L'uomo è filosofo
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1. La filosofia è radicata nella natura umana
Chi si occupa professionalmente di filosofia non può non provare una certa trepidazione di fronte all'annuncio di un'enciclica pontificia su questo tema. Infatti sia il filosofo credente che il filosofo non credente riconoscono alla Chiesa cattolica, pur in misura diversa, una grande autorità morale e, quindi, sono sicuramente lusingati dall'attenzione che essa presta al loro ambito di attività. Al tempo stesso entrambi possono temere, sempre in misura diversa, che l'atteggiamento della Chiesa limiti in qualche modo l'autonomia della filosofia, o non ne riconosca adeguatamente l'importanza, o prenda comunque una posizione che possa nuocere allo sviluppo di questa disciplina. Devo perciò ammettere che mi sono accinto a leggere la Fides et ratio con qualche ansia.
Ora, terminata la lettura, posso dire che ho provato non solo un senso di sollievo, per la liberazione da ogni timore, ma anche una grandissima gioia, perché l'enciclica si esprime nei confronti della filosofia in termini totalmente positivi, quali da nessun'altra istituzione oggi ci si potrebbe attendere. A tutti è noto, almeno a quanti si occupano di cultura, lo stato di emarginazione in cui la filosofia è stata relegata dalle istituzioni universitarie, statali, internazionali, e spesso anche dai colleghi scienziati o umanisti, e dalla stessa opinione pubblica. Ebbene, sono certo che il fatto di essere credente non toglie oggettività alle mie affermazioni, se dichiaro che in nessun altro documento ho mai trovato parole di così grande apprezzamento, stima e fiducia per la filosofia come in questa enciclica. E sono certo che anche i colleghi filosofi non credenti, o almeno i più obiettivi tra di loro, non esiteranno ad ammetterlo.
Già nell'introduzione il documento riconosce che, tra le molteplici risorse dell'uomo intese a promuovere il progresso nella conoscenza della verità, "emerge la filosofia... come uno dei compiti più nobili dell'umanità" (n. 3). Subito dopo richiama l'importanza della "meraviglia", tema caro a tutti i filosofi, nel quale già Platone e Aristotele videro la fonte del filosofare (n. 4), ed afferma che la Chiesa "vede nella filosofia la via per conoscere fondamentali verità concernenti l'esistenza dell'uomo" (n. 5). Ad avvalorare questa affermazione, il documento cita sia il Vecchio che il Nuovo Testamento, precisamente il Libro della Sapienza, dove si dice che l'uomo è in grado di "comprendere la struttura del mondo e la forza degli elementi", ed interpreta questo passo nel senso che egli è "capace di filosofare" (n. 19); nonché il famoso discorso di Paolo agli Ateniesi, riportato negli Atti degli Apostoli, secondo il quale il Creatore ha stabilito che gli uomini "cercassero Dio", e lo interpreta nel senso che "la filosofia in modo peculiare ha raccolto in sé questo movimento" (n. 24).
Ma con altrettanta adesione l'enciclica cita anche il celeberrimo esordio della Metafisica di Aristotele, "tutti gli uomini [per natura] desiderano sapere" (n. 25), traendone una vera e propria definizione dell'uomo come "colui che cerca la verità" (n. 28) ed affermando che tale ricerca è "profondamente radicata nella natura umana" (n. 29), per cui "ogni uomo... è in certo qual modo filosofo" (n. 30) o, come viene detto più oltre, "l'uomo è naturalmente filosofo" (n. 64). Nessuno oggi, come accennavo sopra, è disposto a prendere una posizione così categorica, decisa, incondizionata, a favore della filosofia, né negli ambienti della cultura cosiddetta laica (termine usato spesso molto impropriamente), né nell'ambito della stessa cultura cattolica (espressione altrettanto impropria).
Con sincero disappunto infatti il Papa ricorda come nella cultura contemporanea la filosofia "è stata limitata ad un ruolo del tutto marginale", si è prodotto un "offuscamento della vera dignità della ragione" (n. 47) e la ragione è stata ridotta a "ragione debole" (n. 48). Perciò la Chiesa si propone di compiere "una diaconia umile ma tenace, quale ogni filosofo dovrebbe apprezzare, a vantaggio della recta ratio" (n. 50), ovvero di "provocare, promuovere e incoraggiare il pensiero filosofico" (n. 51).
Non è migliore la sorte in cui versa la filosofia negli ambienti cattolici. Il Papa infatti lamenta che "in molte scuole cattoliche, negli anni che seguirono il Concilio Vaticano II, si è potuto osservare, in materia, un certo decadimento dovuto ad una minore stima, non solo della filosofia scolastica, ma più in generale dello stesso studio della filosofia", che spesso è stata sostituita nella formazione pastorale dalle "scienze umane" (n. 61). Contro questa tendenza il Papa desidera "ribadire con vigore che lo studio della filosofia riveste un carattere fondamentale e ineliminabile nella struttura degli studi teologici e nella formazione dei candidati al sacerdozio" (n. 62) e che la Chiesa dedica un "forte interesse" alla filosofia (n. 63). Nella conclusione dell'enciclica, infine, egli riassume tutto il senso del documento nell'affermazione: "per questi motivi ho ritenuto giusto e necessario sottolineare il valore che la filosofia possiede nei confronti dell'intelligenza della fede" (n. 100).
Mi pare pertanto che non vi possano essere dubbi circa le ragioni che hanno dettato questa enciclica, lo scopo che essa si propone e l'atteggiamento che essa professa nei confronti della filosofia. Ma non si tratta solo di un problema interno alla Chiesa cattolica, cioè di una direttiva intesa a rimediare a certe deviazioni che si possono essere verificate all'interno delle scuole cattoliche. Il Papa dichiara infatti che "il pensiero filosofico è spesso l'unico terreno di intesa e di dialogo con chi non condivide la nostra fede", per cui, "argomentando alla luce della ragione e secondo le sue regole, il filosofo cristiano... può sviluppare una riflessione che sarà comprensibile e sensata anche per chi non afferra ancora la verità piena che la Rivelazione divina manifesta" (n. 104). Questo è un riconoscimento della funzione preziosa che la filosofia può esercitare nel dialogo fra credenti e non credenti, fra "cultura cattolica" e "cultura laica", dialogo che, come lo stesso Pontefice riconosce, permette di trovare "una possibile soluzione" a problemi comuni a tutti, quali "il problema ecologico, il problema della pace o della convivenza delle razze e delle culture" (ivi).
2. Una filosofia non rinunciataria
L'enciclica Fides et ratio non si limita tuttavia ad affermare la necessità della filosofia in generale. Essa incoraggia la filosofia a spingersi sino al livello più alto della ricerca, quello che investe le cause prime dell'intera realtà, o il fondamento ultimo, o l'assoluto stesso cioè afferma la necessità della disciplina filosofica che tradizionalmente è stata chiamata metafisica. Questo è un ulteriore segno del suo apprezzamento per la filosofia, perché riguarda le espressioni più audaci di quest'ultima, proprio quelle per cui essa viene oggi guardata con diffidenza sia tra i non credenti che tra gli stessi credenti. Il Papa lamenta infatti che, "soprattutto ai nostri giorni la ricerca della verità ultima appare spesso offuscata" (n. 5), dove per "verità ultima" si intende proprio quella che costituisce l'oggetto della metafisica. Egli lamenta inoltre che la riflessione filosofica odierna tenda "a sviluppare considerazioni esistenziali, ermeneutiche o linguistiche che prescindono dalla questione radicale circa la verità della vita personale, dell'essere, di Dio" (ivi).
A sostegno della capacità della ragione umana di giungere sino al fondamento primo il Papa cita i luoghi classici della Scrittura, cioè Sapienza 13, 15 secondo cui "dalla grandezza e bellezza delle creature, per analogia, si conosce l'autore" (n. 19), Romani 1, 20, secondo cui attraverso il creato gli "occhi della mente possono arrivare a conoscere Dio (n. 22), e Atti 17, 18 ss., dove Paolo si richiama alla conoscenza naturale di Dio raggiunta dai filosofi greci, preferendo chiaramente quello che potremmo chiamare, con espressione moderna, "il Dio dei filosofi" agli idoli della religione pagana (m 36). Ma in favore della "conoscibilità naturale dell'esistenza di Dio" si era pronunciato già il Concilio Vaticano I, che l'attuale enciclica esplicitamente richiama (n. 53).
Altrettanto esplicitamente a favore della metafisica il documento si dichiara quando osserva, a proposito di Romani, che "nell'importante testo paolino viene affermata la capacità metafisica dell'uomo" (n. 22); quando lamenta come "radicale sfiducia nella ragione" il parlare di "fine della metafisica" in favore della "sola interpretazione del fattuale" (n. 55); quando afferma: "è necessaria una filosofia di portata autenticamente metafisica" (n. 83); quando ribadisce "l'importanza dell'istanza metafisica" rispetto alle "scienze ermeneutiche" e alle "analisi del linguaggio" (n. 84); quando raccomanda "un'ermeneutica aperta all'istanza metafisica" (n. 95); infine quando esorta, nella conclusione, "a recuperare ed evidenziare al meglio la dimensione metafisica della verità" (n. 105).
Per non lasciare dubbi circa il tipo di metafisica a cui si riferisce, l'enciclica osserva che il mondo dell'esperienza non è l'assoluto, ma contiene "un richiamo all'assoluto e al trascendente", per cui bisogna "saper compiere il passaggio, tanto necessario quanto urgente, dal fenomeno al fondamento" (n. 83). Si tratta, insomma, della cosiddetta "metafisica classica", che ha trovato le sue prime espressioni in filosofi come Platone e Aristotele, non a caso utilizzati rispettivamente dalla Patristica (Agostino) e dalla Scolastica (Tommaso, ma non solo), ma che è stata espressa in altre forme anche da altri filosofi, moderni e contemporanei, tra i quali il Papa menziona Newman e Rosmini, Maritain e Gilson, Edith Stein e filosofi dell'Europa orientale quali Solov'ëv, Florenskij, Caadaev, Lossky (n. 74).
Per chiarire ulteriormente il suo atteggiamento a favore di una filosofia non rinunciataria, il Papa precisa che le note polemiche di San Paolo verso la filosofia (cfr. per esempio Col 2, 8) vanno riferite alla gnosi e a simili forme di esoterismo (n. 37), cioè a filosofie che pretendevano di sostituirsi alla fede; inoltre egli prende posizione non solo contro ogni forma di razionalismo e di ontologismo, perché "attribuivano alla ragione naturale solo ciò che è conoscibile alla luce della fede" (n. 37), ma anche contro ogni forma di fideismo e tradizionalismo, "per la loro sfiducia nelle capacità naturali della ragione" (n. 52). Una forma latente di fideismo è, secondo il Papa, il "biblicismo", cioè l'identificazione della parola di Dio con la sola Sacra Scrittura; un'altra è "il disprezzo per la filosofia classica, alle cui nozioni sia l'intelligenza della fede sia le stesse formulazioni dogmatiche hanno attinto i loro termini" (n. 55). Contro queste posizioni egli afferma: "non posso non incoraggiare i filosofi, cristiani o meno, ad avere fiducia nelle capacità della ragione umana e a non prefiggersi mete troppo modeste nel loro filosofare" (n. 56).
3. Una filosofia autonoma ed insieme "aperta"
Ciò che i filosofi, specialmente non credenti, in genere deplorano nell'atteggiamento della Chiesa verso la filosofia è la tendenza a negare l'autonomia di quest'ultima, a imporle dei limiti o degli esiti obbligati in modo dogmatico, autoritario. Questa accusa è completamente smentita dall'enciclica Fides et ratio. In essa infatti il Papa non esita ad affermare che "la ragione possiede un suo spazio peculiare che le permette di indagare e comprendere, senza essere limitata da null'altro che dalla sua finitezza" (n. 14); che la fede "non interviene per umiliare l'autonomia della ragione o per ridurne lo spazio di azione" (n. 16); che il motivo per cui la Chiesa ha sempre proposto Tommaso d'Aquino come modello di filosofo è che egli fu tra i primi a riconoscere la "necessaria autonomia di cui la filosofia e le scienze avevano bisogno" (n. 45).
Perciò - prosegue l'enciclica - "la Chiesa non propone una propria filosofia né canonizza una qualsiasi filosofia particolare a scapito di altre", perché la filosofia "deve procedere secondo i suoi metodi e le sue regole". E aggiunge: "la radice dell'autonomia di cui gode la filosofia è da individuare nel fatto che la ragione è per sua natura orientata alla verità ed è inoltre in se stessa fornita dei mezzi necessari per raggiungerla" (n. 49). Persino a proposito dell'espressione con cui la filosofia veniva indicata nella tradizione cristiana, cioè ancilla theologiae, il Papa afferma che essa è "oggi difficilmente utilizzabile in forza dei principi di autonomia a cui si è fatto cenno" (n. 77).
Ma autonomia non può significare chiusura, esclusione della fede, pretesa di costituire un sapere assoluto. La Chiesa ovviamente non può approvare filosofie incompatibili con la fede quali il relativismo, il materialismo, il panteismo (n. 80), o pericolose per essa, quali lo storicismo assoluto, lo scientismo, il nichilismo (nn. 87-90). Tuttavia il rapporto che essa stabilisce tra filosofia e fede non è di subordinazione della prima alla seconda, o di priorità della fede rispetto alla filosofia. A questo proposito l'enciclica usa ripetutamente un concetto che, se non erro, non era altrettanto diffuso nei precedenti documenti del magistero, cioè quello di "apertura".
Si vedano ad esempio i passi in cui essa afferma che l'uomo deve "aprirsi alla trascendenza" (n. 15); che la filosofia "può aprirsi ad accogliere" la follia della croce (n. 23); che i Padri accolsero in pieno "la ragione aperta all'assoluto" (n. 41); che l'impegno filosofico, quale ricerca della verità nell'ambito naturale, "rimane almeno implicitamente aperto al soprannaturale" (n. 75). Questo concetto di apertura anzitutto allude ad una priorità, almeno dal punto di vista logico, della filosofia, come sapere naturale, rispetto alla fede, che ha per oggetto il soprannaturale: priorità accennata anche nel richiamo alla tesi di Tommaso secondo cui "la fede suppone e perfeziona la ragione" (n. 43) e nell'affermazione che la filosofia è "una via realmente propedeutica alla fede" (n. 67).
Ma il concetto di apertura non implica alcun passaggio necessario, obbligato, "dialettico", quasi che a partire dalla filosofia si potesse dimostrare il contenuto della fede e il filosofo fosse costretto a credere. Il concetto di apertura mantiene invece il significato della possibilità, e quindi della libertà dell'atto di fede, senza la quale quest'ultimo non avrebbe più senso. Questa a me sembra un'importante novità dell'enciclica Fides et ratio, che ovviamente non rinnega il passato - forse ancora troppo presente in espressioni quali "lo stesso Essere sussistente" (n. 79), o "l'atto stesso dell'essere" (n. 97), di sapore chiaramente neoplatonico -, ma lo esprime in forma nuova, molto più accettabile alla filosofia dei giorni nostri, sempre che questa sia anch'essa veramente "aperta" al dialogo e non dogmaticamente chiusa in se stessa.
Tratto da L'OSSERVATORE ROMANO
21 ottobre 1998