Cana, o della sovrabbondanza
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L’immaginazione ingenua del neo-pellegrino (mi colloco anch’io in questa categoria) si prefigura i Luoghi Santi come dei siti semiselvaggi, dove resti ben identificabili spiccano in una natura primitiva, coeva a Nostro Signore e alla Sua esperienza umana. Grande è la mia sorpresa quindi nello scoprire edifici imponenti, spesso molto recenti, nel cuore di paesi o città moderne; i segni vanno cercati con attenzione perché i Luoghi raccontano di tradizioni antichissime ma anche di invasioni, distruzioni, ricostruzioni: la primitiva Comunità cristiana, gli scempi dell’imperatore Adriano, i ritrovamenti di Sant’Elena, i Bizantini, i Persiani, i Musulmani, i Crociati, i Turchi... qui tutto è storia, niente è di ieri, come ci diceva don Vincent Nagle parroco di Nablus.
Mentre percorriamo in pullman i pochi chilometri che separano il Monte Tabor da Cana, Salim, la nostra guida, ci presenta i criteri per i quali si può stabilire l’autenticità di un determinato luogo in rapporto ad un fatto evangelico. Essi sono sostanzialmente tre: l’archeologia, ossia il ritrovamento di resti significativi e convergenti rispetto a un episodio narrato nei Vangeli; i testi scritti, come quelli di Giuseppe Flavio o della già ricordata pellegrina Egeria; la tradizione, per cui di generazione in generazione un certo sito è ricordato come luogo sicuro di un avvenimento.
Una cosa si può dire al di là dei particolari: tutto qui parla di Lui, è un’imponente Presenza quella che ci viene incontro. E leggere i testi evangelici perde quell’alone di devozione già saputa, per raccontarci una storia che – Dio sia lodato! – è accaduta proprio lì, dove si posano ora i nostri occhi.
La chiesetta di Cana ricorda il primo miracolo di Gesù, l’acqua mutata in vino per le nozze altrimenti malinconiche di due sposi. Con grande commozione siamo invitati a rinnovare le nostre promesse matrimoniali; mano nella mano come quel (vicino o lontano) giorno ripetiamo: “Accolgo te come mio sposo (mia sposa) e prometto di esserti fedele sempre...” Davanti a Cristo la nostra acqua spesso insipida può diventare un vino profumato e inebriante... anche dopo decenni, al di là della stanchezza, dell’abitudine, della delusione o della rassegnazione!
Dice don Giussani nei suoi appunti di viaggio: “Senza il vino non si fa un matrimonio. E’ una cosa necessaria dentro la vita normale. Nella normalità della vita avviene il miracolo”.
Il francescano che custodisce questo luogo ci raccomanda la cura della famiglia e il compito della fecondità, dei figli; avvertiamo, nelle sue parole accorate, la preoccupazione per un Occidente cristiano che sta lentamente scomparendo anche per una desolante sterilità. Scendiamo poi a visitare gli scavi, dove vi è una giara di pietra “simile a quella del miracolo”: Salim ci fa notare che l’evangelista Giovanni dice: “riempite fino all’orlo” (quindi non poteva già esserci un contenuto) e: “attingete” (non si possono versare i liquidi da una enorme e pesantissima giara di pietra): a sottolineare il realismo e la precisione del miracolo.
Camminando per le strette vie di Cana scopriamo che l’italiano è una lingua molto conosciuta in Terrasanta, perché i venditori si rivolgono a noi con familiarità nella nostra lingua. E vediamo una piccola chiesa dedicata a Natanaele (San Bartolomeo). Ma ormai Nazareth ci attende.