La Presentazione di Gesù al Tempio
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Quando la prima volta portò il Bambino al tempio
fra coloro che stavano lì dentro
e non si allontanavano mai, c' erano
il santo Simeone e la profetessa Anna.
E dalle braccia di Maria il Bambino
prese il sant'uomo; i tre, in quel mattino,
persi nella penombra, come cornice incerta,
stavano intorno al Bambino in un serto,
Il tempio li accerchiava, come impietrito bosco.
Dagli sguardi degli uomini e dall'occhio del cielo
nascondeva la volta, stendendo un'ombra spessa,
in quel mattino il vecchio, Maria, la profetessa.
Per caso solo un raggio di luce sulla fronte
del Bambino cadeva; Egli di nulla ancora
era cosciente e soffiava nel sonno,
quieto fra le braccia forti di Simeone.
A quel giusto era stato rivelato
che non avrebbe visto il morto buio,
prima d' avere visto il Figlio del Signore.
Il fatto era compiuto, E il giusto disse: "Ora,
serbando la parola che fu data,
lascia, Signore, che il tuo servo vada
in pace, poiché gli occhi miei il Fanciullo
hanno veduto: Egli e tuo rampollo.
sarà luce che illumina le genti infedeli,
e gloria del tuo popolo, Israele! ".
Simeone si tacque, Il silenzio su di loro
scese, e soltanto l'eco di quelle parole,
sfiorando le capriate, ancora un breve tempo,
frusciando, turbinò sotto le volte del tempio,
sopra le teste, come un uccello che ha la forza
di alzarsi in volo ma non di posarsi.
E si meravigliarono. Il silenzio
non era meno strano del discorso.
Maria turbata taceva. Quelle parole …
Ancora il vecchio a Maria si rivolse:
"Ed ecco ora serbato da te sia
per la caduta o la resurrezione
di molti, e come segno di contraddizione.
E quello stesso ferro, o Maria,
che la sua carne tormenterà, pure te
trapasserà nell'anima, affinché
questa ferita ti faccia vedere
dei cuori umani i segreti pensieri."
Disse e all'uscita s' avviò. Appena
curva Maria, tutta ingobbita Anna
seguivano in silenzio con lo sguardo
fra l'ombra delle colonne il vegliardo
che impiccioliva e di corpo e di senso.
E camminava quasi da quegli occhi sospinto,
per il tempio deserto, muto, smorto,
verso la macchia bianca della porta.
La sua andatura era rigida, da vecchio.
Simeone trattenne il passo un poco,
quando sentì risuonare la voce
di Anna: ma non lui chiamava, invece
rendeva grazie a Dio la profetessa.
S' avvicinava la porta, Fronte e veste
sfiorava il vento già, e scoppiò dentro l'udito
oltre il recinto il rumore della vita.
Egli andava a morire, Spalancò le porte,
e non sul chiasso della via, ma della morte
sul regno sordomuto, E andava Simeone
in uno spazio privo di spessore,
sentiva il tempo che perdeva suono.
L'immagine del Bambino con la luce intorno
al capino piumoso, sulla via della morte
dinanzi a se portava l'anima sua, come
torcia accesa, nella tenebra scura,
dove non era stato concesso a nessuno
fino ad allora di illuminarsi la strada.
Ardeva il lume e la via s' allargava.
Liturgicamente ricordiamo la presentazione di Gesù al Tempio, il 2 Febbraio. Tale festa è sorta a Gerusalemme, quale memoria storico-biografica di Gesù e Maria, nel IV sec., secolo, questo, che fu caratterizzato da una vasta attività e "creatività" liturgica.
La ricorrenza, fissata quaranta giorni dopo il 25 dicembre (giorno del S. Natale), in Oriente è detta anche, in greco, "Hypapante" "incontro") e sta ad indicare l'incontro "purificatore e trasfigurante" tra Gesù, l'Emmanuele, il "Dio con noi", ed il suo popolo.
Qui il termine "incontro" può, però, assumere molteplici significati, che, riuniti, meglio si prestano a presentare e rappresentare le variegate sfaccettature di questo capitale evento della vita terrena di Cristo e, di conseguenza, dell'intera storia della salvezza.
La Presentazione di Gesù al Tempio è, dunque: l'"incontro" di Cristo-uomo con Dio (incontro nel quale, Gesù, "rappresentante" dell'umanità, purifica l'intera comunità umana); l'"incontro" tra il nuovo Tempio che è Cristo e il Tempio antico di Gerusalemme (si attua così la purificazione e l'iniziale sostituzione del tempio materiale di Israele con il Tempio spirituale ed eterno costituito da Cristo); l'"incontro" tra l'antica e la nuova economia della salvezza (dove Cristo purifica e sostituisce l'economia "temporanea" vissuta dal popolo ebraico).
Possiamo così concludere che, se Gesù, nella sua carne, rappresenta Israele, il popolo da purificare, nel contempo, Egli è il Dio-Tempio, il Santo di Dio che purifica e santifica.
In questa poesia di Brodskij, poeta russo contemporaneo, ciò che immediatamente colpisce è lo "spessore", espresso nella triplice forma di "spessore" materiale, lessicale e spirituale.
Per accorgerci di questo, è sufficiente scorrere, analizzandola, la poesia.
Ci si "imbatte", innanzitutto, nello spessore architettonico del Tempio, presentato nella sua maestosa grandezza: i protagonisti sono "persi nella penombra", … "Il tempio li accerchiava, come impietrito bosco. Dagli sguardi degli uomini e dall'occhio del cielo nascondeva la volta, stendendo un'ombra spessa".
Nella descrizione della struttura architettonica del tempio, si rivela anche una decisa nota estetica: Brodskij ha uno spiccato gusto estetico: è amante del bello e, nel suo percorso creativo, cerca la "sicurezza interiore" che emana dalla bellezza.
Nella sua opera Fondamenta degli incurabili, il poeta così si esprime: "l'occhio è sempre in cerca di sicurezza. Questo spiega l'appetito dell'occhio per la bellezza, e l'esistenza stessa della bellezza è innocua, è sicura. Non minaccia di ucciderti, non ti fa soffrire. … Quando non riesce a trovare bellezza - alias sollievo - l'occhio ordina al corpo di crearla o, in alternativa, lo adatta a cogliere il lato buono della bruttezza... Perché la bellezza è là dove l'occhio riposa - nella bellezza l'occhio ha la sua pace - per parafrasare Dante. Il senso estetico è gemello dell'istinto di conservazione ed è più attendibile dell'etica. L'occhio - principale strumento dell'estetica - è assolutamente autonomo. Nella sua autonomia è inferiore soltanto a una lacrima".
La bellezza di cui tratta Brodskij, non è, però, il bello fine a se stesso ma è quel bello che, rimandando ad "un oltre" si carica di quel significato profondo che dà senso alla vita. (lo testimonia, ad esempio, l'accostamento fatto dal poeta, nel brano sopraccitato, dell'autonomia dell'occhio con la "preziosità" di una lacrima).
Tornando all'analisi del testo poetico, dopo la descrizione dell'imponenza "fisica" del Tempio, si evidenzia il peso, e quindi lo spessore semantico, delle parole di Simeone. Come ben evidenzia l'autore, quando il Vecchio profeta tace, "il silenzio su di loro scese, e soltanto l'eco di quelle parole, sfiorando le capriate ancora un breve tempo, frusciando, turbinò sotto le volte del Tempio", sopra le teste"… "Maria turbata taceva. Quelle parole…" ripete il poeta, e volutamente lascia la frase incompiuta a maggior sottolineatura della loro gravità.
Infine notevole è, certo, anche lo spessore morale dei protagonisti e, in questo testo particolare, di Simeone il cui "congedo dalla vita" è descritto da Brodskij con solennità di tono e intensità d'espressione finissime: fin dall'inizio della composizione poetica, Simeone è descritto con "braccia forti" atte quindi a sorreggere il Divino Bambino.
Egli, inoltre, è quel giusto cui "era stato rivelato che non avrebbe visto il morto buio, prima di aver visto il Figlio del Signore".
Simeone è, dunque, "un animo grande" e, come tale, giunto il "suo momento", sa accomiatarsi dalla vita con dignità e compostezza, in un silenzio colmo di significato, e ben consapevole di ciò che i suoi occhi mortali avevano appena contemplato.
Egli se ne va, - nota il poeta - ma non è solo: "l'immagine del Bambino con la luce intorno al capino piumoso, sulla via della morte dinanzi a se portava l'anima sua, come torcia accesa, nella tenebra scura, dove non era stato concesso a nessuno fino ad allora di illuminarsi la strada. Simeone, primo tra i "giusti" giunge nello sheol accompagnato e guidato dalla luce di Cristo: Ardeva il lume nella e la via s'allargava" termina il poeta, con profonda e finissima intuizione interiore, nel verso finale.
È l'arte, secondo Brodskij, espressa in tutte le sue forme (letteratura, pittura, scultura …) che diviene il mezzo per esternare, evidenziare ed anche creare la bellezza. L'arte abbellisce il mondo ed insegna, è "magistra vitae" poiché, come sottolinea il poeta, "se l'arte insegna qualcosa - in primo luogo all'artista - è proprio la dimensione privata della condizione umana".
La letteratura diviene così il mezzo che permette, allo scrittore come al lettore, di passare "attraverso lo spazio dell'esperienza alla velocità della pagina voltata". Quello tra autore e lettore è, per Brodskij, un rapporto autenticamente privato e personale, perché ogni volta che qualcuno legge un libro, o anche solo lo sfoglia, in quel preciso istante si compie "il miracolo della vita": il poeta che ha scritto quel libro, finalmente e realmente, vive. Per Brodskij scrivere vuol dire "vivere in maniera accelerata" e "quando si è provato una volta quest'accelerazione non si è più capaci di rinunciare all'avventura di ripetere quest'esperienza".
La letteratura, poi, abbiamo visto, diviene anche uno strumento di "liberazione interiore", sia per l'autore che per il lettore poiché - ritiene Brodskij - quando uno legge, e in particolare legge delle poesie, questo qualcuno diviene più libero, è in grado di lasciarsi sconfiggere meno facilmente e, soprattutto, quando la sconfitta è inevitabile, riesce ad accettarla poiché "un uomo libero quando è sconfitto non dà la colpa a nessuno".
Ma anche la Letteratura, come qualsiasi altra espressione artistica, riconosce Brodskij, risente del limite umano.
Simpatico ma anche molto eloquente è un brano di "Fuga da Bisanzio" (che riportiamo per intero, anche se relativamente lungo, poiché risulta particolarmente esplicativo del pensiero del poeta). In esso, parlando della memoria, il poeta scrive: "La memoria, credo, è un surrogato della coda che abbiamo perso per sempre nel felice processo dell'evoluzione… c'è qualcosa di palesemente atavico nel processo stesso di ricordare, se non altro perché questo processo non è mai lineare … si attorce, arretra, svicola da tutte le parti, proprio come fa una coda; così dovrebbe fare un narratore, anche a rischio di riuscire sconclusionato e noioso. La noia, in fondo, è l'ingrediente più comune dell'esistenza, Ma anche se uno scrittore è perfettamente attrezzato per imitare sulla carta le più sottili fluttuazioni della mente, lo sforzo di riprodurre la coda in tutto il suo splendore elicoidale è condannato al fallimento. … La prospettiva degli anni spiana le cose fino a cancellarle del tutto. Nulla può riportarle indietro, nemmeno le parole scritte a mano, con le volute e gli svolazzi delle loro lettere. Ma se le parole stampate fossero soltanto un segno di oblio, tutto bene. La triste verità è che le parole non colgono neanche la realtà. Naturalmente la memoria di una civiltà non può, forse non deve, diventare memoria di un'altra. Ma quando il linguaggio non riesce a riprodurre le realtà negative di un'altra cultura, vengono fuori tautologie della peggior specie. Ci siamo lasciati intrappolare dalle nostre abitudini concettuali e analitiche - per esempio, dalla consuetudine di usare il linguaggio per sezionare l'esperienza, privando così la nostra mente dei vantaggi dell'intuizione. Perché, con tutta la sua bellezza, un concetto ben definito comporta sempre una contrazione del significato, una delimitazione che recide via tutte le frange. Ma proprio le frange contano più di tutto nel mondo fenomenico, perché s'intrecciano tra loro".
Queste parole di Brodskij ci forniscono lo spunto per un ulteriore considerazione che qui proponiamo quale conclusione di questa nostra riflessione.
Il linguaggio, la poesia, la letteratura, e tutta l'arte in genere, se viste solo come espressione dell'animo umano, restano "tronche", prive di quella luce e di senso profondo che dà significato alle cose e, di conseguenza, non riescono a rendere "fedelmente" la realtà. Solo se l'arte si apre al trascendente giunge al suo compimento, a poter cogliere il senso autentico che le pieghe della quotidianità custodiscono e trasmettono.
L'espressione artistica, dunque, solo se vista in quest'ottica, diviene il tramite attraverso il quale, il divino imprime la sua orma nell'umano e solo così, l'uomo, portando come Simeone "L'immagine del Bambino… dinanzi a se come torcia accesa sulla via" del proprio "oggi", potrà usufruire del tramite artistico come di un mezzo idoneo per aprirsi a quell'Oltre che ha il suo fine in Dio. Parafrasando Brodskij, solo "se il Lume arde, la via s'allarga".
(Figura 1: Vouet Simon, Presentazione di Gesù, Parigi, Louvre)