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Fonte:
CulturaCattolica.it
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Accade a volte che la maggiore disponibilità di tempo favorisca l’incontro con realtà interessanti, e si aprono orizzonti infiniti.
Recentemente ho visto il bel film di Margareth Von Trotta su Hannah Arendt, una delle filosofe più acute del secolo scorso, insieme a Benedetta Teresa della Croce, al secolo Edith Stein, che la Chiesa ha proposto come patrona d’Europa, e la cui festa cade proprio in questi giorni, il 9 agosto.
Non entro nel merito della straordinaria figura della Arendt, salvo che per dire che il film la coglie nel momento di maggiore attenzione da parte del grande pubblico, quando lei, ebrea tedesca emigrata in America, sarà incaricata di fare una cronaca del processo che gli ebrei intentano ad Eichmann, l’organizzatore dei campi di sterminio degli ebrei.
Si incontra allora una donna appassionata della verità, che non accetta la vulgata comune a proposito della Shoah, che vuole capire le radici di quel male terribile che ha dominato nel secolo scorso, secolo di quelle idee assassine da cui vorremmo liberarci anche oggi, ma che, ogni volta che prevale l’ideologia sulla verità, ritorna a distruggere la nostra esperienza di uomini buoni.
E colpisce che, per descrivere quello di cui è stata testimone, scelga, come titolo al libro che raccoglierà i suoi reportage «La banalità del male», che così viene presentato dall’Editore italiano: «Un’opera che è ormai un classico della riflessione sull’orrore del XX secolo. Un libro scomodo, perché pone domande che non avremmo mai voluto, e spesso non vogliamo ancora oggi, farci. Le poche risposte che ci fornisce non hanno la rassicurante sicurezza dei ragionamenti in bianco e nero, dove la verità viene separata dall’incertezza in modo manicheo. Al suo comparire, nel 1963 (la Feltrinelli lo tradusse tempestivamente nel 1964), questo libro provocò accese discussioni e pesanti critiche alla sua autrice che si era recata a Gerusalemme come inviata del “New Yorker” al processo contro il nazista Adolf Eichmann, una delle “pedine” più solerti ed “efficienti” della “soluzione finale”. Assistendo a quel discusso dibattimento, la Arendt scoprì la “terrificante normalità umana” del secolo delle Ideologie Organizzate.
Il Male le appare banale e proprio per questo ancora più terribile: perché i suoi, più o meno consapevoli, servitori, altro non sono che dei piccoli, grigi burocrati, simili in tutto e per tutto al nostro vicino di casa.
E’ inutile, e pericoloso, aspettarsi dei “demoni”: i macellai di questo secolo sono tra noi, in tutto simili a noi. Con questa riflessione, la Arendt approfondisce la sua lucida analisi dei drammi del nostro tempo, iniziata con Le origini del totalitarismo
Mi è capitato di ascoltare osservazioni sul presente che non sanno leggere la realtà fino in fondo, che non sanno riconoscere la radice del male, che non è l’attaccamento critico al passato, ma la dimenticanza della verità. Come dice Hannah Arendt di Eichmann: «Egli non era uno stupido; era semplicemente senza idee (una cosa molto diversa dalla stupidità), e tale mancanza di idee ne faceva un individuo predisposto a divenire uno dei più grandi criminali di quel periodo». Per questo il cammino oggi più urgente è quello della educazione. E, come ricordava don Giussani ai suoi alunni, «non voglio dirvi cosa pensare, ma che abbiate un metodo per imparare a pensare».

Chissà se riusciremo a vedere il film, certo impegnativo, ma di una grande e severa bellezza e, per i più volonterosi, a leggere il libro. E ad incontrare le testimonianze di coloro che hanno amato la verità più che il consenso, disposti a pagare di persona pur di non rinnegare l’umano. Oggi c’è bisogno di gente così. Anche in politica.