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Natale: Si è fatto carne per noi

Autore:
Riva, Gloria
Fonte:
CulturaCattolica.it ©
Michelangelo Buonarroti, Tondo Doni, Galleria degli Uffizi, Firenze



Il cosiddetto "Tondo Doni" è l'unica opera certa su tavola di Michelangelo. Dal punto di vista stilistico, con essa Michelangelo volle affermare la superiorità della scultura sulla pittura. La luce infatti batte radente sui piani e le figure emergono dalla tela quasi a "tutto tondo". facendo di quest'opera un commento sublime alla concretezza dell'Incarnazione. Il dipinto, eseguito - probabilmente - per le nozze di due fiorentini: Agnolo Doni e Maddalena Strozzi, celebra lo splendore dell'amore umano abitato dalla Presenza di Dio. Mentre ci addentriamo in alcuni degli infiniti spunti che quest'opera offre, teniamo come sullo sfondo della nostra meditazione l'intera liturgia del Natale, dalla Messa vespertina della Vigilia alla Messa del giorno, avendo nel cuore principalmente una domanda: quale carne assunse il Verbo?

Umanità ante legem
Gli uomini sullo sfondo raffigurano l'umanità "ante legem". (Figura 1) Essi sono in piena luce, e rafforzano il movimento orizzontale già suggerito dal muretto che separa la Sacra Famiglia dal Battista. Nessuno di questi guarda verso Cristo, tutti si additano a vicenda senza che, nel gruppo, si determini un punto preciso o unanime dove orientarsi o guardare.
Costoro rappresentano gli uomini che cercano Dio come a "tentoni"; affidati unicamente alla sapienza umana finiscono col perdersi nei frammenti infiniti dell'esistenza senza giungere ad avere un centro, un orientamento sicuro per la loro vita. Sono gli uomini di ieri e di oggi immersi nel relativismo. Non solo sono nudi, ma anche si spogliano vicendevolmente: notiamo infatti, che a sinistra il primo uomo è colto nell'alto di liberare dai drappeggi il compagno. A destra invece all'unico uomo vestito viene strappato a forza il mantello ignorando la sua ritrosia. (Figura 2)
Michelangelo ritrae così quegli uomini che non si rivestono di Cristo e che - come afferma Paolo - si dichiarano sapienti, mentre sono diventati stolti e hanno scambiato la gloria dell'incorruttibile Dio con l'immagine e la figura dell'uomo corruttibile… perciò Dio li ha abbandonati all'impurità secondo i desideri del loro cuore, sì da disonorare fra di loro i propri corpi. (cfr. Rom 1, 22-24)
Non si allude però qui semplicemente o soltanto a una categoria di persone anzi, qui ciascuno di noi può riconoscere una parte di se stesso, c'è anche in noi qualcosa dell'umanità "ante legem". Laddove, ad esempio, siamo tutti presi dal nostro "io", laddove cerchiamo sì la verità, ma lo facciamo a partire da noi stessi, dal nostro concetto di giustizia, di sapienza e di bellezza. La luce di Cristo ci avvolge, ma non sappiamo orientare verso di essa lo sguardo preferendo la luce dell'intelletto a quella della fede.

Umanità sub lege
Associato a questa umanità, e tuttavia separato da essa a causa di una zona d'ombra, vi è il Battista. Nell'incarnato, nella foggia, poco discosta dagli uomini ritratti sullo sfondo, eppure la sua "umanità" è diversa. Egli guarda verso l'alto, verso oriente, guarda verso un centro che è al di fuori di se stesso e della sua umanità: guarda a Cristo. Egli non solo è investito dalla luce, ma ha quella medesima luce negli occhi (i volti degli altri personaggi sono quasi tutti in ombra). Nel Battista sono perciò rappresentati tutti quegli uomini e quelle donne che hanno cercato la sapienza che viene dall'alto, che hanno accolto nel cuore i dettami della legge. Essi anche quando non hanno incontrato veramente Cristo si sono già rivestiti di Lui. Sono l'umanità "sub lege". Una differenza sostanziale intercorre tra gli uomini dello sfondo e Giovanni il Battista ed è l'età. Il Battista è un fanciullo. Da un lato egli pur essendo il più grande tra i nati di donna, non ha ancora visto compiersi la nuova economia di salvezza e dunque - come disse Gesù - il più piccolo nel Regno dei Cieli è più grande di lui. D'altro lato però egli è l'ultimo e il più perfetto degli anawim, di quei poveri di Jahwè che, pur essendo sotto il giogo della legge, hanno atteso con perseveranza il compimento delle Scritture. E come noi ci possiamo identificare con gli adulti sullo sfondo scoprendo in noi l'uomo vecchio, l'uomo invecchiato nel male, così possiamo riconoscerci in S. Giovanni fanciullo. Quest'ultimo ci ricorda il germe di bene presente in noi che vuole crescere fino a raggiungere la piena maturità di Cristo. Il Battista ci esorta a "bramare il puro latte spirituale per crescere in esso verso la salvezza", "a non essere più sballottati da qualsiasi vento di dottrina," ma a fissare lo sguardo verso le cose eterne e sante per essere in esse custoditi. Lo sguardo di Giovanni si dirige verso il punto più alto del gruppo familiare. Ivi troviamo un altro sguardo, non più fisso nei cieli - come in attesa - ma assorto e quasi sbalordito dal mistero che contempla, è lo sguardo di Giuseppe. (Figura 3) S. Giuseppe, vigoroso e forte, appare ormai canuto. La sua figura imponente fa da scudo alla Vergine Madre e al Bimbo Gesù. Giuseppe è l'ultimo anello di quella catena per mezzo della quale si realizzarono le profezie fatte a Davide, così come narra Matteo all'inizio del Vangelo attraverso il genere letterario della genealogia. Egli è come un apice a partire dal quale si vede tutta la discendenza di quanti, patriarchi, profeti e giusti, hanno atteso il Messia.
In questa discendenza non ci sono però solo uomini virtuosi. La genealogia di Matteo presenta una lunga litania di nomi, nella quale scorgiamo personaggi gloriosi e peccatori. Ritroviamo Abramo, Isacco, il re Davide, ma anche re idolatri come Roboamo. Vi sono donne virtuose come Rut, ma anche donne coinvolte in vicende oscure come Tamàr e Betsabea. Vi sono nomi che rimandano ad eventi gloriosi, come la conquista della terra promessa e il sontuoso regno di Salomone, ma anche a drammi come la deportazione e la schiavitù in Babilonia. Giuseppe è il frutto di tutto questo, egli è colui che accoglie Cristo nella povertà della sua natura ben sapendo che in Lui solo vi è salvezza. Egli sa, come dice Paolo, di essere salvato non in virtù delle opere di giustizia da lui compiute, ma per la misericordia di Dio. (Lettera a Tito, II Lettura Messa dell'Aurora) Così in Giuseppe vive e si incontra la carne di coloro che brancolano nel buio delle loro prospettive umane (come i pagani dell'antica Grecia) e la carne dei giusti (come quella del Battista) i quali - pur guardando alla realizzazione delle promesse solo da lontano - seppero dare la vita per esse. Egli raccoglie le speranze di tutti mentre vede e tocca la Carne del Verbo: Ciò che era fin dal principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita,… lo annunziamo anche a voi. (1Gv 1, 1.3)

Umanità sub gratia
Giuseppe è ormai al di qua della storia, anzi è lui stesso che porge a Maria il Bimbo divino, pur rimanendo comunque quasi totalmente nascosto dalla figura di lei. La genealogia di Matteo quando giunge al nome di Giuseppe opera un salto di qualità: in essa per 39 volte si è ripetuto che i padri generano (verbo all'attivo) i figli (Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda, Giuda generò ecc…), ma alla fine - giunti a Giuseppe - si parla della generazione della Madre e si usa un passivo: Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato (fu generato) Gesù, chiamato Cristo. Gesù, grazie a Giuseppe, fu veramente figlio di Davide, ma Giuseppe non lo generò al pari di ogni uomo su questa terra: Cristo nacque da Maria, in modo misterioso e unico.
Il punto centrale del dipinto - che è anche il punto più luminoso - è difatti il grembo verginale di Maria. Ella è la piena di grazia! Quella grazia che è nel cielo, quella grazia che vale più della vita, abita in lei come in un tempio. Quella grazia in lei si è vestita di carne ed è venuta alla luce: "È apparsa la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini, che ci insegna a rinnegare l'empietà e i desideri mondani e a vivere con sobrietà e pietà in questo mondo, nell'attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo." (Lettera a Tito, II lettura Messa della Notte)
Maria è colta qui nell'atto di abbandonare il libro (la Parola) in cui era immersa e di volgersi a ricevere Gesù dalle mani di Giuseppe, lo riceve cioè da quella interminabile tradizione che prima di lei ha creduto nella Parola e ne ha atteso il compimento. La luce pulsa sul grembo di Maria: Dio bussò alla porta del suo seno prima di farsi carne in lei e l'assenso di Maria non fu improvvisato. La sua lunga e diuturna familiarità con la Parola la rese la prima familiare di Gesù. "Colei che credette in virtù della fede, in virtù della fede concepì", scrive Agostino e ancora: "fu più importante per Maria essere discepola di Cristo che essere Madre di Cristo". Per questo Maria è modello per ogni credente, per ciascuno di noi. Chi si rende familiare alla Parola, chi si apre al "pensiero di Cristo" e si affida alla parola (dice cioè con Maria: sia fatto di me secondo la tua Parola) genera Cristo. Come scrive Isacco della Stella: "Nelle Scritture divinamente ispirate quel che viene detto in generale per la Chiesa, s'intende in modo speciale per Maria e in particolare anche per l'anima fedele"
Il gruppo della Santa Famiglia si sviluppa entro un sapiente dinamismo. La struttura del gruppo di uomini "ante legem" si risolve entro uno spazio orizzontale (la dimensione umana) e S. Giovanni, simbolo degli uomini "sub lege", ha lo sguardo rivolto verso l'alto (dimensione spirituale), il gruppo della S. Famiglia disegna invece una spirale che innalzandosi verso l'alto abbraccia, con un movimento rotatorio, lo spazio circostante. Maria e Giuseppe rappresentano l'umanità "sub gratia" per la quale ogni relazione è abitata dalla presenza dell'Amore. La base geometrica della spirale è il cerchio: l'umanità sub gratia è collocata entro la circolarità dell'Amore trinitario. La loro vita, infatti, ruota attorno a un perno che è divino e umano nel contempo: Cristo il quale ricapitola in sé tutte le cose, quelle del cielo e quelle della terra. Ricapitola, cioè raccoglie e orienta il "rotolo" della storia umana come il "capitulum" raccoglie lo svolgersi del libro.
A differenza di tutti gli altri personaggi la Sacra Famiglia è interamente vestita. L'umanità "sub gratia" si è rivestita della salvezza che viene da Cristo e i colori delle vesti esprimono la riconciliazione tra cielo e terra di cui essi, per grazia, godono. Giuseppe indossa il colore bruno della terra e il giallo oro della luce solare. Maria veste i colori dello spirito: il rosa che è il rosso dell'amore trasfigurato dalla luce bianca del divino e l'azzurro, colore, appunto, delle realtà celesti. Il verde, simbolo della vita, tinge il rovescio del manto di Maria e salda in armonia le due figure.

Il verbo si è fatto carne
Tra Maria e Giuseppe, vergini, è fiorita la vita, quella vita che era presso Dio fin dal principio, che era Luce per gli uomini: il Verbo della vita. Ma ecco che, mentre Maria e Giuseppe sono rivestiti di grazia, Gesù - la grazia stessa - è interamente nudo, è più nudo di Giovanni, nudo come gli uomini ante legem. (Figura 4) Entrando nel mondo, infatti, Cristo dice: Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco, io vengo - poiché di me sta scritto nel rotolo del libro - per fare, o Dio, la tua volontà. (Ebr 10, 5-7)
Il corpo assunto dal Verbo è il nostro corpo di carne, la stessa carne degli uomini ante legem, la stessa degli uomini sub lege: è una carne mortale. In questa carne Cristo risponde alle attesa di tutta l'umanità. A quanti l'hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio, i quali non da sangue, né da volere di carne, ma da Dio sono stati generati. (Gv 1, 12-13) L'unico indumento di cui Cristo è adorno è la fascia che gli cinge il capo, simbolo di vittoria. La morte non ebbe alcun potere su di lui e la sua carne non conobbe corruzione, perciò egli è il primogenito di coloro che risorgono dai morti ed è, per ogni credente, come una primizia di ciò che sarà il loro destino.
La carne del verbo è ormai il vero tempio entro il quale si realizza la comunione perfetta fra Dio e l'uomo. E come il tempio - per l'umanità sub gratia - non è più di pietra, bensì di carne, così anche il cuore dell'uomo che accoglie il verbo - non è più di pietra, ma di carne, è il luogo cioè del vero culto offerto a Dio, fatto non di sacrifici e offerte, ma di adesione amorosa alla volontà di Dio.
Le teste della Sacra Famiglia formano un triangolo equilatero rovesciato: l'uomo e la donna che si amano in Cristo sono l'immagine terrena della Trinità del cielo. Adamo ed Eva dopo il peccato furono colpiti nelle loro relazioni: con la sua incarnazione Cristo, nuovo Adamo, inaugura relazioni totalmente rinnovate dall'Amore.

Eucaristia, memoriale del verbo incarnato
Il dipinto è inscritto in un tondo, una forma che rimanda inequivocabilmente all'Eucaristia. Nell'Eucaristia ogni uomo trova la sorgente per risanare tutto ciò che in lui è ancora ante legem, per orientare tutto ciò che è sub lege e portare a perfezione quanto, in forza del battesimo, è già sub gratia. Nonostante l'Incarnazione del Verbo e la sua Presenza Reale fra noi, non scorgiamo ancora nel mondo, in modo perfetto, la redenzione che egli ha operato. Scopriamo in noi e fuori di noi, le ribellioni e le ostinazioni della mente e dell'anima, che ci costringono dentro un orizzonte terreno. Viviamo la fede e il rapporto con Dio, come sotto il giogo della legge, agendo non da figli, ma da schiavi, non da amici, ma da servi. Perdiamo sovente di vista il perno attorno a cui far ruotare l'esistenza e la "spirale" delle nostre relazioni fatica a salire verso l'alto e ad abbracciare uomini e cose con la forza che viene dall'amore trasformante del Signore.

Cosa significa allora per noi che il Verbo si è fatto carne?
Significa che non nella "nostra" carne, ma nella "carne del verbo" troviamo la forza per trasformarci interamente secondo l'immagine perfetta che deve essere realizzata in noi. Questa carne è presente in modo reale e sostanziale nel Pane eucaristico - come ci ricorda Madre Maria Maddalena dell'Incarnazione: Tu come Pane vivo e vivificante, nutrendomi della tua Carne, del tuo Sangue mi trasformerai tutta in Te, regnerai in me e secondo la tua promessa farai che in avvenire io non viva che per te, come tu non vivi che per il tuo Eterno Padre. (Atto di Speranza Dir 1814 pg 55.) Cristo dimora ancora nel mondo grazie al Sacramento - memoriale dell'Incarnazione - ed è il gran medico dei nostri mali: "Spero che Tu, come gran Medico, che sei venuto nel mondo per mezzo della tua Incarnazione, ove ancora dimori per la guarigione dei nostri mali, Ti degnerai di applicarmi per mezzo del tuo sacrificio le virtù dei tuoi patimenti… delle tue piaghe di cui l'Eucaristia è monumento… per fortificare il mio corpo e la mia anima. (Atto di Speranza Dir 1814 pg 56)

Che cosa di noi appartiene all'umanità "ante legem"?
Madre Maddalena ci può aiutare ad approfondire questa domanda. Sempre nell'Atto di speranza ella spinge: a presentare al Signore tutto ciò che di noi è ancora "ante legem" e a pregare perché tutto di noi venga trasfigurato dalla grazia. Fa o mio Gesù che questa virtù divina (cioè la speranza) venga ancora sopra tutte le potenze dell'anima mia e in tutte le facoltà del mio corpo. Nel mio intelletto per fortificare ed accrescere la mia fede, nel mio cuore per distaccarlo da tutte le creature e infiammarlo del tuo santo amore. Nella parte inferiore poi per reprimere i moti delle passioni e sottometterle alle leggi della ragione e della tua grazia. Infine sopra i miei sensi e sopra tutte le membra del mio corpo per annientare in lui tutte le ribellioni e gli appetiti disordinati. Pur nel linguaggio della sua epoca, la Madre mantiene un certo equilibrio e se da un lato chiede che il cuore sia educato al distacco dalle creature, dall'alto invoca il calore dell'amore vero - quello che viene da Dio. Essere sub gratia non significa allora disprezzare ciò che è terreno, significa piuttosto amare tutti e tutto con lo stesso cuore di Dio. Ella ci insegna poi a presentare a Dio i nostri sensi e le nostre passioni per sottometterle alla grazia divina. Dal Concilio Vaticano II in avanti la Chiesa ha recuperato il giusto valore della corporeità e della sessualità, tuttavia - specie in questi ultimi tempi - forse più che mai tocchiamo con mano quanto "dar libero sfogo alle passioni" porti l'uomo alle più assurde brutalità e alle più grandi aberrazioni. Le parole di Paolo sopra citate: "Dio li ha abbandonati all'impurità secondo i desideri del loro cuore, sì da disonorare fra di loro i propri corpi" non sembrano più tanto lontane da certe nostre realtà. Allora, pur tenendo salde le sane aperture inaugurate dal Concilio, vale ancora il consiglio di vigilare su quanto in noi sembra ancora "ante legem", quanto cioè obbedisce alla legge dell'egoismo. Tutto: ogni nostro aspetto, ogni nostro membro deve essere evangelizzato, per questo la Madre ci invita ad esporre tutto di noi alla Luce dell'Eucaristia.

Che cosa di noi appartiene all'umanità "sub lege"?
Paolo è molto esplicito al riguardo: "Prima che venisse la fede, noi eravamo rinchiusi sotto la custodia della legge, in attesa della fede che doveva essere rivelata. Così la legge è per noi come un pedagogo che ci ha condotto a Cristo, perché fossimo giustificati per la fede. Ma appena è giunta la fede, noi non siamo più sotto un pedagogo. Tutti voi infatti siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo". Chi vive sotto il domino della legge, affida il suo progresso spirituale alla sua volontà, al suo impegno e rischia così di avere sempre se stesso al centro delle sue attenzioni. Madre Maddalena invita a mettere Gesù al centro del cuore perché sia lui a vivere in noi Dio mio, ti amo con tutto il cuore, con tutta l'anima mia, con tutto il mio spirito e con tutte le mie forze… tu sei il centro del vero amore e il mio cuore è tutto penetrato dalla grandezza ed eccellenza di questo beneficio. Sì, mio Signore io non ho che un cuore e questo è tutto per Te. Gesù mio, io ti amo e adoro la tua infinita divinità, la tua santissima Umanità, il tuo Corpo, la tua anima e tutto quanto di sublime è contenuto i questo divino Sacramento. (Dir 1814 pag 52) Passare dalla legge alla grazia significa passare dalla schiavitù alla figliolanza divina, come dice Paolo: "Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l'adozione a figli. E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre! Quindi non sei più schiavo, ma figlio; e se figlio, sei anche erede per volontà di Dio." Il rapporto con Dio, la preghiera si nutrirà allora di sentimenti di confidenza e amore, di sottomissione amorosa alla sua volontà consapevoli che ogni giorno abbiamo bisogno di passare dalla morte alla vita, dalla legge alla grazia: Oh Signore non era abbastanza l'esserti incarnato per me… non era abbastanza l'avermi dato il tuo divino Spirito nei tuoi Santissimi Sacramenti… l'avermi fatta membro del tuo corpo mistico, l'aver preso come tua sposa l'anima mia e di averla resa dimora e tempio della Santissima Trinità? Il tuo amore egualmente ardente ed intimo ti ha fatto trovare ancora un mezzo ammirabile onde rinnovare ogni momento i medesimi effetti della tua divina bontà e della tua misericordia sopra i tuoi Altari dove, per così dire, ti incarni tutti i giorni fra le mani dei Sacerdoti. (Dir pg 48)

Siamo umanità sub gratia e Adoratori del Verbo Incarnato?
Maria è la figura in cui maggiormente si esprime il movimento a spirale della Sacra Famiglia. (Figura 5) Saldamente appoggiata al terreno su cui siede ha occhi, volto e braccia totalmente orientati a Cristo. Maria è profondamente donna, inequivocabilmente creatura, ma la sua esistenza è interamente protesa verso Dio. Con lo sguardo fisso su Gesù, autore e perfezionatore della Fede ella compie le opere della fede. Ella è pronta a fare instancabilmente ciò che Egli dirà. Ella agisce come una serva, ma ama come una sposa, in lei legge e alleanza, obbedienza e libertà sono strettamente e armonicamente unite.
Per questo Maria è modello della nostra adorazione, perché l'adorazione ci fa stare alla Presenza con l'amore della sposa, ma ci fa vivere la quotidianità con la dedizione del servo. (Figura 6)
Adorare il Verbo incarnato significa esporsi quotidianamente al sole della sua grazia per essere trasformati in Lui, perché lui viva e operi in noi secondo il suo volere: Tu, o Redentore del mondo, … ti sei unito a me come se non avessi altri che me e io non dovrò perciò generosamente dedicarmi e consacrarmi tutta al tuo servizio e al tuo culto? Mi unisco pertanto a te Pane vivo e vivificante, affinché Tu sia sempre in me ed operi in me ciò che a te piace. Io unisco i miei pensieri, i miei affetti, parole ed opere alle tue infinite perfezioni, affinché tu stesso sia nell'Eucaristia la mia fede, la mia speranza ed il mio amore,… e io per mezzo tuo preghi adori ed eserciti le virtù cristiane (Atto di unione pag. 58). Da sempre la pietà cristiana ha cercato mezzi per mantenere viva questa unione col Verbo divino anche nel corso delle attività quotidiane. Cara alla tradizione Monastica è la ruminatio della Parola: custodendo nel cuore anche una sola parola della Scrittura, vedremmo giorno dopo giorno "farsi carne in noi" il Verbo divino. Un altro mezzo, caro a Madre M. Maddalena è la comunione spirituale mediante la quale si richiama costantemente "sull'Altare del cuore" la Presenza del Verbo Divino: O amatissimo Gesù, in cui sono i titoli più dolci di Padre, di Sposo, di Fratello, di Medico, di Maestro e di Signore mio Redentore e Pane misterioso di vita eterna io desidero di te cibarmi, in te estinguere la mia sete. Se tu sei fuoco, o quanto allora brucerò! Se tu sei luce, quanto mi vedrò illuminata! Se tu sei Medico dello spirito quanto sarò perfettamente risanata! Vieni dunque in me, io apro il mio cuore per riceverti come desidero. Anzi ecco che già mi figuro di riceverti dalle mani della tua Vergine Madre e di averti nel mio seno (La spirituale comunione pg 91-92).

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