È possibile un partito della Caritas in veritate?
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«L’amore alla verità – caritas in veritate – è una sfida per la Chiesa in un mondo in progressiva e pervasiva globalizzazione. Il rischio del nostro tempo è che all’interdipendenza di fatto tra gli uomini e i popoli non corrisponda l’interazione etica delle coscienze e delle intelligenze, dalla quale possa emergere come risultato uno sviluppo veramente umano. Solo con carità, illuminata dalla luce della ragione e della fede, è possibile conseguire obiettivi di sviluppo dotati di una valenza più umana e umanizzante. La condivisione dei beni e delle risorse, da cui proviene l’autentico sviluppo, non è assicurata dal solo progresso tecnico e da mere relazioni di convenienza, ma dal potenziale di amore che vince il male con il bene (Rm 12,21) e apre alla reciprocità delle coscienze e della libertà.
La Chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire e non pretende “minimamente d’intromettersi nella politica degli Stati”. Ha però una missione da compiere, in ogni tempo ed evenienza, per una società a misura dell’uomo, della dignità, della sua vocazione. Senza verità si cade in una visione empiristica e scettica della vita, incapace di elevarsi sulla prassi, perché non interessata a cogliere i valori – talora nemmeno i significati – con cui giudicarla e orientarla. La fedeltà all’uomo, (ad ogni uomo concreto), esige la fedeltà alla verità che, sola, è garanzia di libertà (Gv 8,32) e dello sviluppo umano integrale. Per questo la Chiesa la ricerca, l’annunzia instancabilmente e la riconosce ovunque essa si palesi. Questa missione di verità è per la Chiesa irrinunciabile. La sua dottrina sociale è un momento singolare di questo annuncio: essa è a servizio della verità che libera. Aperta alla verità, da qualsiasi sapere provenga, la dottrina sociale della Chiesa l’accoglie, compone in unità i frammenti in cui spesso la ritrova, e la media nel vissuto sempre nuovo della società degli uomini e dei popoli » [Caritas in veritate, n. 9].
Ogni Vescovo, Successore degli Apostoli, in quanto partecipe della comunità di coloro nei quali continua il Collegium Apostolorum nell’unità con Pietro e con il suo Successore, non prende mai personalmente in mano la politica, tanto meno da pastore si trasforma in guida di partito, ma è soggetto pastorale, cioè possiede un ministero pastorale concreto di annuncio della carità nella verità, in cui le grandi visioni della Sacra Scrittura e della Tradizione pienamente accolte, vissute e pensate possono divenire anche cultura cattolica condivisa, favorendo il dialogo con tutti in nome della dignità di ogni persona dal concepimento al termine naturale, la famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna come base di ogni educazione, in vista di una società accogliente, etica, morale, solidale in uno sviluppo umano integrale, a monte, prepolitica e prepartitica, etica, morale in tensione verso mediazioni politiche, partitiche gestite da fedeli credenti, cittadini cattolici sotto la loro diretta responsabilità... Ma in questo pastori e associazioni, movimenti ecclesiali pastorali non possono mai cedere alla tentazione di prendere personalmente in mano la politica trasformando la responsabilità pastorale di formazione in guide politiche. Certo per Vescovi e Sacerdoti, associazioni e movimenti ecclesiali che operano in un tempo e in un luogo determinati rimane il problema, la questione molto concreta davanti alla quale i pastori si trovano: possiamo essere realisti e pratici, senza arrogarci una competenza politica che non ci spetta, senza lo strumento politico di un partito o di partiti identitari che si ispirano totalmente alla Dottrina sociale, oggi alla Caritas in veritate? Si tratta di puntare a una laicità positiva, praticata e interpretata in modo giusto sviluppando la questione circa la collocazione teologica e concreta della Dottrina sociale della Chiesa. Caritas in veritate di fronte alla tecnocrazia vuol rendere consapevoli “degli sviamenti e degli svuotamenti di senso a cui la carità è andata e va incontro, con conseguente rischio di fraintenderla” (n.2).
C’è un buonismo per cui “l’amore diventa un guscio vuoto, da riempire arbitrariamente” . E’ il fatale rischio dell’amore in una cultura senza verità. Esso è preda di emozioni e delle opinioni contingenti dei soggetti, una parola abusata e distorta fino a significare il contrario” (n. 3).
La colpa è del relativismo: ogni uomo, ritenuto frutto solo della natura senza alcun fondamento e finalità trascendente, è suscettibile di essere trattato come ogni altro animale. Questa cultura tecnoscientifica esclude ogni valore assoluto, universale, che valga per tutti e in ogni tempo per cui in ogni soggetto politico e in ogni partito per ogni cittadino cattolico ci sono valori non politicamente negoziabili e le differenziate appartenenze politiche richiedono l’eventuale possibilità dell’obiezione di coscienza. E’ “l’attuale contesto sociale e culturale che relativizza la verità” (n. 2) cioè la realtà nella globalità dei fattori la cui consapevolezza libera dalla schiavitù dell’ignoranza di non sapere chi è ogni io umano, da dove viene e a che cosa è destinato. Ma anche attraverso la mediazione politica “senza la verità, la carità scivola nel sentimentalismo” (n. 3). Al contrario, solo “la verità libera la carità dalle strettoie di un relativismo che priva di contenuti relazionali e sociali, e di un fideismo che la priva di respiro umano e universale” (ibidem). Solo “la verità, facendo uscire gli uomini dalle opinioni e dalle sensazioni soggettive, consente loro di portarsi al di là delle determinazioni culturali e storiche e di incontrarsi nella valutazione del valore e della sostanza delle cose” (n. 4). Mentre “un Cristianesimo di carità senza verità può venire facilmente scambiato per una riserva di buoni sentimenti, utili per la convivenza sociale, ma marginali” (ibidem).
Per la sua natura e finalità pastorale la questione è essenziale per la Chiesa e quindi per la sua Dottrina sociale. La carità, infatti, “è la principale forza propulsiva per lo sviluppo di ogni persona e dell’umanità” (n. 1) ed è “la via maestra della dottrina sociale della Chiesa” (n. 2), che può essere definita come “caritas in veritate in re sociali” (n. 5). Ne consegue, anzitutto che l’annuncio della verità, non meno del servizio caritativo ai poveri e ai bisognosi, è forma eminente di carità: “Difendere la verità, proporla con umiltà e convinzione e testimoniarla nella vita sono pertanto forme esigenti e insostituibili di carità” (n. 1). La scienza e la tecnica attraverso lo strumento politico possono contribuire molto all’umanizzazione del mondo e dell’umanità. Essa però può anche distruggere l’uomo e il mondo, se non viene orientata da forze pre-politiche e pre-partitiche che si trovano al di fuori di essa, com’è e deve essere l’azione pastorale della Chiesa. “D’altra parte, dobbiamo anche constatare che il cristianesimo moderno, di fronte ai successi della scienza nella progressiva strutturazione del mondo, si era in gran parte concentrato soltanto sull’individuo e sulla sua salvezza. Con ciò ha ristretto l’orizzonte della sua speranza e non ha neppure riconosciuto sufficientemente il suo compito – anche se resta grande ciò che ha continuato a fare nella formazione dell’uomo e nella carità dei deboli e dei sofferenti” (Spe salvi n. 25). Attingendo alle due ali della fede e della ragione con cui si innalza verso la contemplazione della verità, la dottrina sociale della Chiesa o carità nella verità in ambito sociale che comprende cultura, economia, politica, strumenti partitici, propone, rinnovata di fronte all’attuale tecnocrazia, offre “criteri orientativi dell’azione morale” (Caritas in veritate n. 6) fra cui due sottolineati da Benedetto XVI:
- la giustizia – “infatti la carità eccede la giustizia… ma non è mai senza la giustizia” (n. 6)
- e il bene comune cioè la finalità al bene di ogni io concreto e dell’umanità nel suo insieme per cui la politica è la forma più rischiosa ma oggi più necessaria della carità nel “prendersi cura, da una parte, e avvalersi dall’altra, di quel complesso di istituzioni che strutturano giuridicamente, civilmente, politicamente, culturalmente il vivere sociale che in tal modo prende forma di polis, di città” (n. 7). Essendo originariamente una forma di carità con cui accade il regno di Dio l’impegno politico è per tutti i credenti una necessità, un dovere: “ogni cristiano è chiamato a questa carità, nel modo della sua vocazione (da pastori non prendere personalmente in mano la politica, da fedeli cittadini sì) e secondo le sue possibilità d’incidenza nella polis. E’ questa la via istituzionale – possiamo dire anche politica – della carità, non meno qualificata e incisiva di quanto lo sia la carità che incontra il prossimo direttamente, fuori delle mediazioni istituzionali della polis (come la Caritas, il cui soggetto è la Chiesa)” (n. 7). La forte unità che si è realizzata nella Chiesa dei primi secoli tra una fede amica dell’intelligenza (in veritate) e una prassi di vita caratterizzata dall’amore reciproco e dell’attenzione premurosa (direttamente o attraverso la mediazione politica) ai poveri e ai sofferenti (caritas della Chiesa e carità politica) ha reso possibile la prima grande espansione missionaria del cristianesimo nel mondo ellenistico – romano. Così in continuità dinamica è avvenuto in seguito, in diversi contesti culturali e situazioni storiche. Questa rimane la strada maestra per l’evangelizzazione: il Signore ci guidi a vivere questa unità tra amore e verità nelle condizioni proprie del nostro tempo nel quale è egemone la tecnoscienza, per l’evangelizzazione dell’Italia e del mondo di oggi. L’orizzonte di questa attività politica come carità nella verità in ambito sociale, necessaria per ogni cristiano – e che, ovviamente, non si riduce all’azione dei partiti – è insieme dovere altissimo ed entusiasmante, maturante, necessario e rischioso: si tratta, infatti, di una vera testimonianza della carità divina che, operando nel tempo, prepara l’eterno. L’azione, dell’uomo sulla terra quando è ispirata e sostenuta dalla carità, contribuisce all’edificazione di quella universale città di Dio… così da dare forma di unità e di pace alla città dell’uomo, e renderla in qualche misura anticipazione prefiguratrice della città senza barriere di Dio” (n. 7).
Se i pastori, le associazioni, i movimenti, le comunità ecclesiali non possono prendere in mano personalmente la politica, avendo la missione, però, di promuovere la verità nella carità da compiere in ogni tempo ed evenienza, per una società a misura dell’uomo, della dignità di ogni persona, della sua vocazione, a questo sono chiamati i fedeli laici come cittadini nelle diverse modalità. Oggi, anche in Italia è legittima la differenziazione politica, non la diaspora culturale, per cui c’è chi tenta e ritenta di fermentare alla luce della Dottrina sociale nella scelta di centro sinistra, pur con tutte le attuali difficoltà proveniente da una ideologia che può rendere incapaci di farlo dall’opposizione. Oggi la maggioranza dei cattolici italiani lo fa nel centro destra con più possibilità. Sull’ultimo numero di Civiltà Cattolica si propone questa analisi: “I cattolici delusi dal centro-destra e dal centro sinistra cercano un nuovo partito dialogante e non semplicemente identitario”. Padre Michele Simone, attingendo da un sondaggio dell’associazione “Persone e reti” all’istituto Ipsos rileva che il 33% dell’elettorato cattolico ha abbandonato il centro destra. “Non disponiamo della rilevazione sui cattolici che hanno abbandonato il centrosinistra – aggiunge il gesuita – ma non si è lontani dalla realtà valutandone in modo simile o leggermente superiore il numero. Nel retrofondo delle posizioni descritte – è la conclusione – ci sembra emergere la tendenza, presente già da tempo fra i cattolici, del rifiuto di un partito semplicemente identitario e della ricerca di una formazione politica che, pur salvaguardando alcuni valori irrinunciabili per un cattolico, si proponga come partito in grado di offrire una ‘politica a tutto campo per il bene comune di tutti, realizzata con uno stile che favorisca il dialogo in nome della dignità umana, in vista di una società accogliente. In ogni caso – afferma ‘Civiltà Cattolica’ – sarebbe una grave iattura per il Paese se continuasse a crescere il ‘muro’ che si sta innalzando tra una parte dei cattolici, sempre più tentati dall’astensionismo, e la politica”. Pastoralmente, dopo la legittimazione a Palermo nel 1994, della differenziazione politica pur nell’unità culturale alla luce della Dottrina sociale, sostitutiva dell’unità politica attraverso la Democrazia cristiana nella libera maturazione delle coscienze, la contrapposizione tra cattolici nel centro sinistra e nel centro destra fa crescere, purtroppo, la spaccatura anche all’interno della comunità ecclesiale. E’ urgente che se ne parli e si propongano delle prospettive da offrire alla valutazione dei pastori.