Il ritrovamento di Gesù nel tempio
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Ha perduto la madre il suo figlio,
per le piazze e per le strade lo cerca,
lo cerca e ne domanda nella grande città.
"Vide nessuno il mio figlio, il dolce mio figlio perduto?"
O donna chi conosce i tuoi figli?
Chi potrebbe conoscerli se neppure una volta
gli uomini videro te, o Sconosciuta?
Tu passi - e appena sfiori la terra - guardando,
cercando in ogni viso il viso di colui che hai perduto,
interrogando col tuo sguardo muto le cose.
Gli uomini, al tuo passaggio, si scostano:
sostano, come tu passi: un attimo, quasi sorpresi,
ti guardano dimentichi del loro cammino: ti guardano.
Tu domandi: "Il mio figlio, ho perduto il mio figlio;
chi di voi l'incontrò?". Oh, la tua voce!
Come olio nel cuore discende, come balsamo puro.
Chi la udì mai? Ma tu per le vie della città rigurgitante
d'innumere gente tu corri sola col tuo grande dolore.
Chi sei tu che corri così per le vie chiamando tuo figlio?
Oh! non c'è nulla per te, oltre colui che hai perduto.
Domandi: "Il mio figlio, ho perduto il mio figlio:
chi di voi l'incontrò?". Il figlio perduto chiama la madre.
Non odono gli uomini il pianto, sì l'ode la madre e ristà.
"Figlio mio dove sei tu?" Sei così bella nel tuo dolore !
E' così puro, così dolce il tuo sguardo, mentre nell'ascoltarlo,
smarrita, t'arresti! Lui, non ode la madre chiamarlo,
appena percepibile è il pianto che giunge alla madre.
Il figlio ha lasciato la madre, da se non saprebbe trovarla mai più.
Non ode la madre più nulla oltre il pianto continuo,
sommesso che di lontano le giunge.
E la madre ascolta la voce del figlio:
"Dove sei, dove debbo trovarti, figlio mio?".
Per ogni dove cercandolo nelle piazze
e nelle strade tu passi guardando se finalmente lo trovi,
se trovi, o Signora, il dolce tuo figlio perduto.
I palazzi tu sali - e il desiderio ti spinge -
su nelle sale dei re tu sali a cercarlo: lo chiami.
Il tuo passo s 'inoltra in mezzo ai pezzenti, come un raggio di sole
i trivi trasvoli a cercarlo: in nessun luogo lo trovi.
Più vicino il pianto del figlio di lungo lamento riempie,
alla madre che ascolta, la muta città. "Figlio mio dove sei tu?"
O donna io lo so dov'è il tuo figlio perduto.
Te lo strapparono gli uomini, - neppure guardandoti
un'ultima volta, lontano, per loro fuggì -
gli uomini l'hanno lasciato.
Ora non ha più nessuno colui che abbandonò la sua madre.
Si fa notte d'intorno: il tuo figlio ti chiama.
Sulla via, spogliato di tutto, solo, nella grande città,
fisso il suo sguardo nel buio, il suo pianto risuona nella notte.
"O madre, riconosci il tuo figlio!".
(Divo Barsotti)
Più che al ritrovamento, questo testo guarda al momento ad esso antecedente: l'ansiosa e angosciante ricerca di una madre che si accorge di aver perduto il figlio.
In tale situazione, presentata dall'autore, è facile intravedere anche lo smarrimento che, certamente, deve aver certo provato Maria quando smarrì Gesù, rimasto tra i dottori nel Tempio di Gerusalemme per compiere la Volontà del Padre Suo.
Qui siamo, dunque, di fronte alla descrizione dello smarrimento interiore che coglie e accompagna la Madre durante la ricerca del Figlio.
In essa, però, è riflessa anche la pena che la Vergine Santa prova, ancor oggi, dinanzi allo smarrimento della "retta via" da parte di ciascuno dei figli a lei affidati dal Suo Divin Figlio. Maria, un giorno, si mise alla ricerca Gesù che era rimasto nel Tempio per compiere la Volontà del Padre. Maria, ogni giorno, lungo l'arco di tutta la storia umana, ricerca anche ciascun uomo che si perde nella "selva oscura" del peccato.
Quale abissale differenza - si potrebbe però notare - tra lo smarrimento di Gesù e il nostro! Eppure Maria, amorevolmente e maternamente ci viene a cercare come quel giorno cercò Gesù.
Poste tali premesse, proviamo a far scorrere il testo poetico.
Questa lunga poesia ruota tutt'attorno a un'unica, ripetuta, domanda: "Vide nessuno il mio figlio, il dolce mio figlio perduto?" È una domanda angosciosa, resa ancor più straziante dall'indifferenza della folla attorno, la quale si rapporta a questa madre in cerca del figlio perduto, con un'indifferenza tale da rasentare quasi il cinismo: "O donna chi conosce i tuoi figli? Chi potrebbe conoscerli se neppure una volta gli uomini videro te, o Sconosciuta?"
Cruda, beffarda questa risposta, deve certo "colpire al cuore" la sensibilità della Madre. Nonostante ciò ella non si dà per vinta, prosegue la ricerca e continua a domandare, a interrogare ogni uomo che incontra per coinvolgerlo nella ricerca.
"Ha perduto la madre il suo figlio, … nella grande città." Qual è questa "grande città"? È Gerusalemme? Oppure è una qualsiasi altra metropoli, antica o moderna? O forse, andando un po' "al di là" della semplice toponomastica, e spostando la domanda dal "qual è" al "che cos'è" questa città, inoltrandoci, cioè, nella considerazione di ciò che questa "grande città" può rappresentare, possiamo vedervi raffigurata la biblica Babele, dove tutti parlavano ma nessuno si comprendeva e, perciò, nessuno comunicava e tutti rimanevano isolati nella loro disperante solitudine. Oppure possiamo ravvisare in essa Ninive "quella grande città, nella quale sono più di centoventimila persone, che non sanno distinguere fra la mano destra e la sinistra" (Giona 4,11). O infine, rimanendo nell'ambito biblico, è possibile scorgere in essa l'apocalittica Babilonia, "la città grande, che regna su tutti i re della terra" (Ap. 17,18) ma che è anche, nel contempo, "covo di demòni, carcere di ogni spirito immondo" (Ap. 18,2).
Le possibili identificazioni sono molteplici. A ciascuno è volutamente lasciata la libertà di decidere quale "nome" attribuire alla "grande città" presa in considerazione.
"O donna chi conosce i tuoi figli … se neppure una volta gli uomini videro te, o Sconosciuta?" Notiamo che mentre la domanda della madre era stata posta al singolare -"Vide nessuno il mio figlio, il dolce mio figlio perduto?", la risposta datale è al plurale: le si dice "i tuoi figli". Questo "passaggio dal singolare al plurale" non risulta indifferente. In esso possiamo leggervi un'allusione a un significato "più allargato" riferito al termine "figlio": un rimando, cioè, a "ogni figlio d'Eva", ovvero, ad ogni uomo di cui Maria è madre. Siamo così di fronte all'indifferenza e all'egocentrismo che caratterizzano i rapporti umani nella "grande città". Siamo di fronte all'apoteosi del disinteresse umano. Una madre cerca il figlio e gli altri non se ne curano, non è affar loro - sembrano implicitamente dire, con questo loro comportamento - perciò "se ne lavano le mani", proseguono la loro vita senza lasciarsene coinvolgere.
"Tu passi e appena sfiori la terra" Maria "passa" lieve tra gli uomini, la sua presenza non è invadente, non si impone. Eppure il suo "esserci" non passa inosservato, disturba ("Gli uomini, al tuo passaggio, si scostano"), scuote ("sostano… un attimo, quasi sorpresi"), distoglie, seppure per "un attimo" solo, dalle apparenze e dalle cose vane (ti guardano dimentichi del loro cammino), interroga ("Tu domandi").
La presenza materna di Maria riesce, dunque, ad "aprire" uno spazio al Trascendente anche nel bel mezzo della "grande città" e "furtivamente" getta il seme di quell'anelito all'Infinito che colma quella "sete di Dio" che l'uomo, ogni uomo, proprio in quanto uomo, porta intrinsecamente in sé. "Oh, la tua voce! -dice infatti il testo- Come olio nel cuore discende, come balsamo puro.
Ma la voce della Madre, "nella grande città" "Chi la udì mai?" La voce di Maria, riflesso e portatrice del messaggio di Dio, "nella grande città" viene ostracizzata. Eppure la Madre "passa", la sua voce risuona e nulla resta più come prima. Poco importa se l'individuo "elude" questa sua intrinseca tensione verso Dio negandolo o soffocandolo in mille modi, accampando scuse o ragionamenti che egli definisce "razionali ed intelligenti": il seme c'è e, a suo tempo, "fruttificherà" o, per lo meno, farà sentire la sua presenza. Ecco che allora la domanda resta, incancellabile e "tremenda" in tutta la sua profondità e "provocazione interiore": Chi sei tu che corri così per le vie chiamando tuo figlio?
E "Il figlio perduto chiama la madre." Ogni uomo chiama la Madre. Per il bambino, quando si sente nel pericolo, quando ha paura, … è istintivo chiamare la mamma. "Il figlio" è "perduto", si è "perduto" e "chiama la Madre". Siamo noi quel figlio, ciascuno di noi che, nei "perigli della vita", come bimbi sperduti e tremebondi, chiamiamo Maria, la Madre, invocandone il soccorso e sollecitandone il materno intervento.
Ma "Non odono gli uomini il pianto". Il "pianto" del figlio che si accorge di "essersi perduto", di colui che, "nella grande città", scopre in sé l'anelito verso il divino e cerca Dio implorando il soccorso della Madre, non è udito dagli altri uomini poiché essi, frettolosi e distratti, percorrono le vie del mondo. Il suo lamento è interiore e, quindi, solo un cuore puro e "abitato da Dio" può percepirlo, infatti "l'ode la madre e ristà." La folla passa indifferente, chiusa in se stessa ed incurante di tutto e di tutti, incapace di accorgersi dell' altro che le vive accanto.
Non così, però, Maria, la Madre. Ella "ode" l'invocazione del figlio e "ristà": sosta in ascolto, si fa attenta, sussulta ad ogni sussurro del figlio perduto, corre e si affretta nella ricerca, chiama il figlio "Figlio mio dove sei tu?". Non si da pace finché non l'abbia trovato.
"O non c'è nulla per te oltre colui che hai perduto" Il Figlio è per la Madre il Tesoro più prezioso e perciò ella è inarrestabile nella sua ricerca. È una cosa "strana", questa amorosa ricerca, nella "grande città" dato che in essa, ognuno è abituato a pensare solamente a sé e non bada agli altri. La cosa perciò non passa inosservata. "Gli uomini sostano sorpresi", la "guardano dimentichi" per un momento "del loro cammino". Qualcuno si interroga e la interroga: "Chi sei tu?". Qualcun altro, infine, rientrando in sé, si accorge anche della bellezza interiore che promana da lei ed esclama: "sei così bella nel tuo dolore! E' così puro, così dolce il tuo sguardo!"
La Madre soffre, è "smarrita" per la perdita del figlio, ma la profondità e la bellezza intima del suo cuore materno, traspaiono dal suo limpidissimo sguardo, trasfigurano anche il più acuto dei dolori (quale dolore, infatti, può essere paragonato a quello di una madre che si vede privata del figlio) e s'irradiano d'intorno: illuminano le tenebre della "grande città" e interpellano l'uomo di ogni tempo, invitandolo a porsi anch'egli "alla ricerca del Figlio", di Gesù un giorno "smarrito" nel Tempio di Dio affinché i figli, "perdutisi nei vari templi degli idoli del mondo", potessero ritrovare sé stessi e "tornare a casa".
Ma "Il figlio" perdutosi perché "ha lasciato la madre, da se non saprebbe trovarla mai più". Non solo, neppure "ode la madre chiamarlo". Il peccato ha ottenebrato i suoi sensi interiori ad un punto tale che egli, ora, è ormai incapace di udire la voce del cuore che proviene dalla Madre e conduce a Dio: l'uomo da solo è incapace di fare "ritorno".
Per questo è la Madre, la quale "non ode più nulla oltre il pianto continuo, sommesso che di lontano le giunge" che "ascolta la voce del figlio", lo cerca, lo chiama: "Dove sei, dove debbo trovarti, figlio mio?" e s'affretta "per ogni dove cercandolo nelle piazze e nelle strade guardando se finalmente lo trovi".
La madre cerca il figlio ovunque egli sia: non l'arresta il rispetto umano: "il desiderio" di ritrovare il figlio la porta a salire nei "palazzi" dei potenti, la "spinge su nelle sale dei re a cercarlo". Non teme neppure di "contaminarsi" quando il suo "passo s 'inoltra in mezzo ai pezzenti" e "i trivi" che percorre per " cercarlo". L'amore la sospinge ed ella passa attraverso le vie, "come un raggio di sole" in mezzo alle brutture della "grande città".
"O donna io lo so dov'è il tuo figlio perduto", dice il poeta, infine, rivolgendosi alla Madre.
"Te lo strapparono gli uomini" e lo fecero "neppure guardandoti un'ultima volta", incuranti del tuo dolore. E "il figlio", attratto dalle loro fatue lusinghe, "lontano, per loro fuggì".
Ma, adesso, il figlio giace abbandonato a se stesso, "gli uomini l'hanno lasciato", ed egli "che abbandonò la sua madre" .per correre dietro a sogni ingannevoli, "non ha più nessuno".
Ora "si fa notte d'intorno" ed "il figlio" giace "sulla via, spogliato di tutto, solo, nella grande città", con "fisso il suo sguardo nel buio"mentre, il suo pianto risuona nella notte".
Il figlio perduto si è perso: giace incapace di rialzarsi da solo. Muto e implorante il suo gemito si innalza e si diffonde: "Più vicino il pianto del figlio di lungo lamento riempie, alla madre che ascolta, la muta città".
Si leva allora il grido implorante che chiude la poesia ma resta "nell'aria" quale appello perenne rivolto a Maria: "O madre, riconosci il tuo figlio!". E Maria, maternamente, torna a percorrere le nostre città riconoscendo suo Figlio in ogni figlio dell'uomo. Per questo ella, incessantemente, passa "cercando in ogni viso il viso di colui che ha perduto" e richiama ogni uomo il cui "suo pianto risuona nella notte".
(Figura 1: Pinturicchio, La Disputa di Gesù tra i dottori, Spello)