Teocentrismo e antropocentrismo
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(Andrea Tornielli)
Stralcio dalla prolusione del Card. Ruini alla CEI il 22 marzo 2004
Il 4 marzo ricorreva il XXV anniversario della sua prima Lettera Enciclica, Redemptor hominis, e questa data ci stimola a riflettere sulle grandi direttrici del suo Magistero, già chiaramente delineate in quel documento e poi tanto ampiamente sviluppate, in ogni ambito rilevante della dottrina e della vita cristiana, con intima coerenza e al contempo con sempre rinnovata capacità di incidere sui contesti storici che in questi 25 anni sono assai cambiati.
Il Magistero di Giovanni Paolo II si colloca espressamente nel solco del Concilio Vaticano II e dei suoi due grandi predecessori, Giovanni XXIII e Paolo VI, di entrambi i quali egli, dopo Giovanni Paolo I, ha scelto di portare il nome, e tramite loro si riallaccia a tutta la tradizione della Sede Apostolica, come egli stesso chiarisce nella prima parte, intitolata "Eredità", della Redemptor hominis.
Al tempo stesso, questo Papa ha fin dall'inizio la consapevolezza di dover percorrere, affidandosi "pienamente allo Spirito di verità", una "nuova tappa" della via su cui il Concilio ha avviato la Chiesa, dopo quella rappresentata da Giovanni XXIII e Paolo VI (cfr Redemptor hominis, 2-3 e 7).
L'intendimento e l'impronta di questa nuova tappa sono tanto semplici quanto vigorosi e si rispecchiano fedelmente nell'articolazione stessa della Redemptor hominis. Il punto di partenza e la forza propulsiva stanno nel mistero di Cristo, nel quale si compie la redenzione dell'uomo, e con l'uomo del mondo intero. Alla luce di Cristo la sollecitudine dell'Enciclica si rivolge dunque all'uomo, non all'uomo "astratto", ma reale, "concreto", "storico", a ciascun uomo "nella piena verità della sua esistenza, del suo essere personale ed insieme del suo essere comunitario e sociale - nell'ambito della propria famiglia, … della propria nazione, … e di tutta l'umanità" (cfr ivi, 13-14). Così risultano anche del tutto chiare la missione e la "via" della Chiesa: suo compito fondamentale è far sì che l'unione tra Cristo e ogni uomo, contenuta nel mistero dell'Incarnazione e della Redenzione, possa continuamente attuarsi e rinnovarsi (cfr ivi, 10 e 13). Perciò il Papa può contemporaneamente affermare che "Gesù Cristo è la via principale della Chiesa … la nostra via alla casa del Padre" e che l'uomo "è la prima e fondamentale via della Chiesa, … tracciata da Cristo stesso", e ancora che "su questa via che conduce da Cristo all'uomo, … la Chiesa non può essere fermata da nessuno" (cfr ivi, 13-14).
Lo straordinario rinnovamento e approfondimento dell'ecclesiologia operato dal Concilio Vaticano II e concretizzato, pur tra tante difficoltà, da Paolo VI viene dunque messo a frutto da Giovanni Paolo II attraverso la fortissima sottolineatura della duplice e inseparabile relazionalità della Chiesa, a Cristo e alla salvezza dell'uomo. È così superato in radice il rischio di una chiusura o ripiegamento della Chiesa su se stessa ed emerge in piena luce la portata universale e concreta della fede cristiana e della stessa missione della Chiesa nella storia.
Un testo dell'Enciclica immediatamente successiva, Dives in misericordia (n. 1), indica e sintetizza con grande precisione il senso di questa missione: "quanto più la missione svolta dalla Chiesa si incentra sull'uomo, quanto più è, per così dire, antropocentrica, tanto più essa deve confermarsi e realizzarsi teocentricamente, cioè orientarsi in Gesù Cristo verso il Padre. Mentre le varie correnti del pensiero umano nel passato e nel presente sono state e continuano ad essere propense a dividere e perfino a contrapporre il teocentrismo e l'antropocentrismo, la Chiesa invece, seguendo il Cristo, cerca di congiungerli nella storia dell'uomo in maniera organica e profonda. E questo è anche uno dei principi fondamentali, e forse il più importante, del Magistero dell'ultimo Concilio". Viene indicata, così, in termini quanto mai impegnativi, la via per superare il divorzio tra la fede cristiana e la cultura del nostro tempo, e anche per far uscire la civiltà a cui apparteniamo dalle contraddizioni che rischiano di soffocarla.
Di queste contraddizioni e delle minacce che ne derivano, suscitando angoscia e paura nell'umanità di oggi, Giovanni Paolo II si è fatto lucido interprete già nella Redemptor hominis (cfr soprattutto i nn. 15-17), proponendo una lettura dei "segni dei tempi" aggiornata ai mutamenti intervenuti e alle sfide che si stavano profilando. Ma l'aspetto più rilevante della sua analisi consiste nella singolare capacità di illuminare e penetrare il significato degli avvenimenti e delle situazioni a partire dal centro stesso della nostra fede, coniugando un robusto realismo storico con la percezione della presenza decisiva di Dio nelle vicende degli uomini e dei popoli, e quindi della forza rinnovatrice che le istanze spirituali e morali esercitano sulla storia.
Nasce da qui l'attitudine che il Papa ha mostrato in più occasioni ad influire con sorprendente efficacia sul corso degli eventi, orientandoli verso l'autentico bene dell'umanità, senza restare mai prigioniero di diffuse opinioni e pregiudizi. Proprio la certezza di fede riguardo alla presenza di Dio onnipotente e misericordioso nel mezzo della nostra vita è infatti alla base di quella fiducia e di quella fermezza con cui egli ha affrontato le situazioni più difficili, trovando personalmente e proponendo a tutti nella preghiera la luce interiore e la forza di agire nella storia.
All'unico compito fondamentale di promuovere senza mai stancarsi l'unione di ogni uomo a Cristo si riconducono anche quelle diverse istanze, già delineate nelle pagine iniziali della Redemptor hominis, che hanno segnato questi 25 anni di Pontificato e che vengono talvolta erroneamente contrapposte: in concreto, la proclamazione coraggiosa e senza riserve della verità su Cristo e sull'uomo e la sollecitudine per l'unità interna della compagine ecclesiale, e al contempo la ricerca dell'unità di tutti i cristiani, come compito e missione irrinunciabile che si fonda nella volontà stessa di Cristo, la promozione del dialogo tra le religioni, per costruire la pace e la fraternità tra i popoli, la stessa umile disponibilità a chiedere perdono per le colpe dei figli della Chiesa. Giovanni Paolo II è consapevole fin dall'inizio dei pericoli di confusione e di indifferentismo che ne possono nascere e della necessità di farvi fronte coltivando una fede "particolarmente cosciente, approfondita e responsabile", ma è anche intimamente convinto che non è lecito, per questo, rinunciare e tirarsi indietro: non possiamo infatti negare fiducia allo Spirito Santo che opera in noi (cfr Redemptor hominis, 6): proprio in questa pagina, scritta all'inizio del suo Pontificato, avvertiamo la coerenza e la certezza interiore che hanno guidato i suoi passi.
Per i suoi contenuti e il suo stile, il Magistero di Giovanni Paolo II è dunque un grande stimolo alla Chiesa e una luce per il cammino dell'umanità. Noi Vescovi, in particolare, troviamo in esso un modello e un punto di riferimento che molto ci aiutano nel nostro specifico servizio.