristianesimo può portare veramente alle persone. Ma affinché il cristianesimo sia portatore, deve essere incessantemente rinnovato. La resistenza di tanta gente in Occidente riguarda proprio quel rinnovamento e nasce, a mio avviso, dal desiderio di conservare lo status quo, ovvero ciò che c’è già».


E così si conclude questo bellissimo capitolo, mostrando ancora una volta il cuore del Papa, ma anche la capacità di Zanussi di incontrarlo e di comunicarlo.
«L’ultimo incontro, un anno prima della morte del Papa, aveva a che fare con la fondazione di cui faccio parte in Polonia. È una fondazione che avvicina l’arte nobile all’arte popolare, così portammo dal Papa dei ballerini di strada di break-dance. Inizialmente i curiali non accolsero volentieri l’iniziativa. Perciò scrissi al Papa che quegli artisti ballavano per le strade di tutto il mondo, ma dalle finestre del palazzo apostolico non si vedevano e lo invitai a guardarli. Il Papa vide le danze e l’evento fu trasmesso da decine di televisioni. Purtroppo non furono mandate in onda le parole del pontefice, che parlò della bellezza che deve essere disinteressata: se i ragazzi ballano in modo da dare vita alla bellezza, allora sono degli artisti. Al contrario, la bellezza al servizio della pubblicità o della propaganda è contaminata e imperfetta. Dopo la trasmissione dell’evento, ricevetti molte telefonate da quei genitori che erano stati rimproverati dai figli per la scarsa stima che avevano dimostrato nei loro confronti, mentre ragazzi come loro avevano ricevuto l’apprezzamento del Papa».


Dalla Quarta di copertina: «Il titolo di questo libro s’ispira a una battuta dell’attore polacco Jerzy Leszczyński, famoso interprete di re e comandanti, dai modi raffinati e dalla splendida voce; con l’avvento della Repubblica Popolare di Polonia era cambiato l’attore da mettere in scena: ci voleva il tipo “muratore” o “ragazza che guida il trattore”. Un giorno Leszczyński venne avvicinato da un giovanotto corpulento, viso tondo e naso all’insù, il tipico eroe proletario che si presentò: “Sono un suo collega, un attore”. E l’anziano attore: “Lei è un collega, un attore. Allora, è tempo di morire”.
Krzysztof Zanussi annota: sarebbe ora che morisse, invece, l’epoca degli eroi proletari nata con la Repubblica Popolare di Polonia; l’epoca in cui certe frasi non si potevano pronunciare da un palcoscenico o dallo schermo, perché avrebbero messo in pericolo il regime; l’epoca in cui girare un film sul Papa era un’operazione top secret (di fatto, le scene del film con i carri armati sovietici e la piazza del mercato di Cracovia invasa dalla folla – trasmesse dal satellite a Washington – allarmarono l’ambasciata americana a Varsavia tanto che il segretario ne chiese conto); l’epoca in cui “in cielo, a tenerci costantemente d’occhio c’era, oltre al buon Dio, un satellite straniero”; l’epoca in cui, per i polacchi, era troppo strano vedere in televisione, durante le partite di calcio, cartelloni pubblicitari con il nome Zanussi».

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