L'umile potenza del perdono
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di Giorgio Rumi
Nessuno sulla faccia del pianeta è rimasto indifferente alla richiesta di perdono avanzata da Papa Giovanni Paolo II e da tutta la Chiesa. Il tempo ci dirà quanto tale avvenimento, quasi unico nell'arco di due millenni, ha inciso nelle coscienze e ha fermentato l'opinione pubblica con effetti anche civili che è senz'altro lecito presumere incalcolabili. Al di là delle mozioni più profonde è possibile individuare sin d'ora due profili dell'accaduto, due dinamiche che hanno avviato il processo di rinnovamento che è sotto gli occhi di tutti.
Fino a metà del Novecento, per oltre due secoli, è toccato agli storici formulare la valutazione ultima degli avvenimenti. A loro spettava non solo e tanto chiarire l'accaduto, ma assegnare significato e valore all'individuo, alle classi, alle nazioni e agli stati. La scrivania dello storico si ergeva in tribunale supremo e inappellabile del giudizio. Lo studioso raccoglieva i fatti, sceglieva nella loro infinita congerie quelli cosiddetti "storici", ne spiegava origini e destino, ne coglieva i movimenti e le direzioni, trovava i fili - di solito quelli "rossi"... - e perveniva infine alla sentenza. Buoni e cattivi, progressisti e conservatori, illuminati e oscurantisti... il sigillo era presto messo. Qualcuno perveniva anche alla contestualizzazione degli avvenimenti; qualche altro, spirito più rispettoso della vicenda umana, si avventurava ai limiti del proibitissimo "se", per vedere le alternative effettivamente in presenza, all'epoca prese in esame. E comunque, historia filia temporis: lo studioso agiva nella presunzione di possedere un giudizio valido per l'eternità, ma il suo stesso mestiere gli insinuava che ben presto sarebbe stato raggiunto ed accantonato da altri maghi del passato, col risultato di una malinconica e forse disperata consapevolezza dell'inevitabile sfarinamento della sua tanto orgogliosa costruzione intellettuale.
Oggi la storicizzazione non basta più. Che l'Inquisizione fosse più garantista della Star Chamber dei sovrani inglesi non ci dice molto. E per gli Indios essere schiavizzati o uccisi dalle spade o archibugi dei conquistatori non è un privilegio rispetto allo sterminio dei pellerosse operata dai più precisi fucili a ripetizione yankee. Il destino di Michele Serveto a Ginevra non compensa quello di Giordano Bruno a Roma. La diversa confessione religiosa dei mercanti di schiavi non è sufficiente a tranquillizzarci, e si potrebbe continuare all'infinito con questo ingannevole equilibrio degli errori e degli orrori. E il risultato potrebbe anzi essere catastrofico: un relativismo quietista, una generica condanna del passato, una superba affermazione della melior condicio del presente.
Ma ora Giovanni Paolo II ci richiama con forza alla pienezza della condizione umana, all'esercizio più alto delle nostre facoltà morali. Noi non siamo in nessun modo schiavi del passato che dobbiamo intendere fino in fondo, ma senza subalternità e senza disperanti cristallizzazioni capaci di sfigurare l'accoglienza della Parola, l'esercizio del magistero e la lettura della tradizione. Allo storico tocca l'insostituibile funzione di dirci come sono andate le cose. Ma le radici del presente non sono un giogo, magari anche psicologico e spirituale, che limita la creatività sul futuro. Il "chi siamo" non obbliga "quel che vogliamo essere", sia pure con tutti gli ostacoli ed i condizionamenti insiti nella natura umana e nella situazione temporale che ci è assegnata.
Limpido è lo sguardo della Chiesa di Giovanni Paolo II sul cammino umano: proprio la libertà con cui accogliamo il passato permette di non impancarci ad inesorabili - ma fatui - giudici dei nostri predecessori, avendo già scritto la sentenza della nostra superiorità. Al contrario siamo ben consapevoli dei tesori spirituali e civili che ci sono stati tramandati, con l'interminabile sequela dei Santi che restano modello e traguardo. E Roma resta un esempio singolarissimo di centro di un'esperienza planetaria, di valore incommensurabilmente più alto degli errori ed omissioni in cui è incorso lo svolgimento storico istituzionale di molti e molti secoli.
La storia non legittima il potere, come non perpetua il male. Sgombra il cammino attuale delle coscienze dagli inciampi che i credenti sanno essere i peccati di altre età. Il legame apparentemente misterioso tra le generazioni non vanifica nell'insignificanza il vissuto dei predecessori, ma la fede ne riscatta le potenzialità negative, capaci di distogliere dalla verità e di offuscare la speranza. Il gesto di Giovanni Paolo II illumina le zone d'ombra che abbiamo ereditato dal passato e l'umile potenza del perdono chiama tutti all'ascolto della verità annunciataci. Perdonare sempre, perdonare tutto: nelle pieghe della coscienza portiamo iscritta questa urgenza. E il primo passo, quello forse più arduo, è la richiesta agli altri di scioglierci dalle nostre colpe, e solo qui si fonda un equo rapporto col passato e un degno orizzonte per il futuro.