La “Via Dolorosa”, i distratti e il Santo Sepolcro
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“Gerusalemme è una città che mi ha lasciato senza fiato. Ho avuto subito l’impressione di una città contesa e confusa, chiusa da un muro che conferma la conflittualità sempre presente. I Luoghi santi sono spesso soffocati da edifici talora evanescenti o da luoghi di culto di altre religioni. Anche qui mi sono sentita di fronte alla sfida di tutti i giorni: “Cercare Dio”. Cercare l’essenziale. Anche qui sentivo chiamata in gioco la mia libertà. Bastava poco per distrarsi, per volgere lo sguardo da un’altra parte. Decisivo è stato seguire don Franco, la guida e tutti gli amici che condividevano questo gesto. Così tesi a seguire le tracce di Cristo si è approfondita l’amicizia con alcuni e sono iniziati nuovi rapporti”. (Santa)
E’ il 6 gennaio 2009, festa dell’Epifania. Dedicheremo la mattinata al percorso della “Via Crucis” e al Santo Sepolcro. La giornata è limpida come sempre finora, quando ci accostiamo alla Porta di Erode. Passano bizzarri carrettini a tre ruote, e venditori di pani di sesamo che sorreggono pile mastodontiche di forme fragranti. Il suk che occupa in permanenza la “Via Dolorosa”, il percorso di Cristo diretto al Calvario, non è ancora del tutto animato; con orientale sonnolenza sbadiglia e si desta pian piano. Guidati da Salim ci dirigiamo alla Torre Antonia, al Litostroto dove Gesù fu condannato a morte. I dettagli del Venerdì Santo si fanno vivi e concreti: qui la tribuna di Pilato, lì, ricordato da una piccola Chiesa, il luogo della flagellazione. Tra la commozione generale don Franco legge il testo evangelico. Dopo il film “The Passion” di Mel Gibson, questo episodio della vita di Cristo ha perso la sua riduzione devota da santino pietoso, ed è diventato il realistico orrore di una tortura insopportabile, se non per amore. Per amore di ciascuno di noi. Seguiti dal consueto gruppo di Nigeriani biancazzurri, torniamo sulla strada dove le tappe della Via Crucis sono ricordate da scritte, piccoli bassorilievi, immagini sui muri. Come dice Santa nella sua testimonianza, è faticoso non lasciarsi distrarre dai negozi, dalle grida, dai colori, dalle fragranze di spezie... siamo un po’ anche noi come gli spettatori del passaggio di Gesù quel lontano venerdì prima della Pasqua: facilmente dimentichi, tirati qua e là, comunque altrove, rispetto al gesto d’amore più importante della storia. Cerchiamo conforto nelle guide e negli amici, attratti anche da numerosissimi luoghi minori (ad es. la Prigione di san Pietro) che si aprono lateralmente qua e là... davvero qui ogni pietra parla. Ad un tratto uno snodo: bisogna cambiare direzione, come se il richiamo diventasse anche fisico: siamo sulla direttrice del Santo Sepolcro. Un grande austero tempio luterano: il Redentore, sulla sinistra. E poi un piccolo arco con la scritta: “Holy Sepulchre”: siamo nel luogo più sacro della Terra, oggetto di contese e di battaglie per secoli.
Lo spazio antistante la Basilica è inondato di sole; una misura esatta, introdotta da una lunga scalinata. Sulla sinistra presso il torrione tralicci e ponteggi di restauri in corso; davanti splende la facciata, con archi doppi aperti o murati, memoria dei Crociati; sopra, delle cupole. Salim ci spiega che due famiglie mussulmane sono custodi della chiave di ingresso, e ogni giorno aprono e chiudono il Tempio. Non è possibile ignorare la scaletta di legno simbolo dello “Status Quo”: non si può togliere, nessuno sa chi l’abbia messa, ma ogni gesto che riguardi il Santo Sepolcro deve essere concordato tra le comunità (greco-ortodossa, cattolica, armena...e poi copta, etiope, siriaca...) che da tempi immemorabili gestiscono questo luogo. E’ questo che crea tanto scalpore nei telespettatori, quando assistono, senza capire molto, a solenni bastonate tra i vari pope e sacerdoti, per presunte invadenze o violazioni. Noi comunque siamo testimoni di un clima molto più sereno: è anche festa grande, l’Epifania, e domani sarà il Natale ortodosso.