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Zuntini, V. - Tra finito ed infinito

Fonte:
CulturaCattolica.it
Dalle lacerazioni del mito alle tensioni dell'uomo contemporaneo
Altius edizioni

Il libro che vi proponiamo propone al lettore la possibilità, la bellezza di un rapporto tra l’uomo (finito) e il Totalmente Altro (Infinito), tra il Tempo e l’Eternità. Il volume, sebbene scritto in un linguaggio rigoroso, tuttavia si presta anche alla lettura dei non addetti ai lavori. L’Autrice, infatti, sottolinea l’origine esistenziale del libro. Dalla lettura, emerge un pensiero radicato nella realtà di ogni uomo, chiamato, prima o poi, all’accettazione o al rifiuto del Mistero che ci sovrasta. Abbiamo così a che fare con una ragione spalancata alla Totalità, da lei chiamata in causa, interrogata, persino invocata; una ragione che non si accontenta di restringersi, di limitarsi alle cose del mondo, ma desiderosa di rendere ragione di tutto l’Essere, anche di quello che non cade sotto i sensi. “Tra finito ed Infinito” si gioca tutto su questo tra, la cui drammaticità è messa ben in rilievo dall’Autrice stessa: l’uomo, lui stesso un mistero, è quell’essere sospeso tra la vertigine del Nulla (se sceglie di chiudersi al Mistero) e del Tutto (se sceglie di accettare il Mistero). Potremmo dire di essere di fronte ad un intelligo ut credam che alla fine diventa un credo ut intelligam. La ragione, nella sua fatica di comprendere l’Assoluto poiché “vuole tutto”, o meglio, il Tutto, accetta di percorrere tutte le strade (rifiuto, ribellione, compromesso) senza paura e senza remore moralistiche. La ragione qui comprende, non giudica, per poi mettersi in ginocchio davanti a Colui che tutto abbraccia e ri-comprende secondo uno sguardo ed una misericordia più grande. Per questo sguardo e per questa misericordia, la storia degli uomini e del mondo viene salvata.
Nella prima parte del volume, l’Autrice riflette sul rapporto tra finito ed Infinito nel mito e attraverso il mito mediante l’analisi di tre figure mitologiche e tipologiche per la storia dell’Occidente: Prometeo, Giobbe e Sisifo. Nella seconda parte, invece, il rapporto viene analizzato nella religione e nella storia. Innanzitutto l’Autrice si sofferma sui racconti dell’origine dell’uomo e del suo peccato, conscia che il da dove, la consapevolezza cioè dell’origine, costituisce il punto di partenza per ogni verso dove. Anche l’esperienza drammatica del peccato viene inclusa in questo giocarsi del finito per l’Infinito. La riflessione prosegue sul sacrificio (la morte del finito come clausola del ricongiungimento con l’Infinito) per poi passare a quello che per Kierkegaard costituiva il paradosso dei paradossi, l ‘Incarnazione, che vede l’Infinito farsi carne e donarsi liberamente all’uomo fino a morire per lui affinché questi senta il suo Dio più umano, più vicino. L’Incarnazione è l’Infinito dal volto di uomo, è l’Infinito che sorride, gioisce, piange e compatisce tutte le debolezze, le contraddizioni, le incoerenze dell’uomo. Per tutto ciò, anche lo sguardo sulla realtà e sul Tempo/Storia, non possono che venire cambiati: la realtà non è più vista con tristezza, come facevano i pagani, consapevoli della finitezza del tutto, ma diviene segno, rimando ad un oltre/Altro, mentre il Tempo diviene “luogo” dell’incontro tra l’uomo e il suo Destino, non più Crono che divora i suoi figli. Solo uno sguardo di fede rende umano anche il tempo. Questo lo si vede molto bene nella vicenda di Abramo, la cui vicenda non si svolge in solitudine ma è accompagnata da una Presenza “che lo segue in ogni suo passo e lo protegge”. Il procedere di Abramo è un affidarsi ad un Altro. Proprio per questo motivo non subisce lo “scacco”, la delusione di ogni progettualità umana che decida di rimanere sola.

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