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Testimoni di Misericordia

Autore:
Peraboni, sr. Maristella
Fonte:
CulturaCattolica.it ©
Cercai l'amore, di Heinrich Heine



Illuso e folle, un dì t'abbandonai,
volevo andare fino in capo al mondo
tentando se trovassi mai l'amore
per abbracciarlo con tutto il mio amore.


Cercai l'amore per tutte le strade,
tesi le braccia ad ogni porta chiusa
mendicando elemosina d'amore,
ma non ebbi che beffe, odio, disprezzo.


E sempre erravo, in cerca dell'amore,
in cerca dell'amore e sempre invano,
finché tornai a casa triste e stanco.
Ed ecco, mi venisti incontro, e vidi
Brillare nei tuoi occhi il dolce amore
Che così a lungo ero andato io cercando.



Il poeta, in questo testo, ci apre il suo cuore e ci rende partecipi dei sentimenti intimi che vi albergano, dopo l'esperienza da lui vissuta. La sua è quasi (o forse, senza quasi…) una confessione.
Egli si sente come il "figlio prodigo" della parabola lucana (Lc. 15,11-32) il quale, dopo essersene volontariamente e sprezzantemente allontanato, torna a casa e trova lì, e solo lì, ciò che "tanto a lungo" era "andato cercando" andandosene "fino in capo al mondo".
Fin dal principio, pensando al suo gesto passato, Heine riconosce di essersi comportato da "Illuso e folle". In questa espressione possiamo scorgervi sia la coscienza da parte dell'autore/"figlio prodigo", di aver sbagliato, sia il desiderio, nato in lui, di tornare sui suoi passi.
"Volevo andare fino in capo al mondo - spiega, ancora confuso, e aggiunge, quasi a mo' di scusa, forse per tentare di "alleggerire" la gravità di quel "t'abbandonai" che suona pesante come un macigno - tentando se trovassi mai l'amore.
Il nostro poeta era, dunque, stato mosso da un alto ideale, era partito in cerca dell'amore e lo aveva fatto "per abbracciarlo con tutto il mio amore" come egli stesso specifica. Ma questa sua "sete d'amore", che egli sente fin nel più profondo di se stesso, sbaglia - per così dire - "mira", poiché si fissa su "sogni fallaci" e "impossibili chimere" che "amore" non sono: è la ricerca, tanto diffusa anche ai nostri giorni, di quell'Eldorado che non esiste e la cui vana ricerca, genera solo disillusione e tristezza, un profondo senso di insoddisfazione e di amarezza interiore.
Questa situazione, che il poeta ci presenta, non è solo la "descrizione oggettiva" del dramma vissuto da lui e da qualche altro "figlio" nei confronti dei genitori,ma è, soprattutto, una metafora "universale" di ciò che capita a ciascuno di noi, nei confronti di Dio, quando pecchiamo.

Significativo è anche quel "se trovassi". È quasi "un'ipotesi", un desiderio già velato dal dubbio fin nel suo sorgere. "Se", "casomai", "chissà che" …e la lista potrebbe allungarsi all'infinito. Tutto è posto come ipotesi, non v'è certezza alcuna: siamo nel mondo del "provvisorio" dove regna la filosofia del "carpe diem" di oraziana memoria.
Il poeta, in questa sua lirica, rivive, allora, ma con gli occhi "disincantati" del suo oggi, l'illusione di quel giorno in cui, "illuso e folle" abbandonò la casa avita per cercare l'amore (che pensava di trovare chissà dove) disposto ad andare, pur di trovarlo, "fino in capo al mondo" Lo "spunto di partenza", che aveva spinto il poeta, era, di per sé, ammirabile - nulla da eccepire -.
Egli cercava l'amore: il più nobile e nobilitante dei sentimenti ("al cor gentil rempaire sempre amore", come scriveva già Guinizzelli nel XIII sec); ma, come dicevamo poc'anzi, è ciò che è "identificato" come "amore" che è "sbagliato".
Che cos'è l'amore? È questa la domanda di fondo che bisogna farsi prima di andarlo a cercare. Il poeta fallisce nella sua ricerca poiché, probabilmente, ha "rivestito" con l'appellativo di "amore" ciò che, in realtà, amore non è o, per lo meno, non è quell'Amore con la A maiuscola, totale e totalizzante, che l'autore cercava, quell'Amore che "sazia il cuore e riempie la vita".
E allora il poeta, dopo la cocente delusione di una lunga e vana ricerca, confessa: "Cercai l'amore per tutte le strade". Ha, cioè, cercato ovunque, ha percorso "tutte le strade", non ha lasciato nulla di intentato e ciò facendo - soggiunge - "tesi le braccia". Egli ha cercato, chiesto, implorato, …"mendicando elemosina d'amore". Ma invano: "ogni porta" è rimasta "chiusa", serrata, insensibile al suo spasmodico bisogno d'amore.
"Non ebbi - ammette infatti - che beffe, odio, disprezzo". Torna alla mente la "saggezza biblica" che ci rammenta che "anche se uno desse tutti beni della sua casa in cambio dell'amore, non ne avrebbe che dispregio" (Ct. 8,7).
Ma il poeta, almeno inizialmente, non si dà per vinto, persevera, è nell'errore, forse anche lo intuisce, (sempre erravo, in cerca dell'amore!) ma non demorde, prosegue nella sua ricerca, finché non si rende definitivamente conto che agisce "in cerca dell'amore", ma "sempre invano".
Finalmente, infine, il poeta - ci si passi il termine - "rinsavisce". Ripensa alla sua vita precedente e, soprattutto ripensa al padre. Comprende quanto egli gli abbia sempre voluto bene anche se lui, di questo, forse, non se ne era mai reso conto prima. Per questo "riscopre" il padre, lo vede con occhi nuovi. Egli, il poeta, lo aveva abbandonato per cercare l'amore, ma ora - si rende conto - l'unico amore che gli rimane, che dura nel tempo e resiste nonostante tutto, è proprio l'amore paterno. Il cuore dell'autore sobbalza e diviene sede di un "tumultuoso susseguirsi di sentimenti contrastanti": l'anelito verso il padre e il conseguente desiderio del ritorno, la coscienza dell'errore commesso e la naturale vergogna che ne consegue… Tutto si mescola in lui fino alla sofferta decisione finale.
Si apre al poeta la via del ritorno ma non è un "sentiero" facile. Egli scopre di amare profondamente il padre ma si rende anche conto che "amarLo - come scrive mirabilmente Rilke ne "i quaderni di Malte" - era diventato, adesso, Terribilmente difficile. Egli (il figliol prodigo) sentiva che Uno solo sarebbe stato da tanto". E così "notti vennero, in cui credé di lanciarsi incontro a Lui, traverso il vuoto". Il figlio/poeta "sogna" allora, il ritorno, in cuor suo lo desidera ardentemente, ci pensa continuamente, vi aspira, tutto il suo essere si protende verso tale meta,… solo l'amor proprio e la vergogna oppongono ancora qualche pallida resistenza. Ma ormai il cuore "freme" e spinge in quella direzione. Ecco che, allora, nel suo animo si susseguono "ore piene di rivelazioni, durante le quali si sentiva forte, abbastanza per sommergersi in grembo alla terra e per sollevarla, quindi, agitata, sui flutti procellosi del suo cuore".
Perciò il figlio torna e, come lui anche il poeta, rientra a casa seppure, forse, ancora un po' "dubbioso" su cosa accadrà quando varcherà la soglia della casa paterna e su ciò che sarà "il suo domani". E così, "tornai a casa - confessa il poeta stesso - triste e stanco".
Nel cuore dell'autore, in un primo momento, ritornare a casa significa il "crollo" di ogni ideale. Sembra la fine di tutto e invece - come scoprirà lui stesso "a sue spese" ma anche con sua "somma ed incantata meraviglia" - non è che l'inizio. "Ed ecco, - gioisce, infatti, pieno di stupore il nostro autore - mi venisti incontro, e - meraviglia delle meraviglie, esulta il poeta - vidi brillare nei tuoi occhi il dolce amore che così a lungo ero andato io cercando".
Il poeta, e noi con lui, ritroviamo il "Padre", sperimentiamo il perdono, scopriamo - possiamo dire così - il lato "materno" di Dio dato che, come diceva Papa Luciani, "Noi siamo oggetto,da parte di Dio di un amore intramontabile. Sappiamo che ha sempre gli occhi aperti su di noi, anche quando sembra ci sia notte. (Dio) è papà ma ancor di più è Madre" e si sa, aggiungerebbe Honorè de Balzac, "il cuore di una madre è un abisso, in fondo al quale si trova sempre un perdono".

(Figura 1: Chagall, Il ritorno del figliol prodigo)

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