Il calendario del 29 Maggio
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Il calendario del 29 Maggio

Fonte:
CulturaCattolica.it

Eventi

▪ 1176 - Battaglia di Legnano, nella quale la Lega Lombarda sconfigge Federico Barbarossa.

▪ 1414 - Concilio di Costanza.

▪ 1453 - Le armate turche ottomane del Sultano Mehmed II prendono Costantinopoli dopo un assedio di due mesi, ponendo così fine al millenario Impero Romano d'Oriente.

▪ 1660 - Restaurazione Inglese: Carlo II viene riportato sul trono d'Inghilterra

▪ 1677 - Il Trattato di Middle Plantation stabilisce la pace tra i coloni della Virginia e i locali amerindi

▪ 1727 - Pietro II diventa Zar di Russia

▪ 1733 - A Quebec City i canadesi difendono il diritto ad avere schiavi pellerossa

▪ 1790 - Il Rhode Island diventa l'ultima delle 13 colonie originali degli Stati Uniti a ratificare la costituzione e viene ammesso come tredicesimo stato

▪ 1848

  1. - Battaglia di Curtatone e Montanara
  2. - Il Wisconsin viene ammesso come trentesimo stato degli USA

▪ 1864 - L'Imperatore Massimiliano d'Asburgo arriva in Messico per la prima volta

▪ 1886 - Il farmacista John Pemberton inizia a pubblicizzare la Coca-Cola

▪ 1903 - Alexander Obrenovic, re di Serbia, viene assassinato a Belgrado dall'organizzazione della Mano Nera (Crna Ruka)

▪ 1914 - Il transatlantico Empress of Ireland affonda nel Golfo di San Lorenzo; 1.024 le vittime

▪ 1918 - Russia: un decreto istituisce il servizio militare obbligatorio

▪ 1919 - L'osservazione della posizione spostata delle stelle durante un eclissi solare conferma la teoria della relatività di Albert Einstein
Dopo la guerra, Eddington partì alla volta di São Tomé e Príncipe dove il 29 maggio 1919 sarebbe stata visibile un'eclissi totale di sole. Secondo la teoria della relatività generale, una stella visibile in prossimità del Sole avrebbe dovuto apparire in una posizione leggermente più lontana verso l'esterno, poiché la luce avrebbe dovuto essere leggermente deviata a causa dell'attrazione gravitazionale esercitata dalla massa solare.
Durante l'eclissi, Eddington fece numerose fotografie delle regioni situate sul bordo del sole. Le condizioni meteorologiche erano cattive e le immagini fotografiche furono di pessima qualità e di difficile interpretazione.
Nel suo quaderno di appunti Eddington comunque annotò:
«... ho misurato una macchia che forniva dei risultati in accordo con Einstein.»
Questo risultato, la cui precisione fu controversa e messa in dubbio, fu comunque la prima conferma della teoria della relatività.

* 1936 - Il pugile tedesco Max Schmeling batte, per fuori combattimento alla dodicesima ripresa, a New York l'americano Joe Louis

▪ 1940 - Fausto Coppi vince, con oltre 4 minuti di vantaggio, la tappa del Giro d'Italia Firenze - Modena e conquista la sua prima maglia rosa

▪ 1950 - La St. Roch, prima nave a circumnavigare il Nord America, arriva ad Halifax in Nuova Scozia

▪ 1953 - Nepal: Edmund Hillary e Tenzing Norgay conquistano l'Everest

▪ 1954 - Roma: Canonizzazione di papa Pio X

* 1967 - Nigeria: - a seguito della dichiarazione di indipendenza, scoppia la guerra del Biafra. La guerra civile nigeriana, nota anche come guerra del Biafra, ebbe luogo fra il 6 luglio 1967 e il 13 gennaio 1970, in seguito al tentativo di secessione delle province sudorientali della Nigeria di etnia Igbo (o Ibo), autoproclamatesi Repubblica del Biafra. L'azione militare del governo centrale nigeriano portò la popolazione di intere regioni a essere decimata dalla fame, e accuse di genocidio furono mosse da esponenti Igbo alla Nigeria.
L'organizzazione non governativa Medici senza frontiere venne fondata nel 1971 da Bernard Kouchner e altri medici francesi proprio in seguito alla loro drammatica esperienza in Biafra.

* 1985 - Strage dell'Heysel: A Bruxelles, Belgio, 39 persone muoiono e centinaia rimangono ferite, durante scontri scoppiati nella finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool.

▪ 2000 - Indonesia: con l'inizio delle investigazioni per il reato di corruzione il presidente Suharto viene messo agli arresti domiciliari.

▪ 2004 - Attacco di un commando di al Qaeda a un centro petrolifero iracheno entro il 30 giugno.

▪ 2005 - Gli elettori francesi bocciano il referendum sul Trattato per una Costituzione per l'Europa.Anniversari

Anniversari

▪ 1453 - Costantino XI Paleologo Dragases (in greco: Κωνσταντίνος ΙΑ’ Δραγάσης Παλαιολόγος, Kōnstantìnos hendèkatos – XI – Dragàses Palaiològos; Costantinopoli, 8 febbraio 1405 – Costantinopoli, 29 maggio 1453) è stato un imperatore bizantino.
Fu l'ultimo sovrano (βασιλεύς) dell'Impero romano d'Oriente. Regnò dal 6 gennaio 1449 fino alla morte, avvenuta durante la difesa di Costantinopoli, posta sotto assedio da parte degli Ottomani che avrebbero poi conquistato la città, ponendo così fine al millenario impero bizantino.
La sua morte in battaglia assurse a simbolo della lotta della cristianità contro i turchi e, nel XIX secolo, dell'indipendentismo greco. Viene considerato santo e martire dalla Chiesa ortodossa.
[….]
Il problema ecclesiastico
La situazione religiosa a Costantinopoli era molto confusa. Con il Concilio di Ferrara-Firenze cui aveva partecipato il fratello Giovanni, era stata decisa l'unione della Chiesa cattolica e della Chiesa ortodossa: l'impero bizantino sarebbe così tornato sotto la potestà spirituale del papa; la netta maggioranza dei bizantini, tuttavia, era contraria e anche gli altri stati che si erano convertiti all'ortodossia si rifiutarono di accettare le decisioni di Costantinopoli. Sul trono patriarcale sedeva Gregorio III, patriarca di rito latino e odiato da quasi tutti i bizantini poiché considerato un traditore. Gregorio III, che aveva fatto il possibile per far unire le due Chiese fu per questo, in seguito, esiliato a Roma.
Costantino XI, vista la precaria situazione dell'impero, non poteva far altro che appoggiare l'unione tra le due Chiese, visto che i turchi Ottomani erano ormai alle porte di Costantinopoli e, per sperare di salvare la sua capitale, aveva assolutamente bisogno dell'aiuto dei latini: ciò sarebbe stato possibile unicamente tramite l'unione delle due Chiese. La sua coraggiosa posizione però fu pagata a caro prezzo: venendogli infatti a mancare l'appoggio dei sudditi, contrari all'unione con la Chiesa di Roma, non poté mai essere incoronato ufficialmente basileus. Questo però evitò anche lo scoppio di una guerra civile tra la minoranza di coloro che appoggiavano i latini e i sostenitori della tradizione ortodossa.

La costruzione di una nuova fortezza ottomana sul Bosforo
Appena eletto, Costantino XI tentò di imporre dazi sulle merci d'importazione nel tentativo di risollevare le quasi vuote casse imperiali, suscitando però le proteste della repubblica di Venezia, che costrinse l'imperatore, in breve tempo, ad abolire le nuove imposte. La decisione di cedere alle proteste veneziane fu dovuta principalmente al fatto che la minaccia turca si stava facendo sempre più incalzante, soprattutto dopo la morte del sultano Murad II e la salita al trono del giovane Maometto II. Nonostante questi avesse rinnovato il trattato di pace con l'impero bizantino, già siglato dal padre, la sua politica verso Costantinopoli si manteneva ambigua.
Costantino, non fidandosi di Maometto II, inviò quindi l'ambasciatore Leontari Briennio a Venezia, Ferrara, Napoli e Roma per chiedere appoggio economico ed eventualmente aiuti militari. Le risposte però rimasero vaghe, con promesse che presto furono dimenticate. Il papa Niccolò V promise di impegnarsi nella salvaguardia di Costantinopoli ma richiese quale contropartita il reintegro del patriarca Gregorio III e l'accelerazione del processo di riunificazione delle due Chiese, reso assai difficile dalla forte opposizione dei nobili anti-unionisti e del popolo.
I sospetti di Costantino sulle vere intenzioni del nuovo sultano furono confermati quando, nell'aprile del 1451, gli Ottomani, per ordine di Maometto II, iniziarono a costruire una nuova fortezza a pochi chilometri di distanza da Costantinopoli.
Già il sultano Bayazet I aveva fatto edificare nel XIV secolo una fortificazione sul lato opposto del Bosforo. Attraverso le due fortezze Maometto II avrebbe potuto dominare interamente lo stretto. Oltre a ciò, il sultano si sarebbe trovato in ottima posizione per attaccare la capitale bizantina. Dopo la costruzione della fortezza, gli Ottomani si diedero al saccheggio sistematico delle zone limitrofe, che culminò col massacro nel villaggio bizantino di Epibation, successivo alla rivolta delle popolazioni locali Il terrore si diffuse a Costantinopoli. I Bizantini protestarono con gli Ottomani e alle loro voci si aggiunsero anche quelle dei Genovesi della città di Pera.
A questa ennesima provocazione Costantino XI rispose con l'ordine d'arresto di tutti i Turchi risiedenti in città e con la chiusura delle porte di Costantinopoli.
Quando iniziarono i lavori, l'imperatore mandò subito due successive ambascerie cariche di doni, per indurre il sultano a rispettare il trattato vigente e l'integrità dei piccoli villaggi bizantini che si trovavano sulle coste del Bosforo.[70] Il sultano però, respinte le ambascerie, oppose un secco rifiuto. I rappresentanti di una terza ambasceria, inviata due settimane più tardi da Costantino, furono giustiziati per ordine del sultano. Il 31 agosto del 1451 la costruzione della fortezza ottomana, chiamata Boghaz-Kesen (cioè "tagliatore dello stretto" od anche "del collo" - ancor oggi esistente col nome di Rumeli Hisari, ovvero "Fortezza di Rumelia"), fu completata. Ora le due fortezze dominavano lo stretto e rendevano possibile a Maometto II il controllo del passaggio di ogni nave e l'eventuale arrivo di forze di terra lungo la costa.
Costruita la fortezza, Maometto II cominciò a ordinare perquisizioni sistematiche su tutte le navi transitanti per il Bosforo, a qualsiasi nazionalità appartenessero. Nello stesso tempo lanciò duri attacchi alle città ancora bizantine sul mar Nero, con l'obiettivo di isolare il Peloponneso, affidato ai fratelli dell'imperatore Tommaso e Demetrio. Il 26 novembre dello stesso anno, un vascello veneziano proveniente dal Mar Nero che, fidandosi della neutralità della repubblica, non rispettò la disposizione, fu distrutto a cannonate. Dei trenta superstiti che raggiunsero a nuoto la riva, il capitano Antonio Rizzo fu portato a Didymoteicho e impalato, mentre gli altri marinai furono segati in due. Con la politica repressiva adottata dal sultano, l'Occidente prese coscienza del reale pericolo costituito dal sultano.

La riunificazione delle due Chiese
Vista la gravità della situazione, Costantino moltiplicò le richieste di aiuto all'Europa occidentale sollecitando l'arrivo da Roma del cardinale Isidoro, previsto ad ottobre, per trattare sulla riunificazione delle due Chiese. Il papa acconsentì e Isidoro partì da Roma il 20 maggio del 1452 portando con sé una truppa di 200 arcieri napoletani, che furono subito messi a disposizione dell'imperatore.
Oltre al papa, fra tutte le potenze occidentali solo il Regno di Napoli e le due repubbliche di Venezia e di Genova, e principalmente per motivi molto poco ideali, prestarono aiuto reale all'imperatore bizantino. Gli interessi veneziani e genovesi infatti sarebbero stati toccati profondamente dall'assalto dei Turchi contro la capitale bizantina. Se fosse caduta la "Roma d'Oriente", sarebbero andati perduti non soltanto beni e immobili di straordinario valore, che le due repubbliche possedevano a Costantinopoli, ma anche le ricche colonie del Mar Nero: tagliate dai collegamenti con la madrepatria, esse sarebbero divenute ben presto preda degli Ottomani. I Genovesi e la loro colonia di Chios mandarono materiale da guerra ed un'eccellente schiera di guerrieri, che si dedicarono con tutta l'anima all'opera di difesa delle mura di Costantinopoli. Venezia invece, impegnata dalla guerra contro il Ducato di Milano, usò molta diplomazia: ricevette gli ambasciatori bizantini, fece loro delle promesse, ma poi si limitò a inviare a Costantinopoli solo alcune navi.
Intanto Isidoro aveva portato a compimento la missione affidatagli da papa Niccolò V e il 12 dicembre del 1452[ (un venerdì), nella basilica di Santa Sofia, proclamò solennemente l'unione della Chiesa d'Oriente con la Chiesa d'Occidente alla presenza di Costantino. Fu così decretata l'unione delle Chiese, già decisa al Concilio di Ferrara dal fratello Giovanni VIII. Ma la festa dell'unione rimase sostanzialmente limitata ai circoli di Corte: non ci furono festeggiamenti, le chiese di rito latino restarono deserte, compresa la stessa Santa Sofia. Anche coloro che erano più strettamente legati al basileus preferirono assistere a funzioni religiose svolte secondo la liturgia ortodossa.
La città era agitata dalle proteste popolari e dalla generale preoccupazione di un imminente attacco degli Ottomani. Costantino ordinò di rafforzare le mura e di bloccare nei porti le navi occidentali, con l'intento di indurre i Veneziani presenti a sollecitare l'aiuto della madrepatria. L'inverno passò senza fatti di guerra; da una parte e dall'altra si fecero con tutte le forze i preparativi per l'anno seguente, che avrebbe dovuto portare allo scontro decisivo.

L'assedio di Costantinopoli
Negli ultimi anni la marina ottomana aveva conosciuto un'impressionante espansione. Costantinopoli, che era praticamente imprendibile per via terrestre a causa delle potentissime mura teodosiane, poteva però essere conquistata per fame, attraverso un ferreo blocco marittimo.
Nel marzo del 1453, a Gallipoli, un villaggio sullo stretto dei Dardanelli, si radunò una enorme flotta turca, forte di circa 250 imbarcazioni, che si attestò davanti alle mura marittime di Costantinopoli. Nel contempo una grande armata terrestre, di circa 100.000 uomini - di cui 60.000 bashi-bazuk - entrò in azione in Tracia, attestandosi davanti alle mura teodosiane di Costantinopoli.
Maometto II aveva anche un'arma "segreta" di cui andava fortemente orgoglioso: un cannone enorme, fabbricato appositamente per lui da Urbano di Transilvania, nel gennaio del 1453. Poteva sparare proiettili di sei quintali a una distanza di un chilometro e mezzo ogni novanta minuti.
Ci vollero duecento uomini per trasportare la bombarda, trainata fino a Costantinopoli da 70 coppie di buoi.
Il 5 aprile del 1453 Maometto II, tramite un messaggero, intimò a Costantino di arrendersi. Se lo avesse fatto, avrebbe avuto salva la vita e sarebbe diventato governatore, risparmiando dai saccheggi e dall'eccidio anche tutta la popolazione di Costantinopoli. Costantino a ciò rispose:
«Darti la città non è decisione mia né di alcuno dei suoi abitanti; abbiamo infatti deciso di nostra spontanea volontà di combattere e non risparmieremo la vita.»
Nelle prime ore di venerdì 6 aprile del 1453 il sultano fece aprire il fuoco su Costantinopoli. I bizantini avevano già previsto questa mossa e tutti i residenti in città, compresa la parte di popolazione solitamente estranea agli armamenti, come donne, anziani e bambini, avevano già iniziato a lavorare per rinforzare le mura cittadine.
Costantino fece rinforzare inoltre anche le mura marittime che si affacciavano sul mar di Marmara e sul Bosforo, lo stretto che mette in comunicazione il Mar Nero con il Mare Egeo.
Il ricordo della quarta crociata non si era ancora cancellato: i crociati avevano infatti espugnato la città dal mare, evidenziando così un suo punto debole. I rapporti fra Bizantini e Latini continuavano ad esser tesi. Pochi giorni prima era stata festeggiata la Pasqua, ma anche per questa importante ricorrenza Santa Sofia era rimasta deserta: la riunificazione delle due Chiese sembrava non volesse assolutamente essere accettata dalla popolazione.
Nel febbraio del 1453, il senato veneziano, memore della morte di Antonio Rizzo, decise di mandare in aiuto a Costantinopoli due galere con quattrocento uomini l'una e con la promessa di inviarne altre quindici.[86] Lodevole fu il comportamento del governatore del quartiere veneziano in città, Girolamo Minotto: egli promise infatti tutto l'aiuto che gli fosse stato possibile dare e assicurò che nessuna nave veneziana sarebbe salpata senza il suo consenso.
A Costantinopoli erano inoltre ancorate alcune imbarcazioni genovesi provenienti sia da Galata (insediamento genovese situato dall'altra parte del Corno d'Oro) sia dall'Italia, inviate da papa Niccolò V e dalla Repubblica di Genova.
Fra queste ultime vi erano anche due galere con settecento volontari pronti alla lotta, che avevano abbracciato la causa bizantina ed erano pronti a difenderla con la propria vita. Questi uomini d'arme facevano parte dell'esercito privato di Giovanni Giustiniani Longo, appartenente ad una delle più potenti famiglie di Genova ed esperto in poliorcetica (πολιορκητικά). Papa Niccolò V promise inoltre di inviare tre navi cariche di uomini e viveri.
In totale Costantino poteva disporre di dieci navi bizantine, otto veneziane, cinque genovesi, una proveniente da Ancona, una catalana ed una provenzale, per un totale di ventisei navi: una cifra ben modesta se paragonata alla potente flotta ottomana.
Ancor più preoccupante era il limitato numero di soldati a sua disposizione: 5.000 bizantini e poco più di 2.000 latini, per un totale di 7.000 uomini che avrebbero dovuto difendere ventidue chilometri di mura da un esercito di 160.000 Turchi.
La mattina del 6 aprile tutti i cristiani erano ai propri posti di combattimento. Costantino e Giovanni difendevano la parte più vulnerabile delle mura, dove probabilmente si sarebbe riversato l'attacco musulmano, ossia la porta di San Romano. Le mura marittime erano quasi deserte: i pochi soldati presenti erano adibiti per lo più a compiti di vedetta e di controllo degli spostamenti delle navi ottomane. Il sultano fece bombardare le mura terrestri di Costantinopoli con una violenza sconosciuta fino a quel tempo nella storia degli assedi.
Al termine di quella prima giornata gli Ottomani avevano demolito buona parte delle mura nei pressi della porta Carsio e tentato ripetutamente di penetrare in città attraverso le brecce che si erano create, ma senza successo. Nella notte, mentre i musulmani riposavano nei propri accampamenti, la popolazione era riuscita a riparare le brecce. Il sultano, scoraggiato, decise allora di sospendere l'assedio e di attendere l'arrivo di rinforzi.
Questi arrivarono l'11 aprile in numero ingente, per un totale di 60.000 uomini aggiuntivi alle forze già spiegate. Fu ripreso il fuoco, che durò ininterrottamente per quarantotto giorni e che provocò crolli continui di mura in due punti diversi nei pressi del fiume Licino. Le brecce che si creavano venivano però sempre riparate dai cristiani nel corso della notte.
In quei giorni arrivarono dallo stretto dei Dardanelli le tre navi genovesi promesse dal Papa, accompagnate da una nave da trasporto carica di grano ed inviata da Alfonso V d'Aragona. Maometto II aveva commesso un errore: aveva lasciato sguarnito lo stretto dei Dardanelli e le quattro navi latine erano entrate nel mar di Marmara indisturbate. Era la mattina del 20 aprile. L'ammiraglio ottomano, Solimano Baltoğlu, non riuscì ad impedire che le navi raggiungessero la città.
Dopo ciò, il sultano escogitò un metodo per far entrare le sue navi nel Corno d'Oro, cioè sotto la città. Chiese ai suoi ingegneri di progettare una strada dietro Galata, che dal mar di Marmara avrebbe raggiunto l'attuale piazza Taksim per poi sboccare nel Corno d'oro. I fabbri ottomani iniziarono a costruire subito ruote di ferro e binari di metallo, mentre i carpentieri si impegnarono a fabbricare intelaiature di legno tanto grandi da poter racchiudere la chiglia di una nave di media grandezza. Era un'opera colossale, pagata dalle ricche casse ottomane.
Quando i bizantini videro le navi ottomane nel Corno d'oro rimasero sbalorditi. Ora la situazione si era aggravata: il porto non era più sicuro e nemmeno le mura, sottoposte ai bombardamenti, erano più difendibili, essendo malconce in più punti. Nei primi giorni di maggio, Costantino aveva ormai capito che la fine era vicina: i viveri scarseggiavano e le navi promesse da Venezia non giungevano.
Qualche speranza però ancora vi era: da Venezia era partita quella spedizione che era stata promessa. Il 3 maggio, un po' prima di mezzanotte, un brigantino battente bandiera turca e con un equipaggio di dodici volontari travestiti da Ottomani uscì silenziosamente dal mar di Marmara.
La notte del 23 maggio fece ritorno il brigantino. Il capitano della spedizione chiese di parlare con urgenza con Costantino XI e con Girolamo Minotto e riferì di aver setacciato per tre settimane il mar Egeo, ma di non aver trovato traccia della spedizione promessa dai Veneziani. Poi il capitano disse che l'equipaggio si era riunito e che un membro aveva proposto di tornare a Venezia, ma fu messo a tacere. Gli altri undici, invece, avrebbero voluto tornare a riferire all'imperatore ciò che era stato scoperto. Costantino allora volle ringraziare i marinai uno a uno, ma con la voce soffocata dalle lacrime, anche i suoi più fidati avevano le lacrime che scendevano sul loro viso.
Dopo questi fatti, i ministri e i senatori bizantini scongiurarono l'imperatore di abbandonare la capitale e mettersi in salvo. Ma l'imperatore con determinazione rispose:
« So che avrei vantaggi se abbandonassi la città, ma via non posso andare... Non vi lascerò mai. Ho deciso di morire con voi! »
Sabato 26 maggio Maometto II riunì il consiglio di guerra e annunciò che l'attacco finale sarebbe stato sferrato il giorno 29 maggio, preceduto da un giorno di riposo e di preghiera (28 maggio). Quando il giorno di pausa giunse, tutto tacque e gli Ottomani iniziarono a pregare e a riposarsi in vista del giorno successivo, quando avrebbero scatenato la battaglia decisiva. Mentre i suoi soldati dormivano, il sultano fece un lungo giro di ispezione, tornò tardi al campo e solo successivamente andò a dormire.
La sera del 28 maggio Costantino XI e Giustiniani Longo si misero a presidio della porta di S. Romano. Nell'occasione il basileus tenne un discorso ai difensori che è giunto fino a noi in questa forma, sicuramente enfatizzata nel corso dei secoli:
«Miei signori, miei fratelli, miei figli, l'ultimo onore dei Cristiani è nelle nostre mani.»
In quell'ultimo lunedì della Costantinopoli bizantina, furono dimenticate tutte le liti e i contrasti tra Bizantini e Latini. Per l'occasione si svolse una lunghissima processione spontanea che si snodò in ogni angolo di Costantinopoli. I fedeli attraversarono le vie della capitale con le icone più adorate.
L'imperatore riunì per l'ultima volta, davanti a Santa Sofia i suoi comandanti, e disse a loro:
«So che l'ora è giunta, che il nemico della nostra fede ci minaccia con ogni mezzo... Affido a voi, al vostro valore, questa splendida e celebre città, patria nostra, regina d'ogni altra.»
Poi Costantino lì abbracciò tutti, dicendo poi:
«Vi chiedo scusa per ogni eventuale sgarbo, che io ho compiuto verso di voi senza volerlo.»
Dopo di che il basileus si voltò verso la folla adunata davanti a Santa Sofia, e disse:
«Ci sono quattro grandi cause per cui vale la pena di morire: la fede, la patria, la famiglia e il basileus. Ora voi dovete essere pronti a sacrificare la propria vita per queste cose, come d'altronde anch'io sono pronto al sacrificio della mia stessa vita.»
Poi si rivolse ai Latini e li ringraziò per tutto ciò che avevano fatto per aiutare Costantinopoli, dicendo:
«Da oggi Latini e Romani sono lo stesso popolo, uniti in Dio, e con l'aiuto di Dio salveremo Costantinopoli.» (Costantino XI Paleologo)
Anche le differenze religiose furono dimenticate: tutta la popolazione di Costantinopoli si riversò nella chiesa di Santa Sofia, simbolo da quasi un millennio del cristianesimo d'Oriente.
Fu l'ultima liturgia cristiana celebrata nella cattedrale e, probabilmente, la più commovente di tutta la storia dell'impero bizantino. Poi, a liturgia non ancora finita, irruppe in chiesa Costantino che si inginocchiò e chiese perdono dei suoi peccati. L'imperatore ricevette l'eucarestia.
Tornato nella sua reggia, il palazzo delle Blacherne, salutò per l'ultima volta i familiari e la servitù e, verso mezzanotte, ispezionò a cavallo tutte le mura di terra. Era accompagnato dal suo migliore amico, il fedele Giorgio Sfranze.
Martedì 29 maggio del 1453 fu l'ultimo giorno di vita della Costantinopoli "romana". All'una e mezza di notte Maometto II diede l'ordine di attaccare e le campane delle chiese presero a suonare per avvisare la città che la battaglia finale era iniziata.
Maometto II sapeva che se voleva vincere non avrebbe dovuto concedere tregua ai cristiani, in modo tale da evitare di concedere loro occasione e possibilità di potersi riorganizzare. I primi soldati che il sultano mandò all'attacco furono i bashi-bazuk, male armati e peggio addestrati, sospinti a colpi di nerbo di bue e di mazze di ferro.
Per due ore e mezza i bashi-bazuk continuarono ininterrottamente ad attaccare i cristiani finché, alle quattro del mattino, Maometto II ordinò alla seconda schiera di combattenti di intervenire. Questa era costituita da reparti di soldati arruolati in Asia Minore, molto ben equipaggiati e addestrati. Questi ultimi furono però subito circondati dai soldati comandati direttamente da Costantino e conseguentemente annientati. Gli ultimi ad intervenire nella battaglia furono i reparti di élite degli Ottomani, i giannizzeri. Bizantini e latini erano spossati: combattevano ormai da cinque ore ininterrotte e non avrebbero potuto resistere a lungo.
La situazione, per i Bizantini, precipitò poco dopo l'alba: il capitano Giovanni Longo Giustiniani fu ferito ed allontanato dalla battaglia dai suoi uomini. Molti difensori latini interpretarono questa mossa come una fuga disperata e fuggirono alle barche. Maometto II si accorse di ciò, e ordinò ai giannizzeri di concentrare l'attacco sulle postazioni genovesi. I bizantini iniziarono ad arretrare e, trovandosi accerchiati, vennero quasi tutti massacrati. Costantinopoli era ormai perduta e l'impero bizantino, ultimo erede della grande Roma, aveva cessato di esistere, bagnato dal sangue di un manipolo di eroi.

La morte di Costantino XI
Le fonti relative alla morte di Costantino XI si fanno a questo punto discordanti: il gran logoteta Giorgio Sfranze, fedele compagno del basileus, che in quel momento era lontano dalla battaglia, dice unicamente:
«Il mio signore e imperatore, di felice memoria, il signore Costantino, cadde ucciso, mentre io mi trovavo in quel momento non vicino a lui, ma in altra parte della città, per ordine suo, per compiervi un'ispezione: ahimé ahimé! » (Giorgio Sfranze)
Secondo alcuni cronisti l'imperatore sarebbe rimasto ucciso mentre si dirigeva verso la porta Aurea; altri sostengono invece che cadde nei pressi di Santa Sofia; altri ancora sostengono addirittura che Costantino XI si sia spogliato delle insegne imperiali e che sia fuggito confondendosi tra la popolazione, riuscendo così a salvarsi (tale ipotesi risulta comunque molto improbabile).
La maggior parte dei cronisti, oltre che gli storici attuali, sono quasi certi nel sostenere che Costantino XI perdette la vita nei pressi della porta di San Romano: dopo aver lasciato le insegne imperiali, egli si gettò nella mischia con valore assieme ai suoi ultimi compagni ancora in vita, e scomparve per sempre dopo aver ucciso, si dice, l'iperbolica cifra di seicento Ottomani. Sembra che le ultime parole di Costantino prima di morire, siano state:
«Non c'è un cristiano, qui, disposto a prendersi la mia testa?» (Costantino XI Paleologo)
Probabilmente il corpo fu riconosciuto grazie agli stivali che indossava, color porpora, che solo gli imperatori bizantini avevano il diritto di portare. Maometto II lo fece seppellire in una fossa comune, per evitare che i cristiani potessero erigere un mausoleo alla sua memoria, o che potesse diventare luogo di pellegrinaggio dall'Europa. Ma prima di essere sepolto, sembra che al corpo di Costantino, fosse mozzata la testa e fatte tirar fuori gli intestini, per ordine di Maometto II. La testa fu poi affisata sopra la colonna di Costantino I, in modo da umiliare l'impero millenario che era appena caduto, poi Maometto II fece imbalsamare la testa, che girò gli angoli del suo impero.
Una statua che rappresenta Costantino XI - posta durante la rivoluzione greca contro l'Impero Ottomano di cui dunque l'imperatore veniva fatto simbolo - si trova di fronte alla cattedrale di Atene, mentre una seconda è ubicata nella città di Mistra, dove venne acclamato imperatore nel 1448.

Nei film
Il film turco Istanbul'un fethi (La caduta di Costantinopoli) di Aydin Arakon, del 1951, racconta l'assedio del 1453: la parte di Costantino XI è stata interpretata da Cahit Irgat.

▪ 1500 - Bartolomeu Dias (italianizzato: Bartolomeo Diaz) (1450 – 29 maggio 1500) è stato un navigatore portoghese.
Di lui si ignora quasi tutto. Si crede che Dias provenisse da una famiglia di marinai ed esploratori tra cui Joao Dias, che ha navigato intorno a Capo Bojador nel 1434 e Diniz Dias il quale, verso il 1440, aveva guidato spedizioni marittime lungo la costa del Nordafrica e che aveva visitato le isole di Capo Verde.
Nella sua gioventù frequentò i corsi di Matematica e di Astronomia nell'Università di Lisbona e servì come militare della fortezza di São Jorge da Mina. Nel 1486, D. João II gli affidò il comando di due caravelle e di una piccola nave-appoggio per cercare ufficialmente di appurare la verità circa il Prete Gianni. Il proposito non dichiarato della spedizione era tuttavia quello di investigare circa la reale estensione verso Sud delle coste del continente africano, in modo da studiare la possibilità di tracciare una rotta verso l'India.
La spedizione partì da Lisbona nell'agosto del 1487, dopo aver imbarcato due uomini e quattro donne di colore catturati da Diogo Cão sulla costa occidentale africana. Ben alimentati e vestiti essi sarebbero stati sbarcati sulla costa orientale perché testimoniassero presso le locali popolazioni di quelle regioni la bontà e la magnificenza dei Portoghesi, e allo steso tempo raccogliere informazioni sul regno del Prete Gianni.
Nel dicembre raggiunse la costa dell'attuale Namibia, il punto più a Sud cartografato dalla spedizione di Diogo Cão. Continuando a veleggiare verso meridione, scoprì per primo la baia di Bahia. Approfittando poi dei venti che spiravano dalla regione antartica che soffiavano impetuosamente nell'Atlantico Meridionale, navigò cartografando diverse baie della costa dell'attuale Sud Africa e spingendosi fino alla baia di Algoa (800 km a est del Capo di Buona Speranza).

Nel frattempo le fatiche sopportate obbligarono Dias a tornare in Portogallo.
Nel viaggio di ritorno, con la costa sempre visibile, scoprì il Cabo das Agulhas, il punto più a Sud del continente, e l'attuale Capo di Buona Speranza, chiamato allora "Capo delle Tempeste", la cui longitudine aveva marcato in alto mare nel suo viaggio di andata. Tornò a Lisbona nel dicembre del 1488.
Fu capitano di una delle due navi della spedizione di Vasco da Gama, che partì nel 1497 scortandolo fino all'altezza del punto raggiunto in precedenza. Nel 1500 accompagnò Pedro Álvares Cabral nel famoso viaggio in cui questi scoprì il Brasile. Quando la flotta proseguì per l'India, la nave su cui si trovava Bartolomeu Dias naufragò e il valente navigatore trovò la morte nei pressi della sua scoperta più famosa: il Capo di Buona Speranza.
Bartolomeu Dias fu il primo navigatore a veleggiare lungo la costa dell'Atlantico Meridionale. I suoi viaggi, ripresi da Vasco da Gama, aprirono il cammino marittimo verso l'India e i suoi mercati.

▪ 1518 - Fra' Nicolás de Ovando y Cáceres (Regno di Castiglia, 1460 – Madrid, 29 maggio 1518) è stato un militare ed esploratore spagnolo proveniente da una famiglia nobile, oltre che cavaliere dell'Ordine Militare di Alcántara. Gu governatore delle Indie (Hispaniola) dal 1502 al 1509.

Spedizione nelle Americhe
Il 13 febbraio 1502 salpò dalla Spagna con una flotta di trenta navi. Si trattava della più grande flotta mai partita per il Nuovo Mondo.
Le trenta navi trasportavano 2500 coloni. A differenza del precedente insediamento fondato da Cristoforo Colombo, questo gruppo di coloni fu deliberatamente scelto per rappresentare uno spaccato dell'intera società spagnola. Il progetto di Ovando era quello di sviluppare economicamente le Indie Occidentali per favorire l'allargamento religioso spagnolo, e l'influenza amministrativa nella regione. Assieme a lui viaggiava Francisco Pizarro, che in seguito avrebbe esplorato il Sudamerica conquistando l'impero inca.
Un'altra nave trasportava Bartolomé de Las Casas, in seguito diventato famoso come 'protettore degli indiani'.
Nel 1502 anche Hernán Cortés avrebbe dovuto salpare con lui, un lontano parente, ma un infortunio occorsogli durante la fuga dalla camera di una donna sposata di Medellín gli impedì di partire.

Amministrazione
Quando Ovando giunse ad Hispaniola nel 1502, trovò i nativi in rivolta. Soppresse la ribellione con una serie di sanguinose campagne militari. L'amministrazione di Ovando ad Hispaniola fu una delle più crudeli nei confronti degli indiani. Quando gli spagnoli erano arrivati nel 1492, la popolazione locale veniva stimata in 500 000 persone. Secondo un censimento del 1507 erano ridotti a sole 60 000 unità.
Ovando fondò molte città su Hispaniola sviluppando l'industria mineraria, introcudendo la coltivazione dello zucchero di canna con piante importate dalle isole Canarie, e commissionò spedizioni di scoperta. La corona spagnola non era interessata solo agli indiani come fonte di cibo, ma anche come forza lavoro per l'estrazione dell'oro dalle vicine miniere.
Ovando ordinò l'importazione di schiavi di lingua spagnola di discendenza africana nelle Americhe. Molti rappresentanti della borghesia spagnola assunsero schiavi per il lavoro come servi nelle proprie case. Molti di loro furono mandati a lavorare nelle piantagioni di canna da zucchero.
Ovando fu richiamato in Spagna nel 1509 da re Ferdinando, mantenendo una promessa fatta alla moglie Isabella sul suo letto di morte. Fu sostituito con Diego Colón, ma gli fu concesso di mantenere le proprie proprietà.
Morì il 29 maggio 1518 a Madrid, e fu sepolto nella chiesa di San Benito d'Alcantara.
Ovando aveva nominato Hernán Cortés a notaio dandogli in concessione alcune terre. Questo permise a Cortés di iniziare la propria carriera di conquistador.

▪ 1994 - Erich Honecker (Neunkirchen, 25 agosto 1912 – Santiago del Cile, 29 maggio 1994) è stato un politico tedesco. È stato Segretario generale del Comitato Centrale della SED, partito costituzionalmente egemonico della Germania Est, dal 1971 al 1989.
Attivista comunista in gioventù durante il nazismo nel 1937 fu condannato a dieci anni di carcere e riuscì a fuggire dalla prigione solo due mesi prima della fine della Seconda guerra mondiale.
Honecker era uno dei fondatori nonché il primo presidente della FDJ, l'organizzazione giovanile della SED. In qualità di segretario della sicurezza del Comitato Centrale del partito fu il principale organizzatore dell'erezione del Muro di Berlino nell'estate del 1961, voluta da Ulbricht.
Con il sostegno di Brežnev sostituì Ulbricht nel 1971 come Primo Segretario, poi Segretario generale del Comitato Centrale, quindi nella funzione del massimo potere della DDR, unendo poi sulla sua persona anche le funzioni di Presidente Consiglio Nazionale della Sicurezza e di Presidente del Consiglio Nazionale.
Honecker di fatto governava la Germania Orientale negli ultimi due decenni della sua esistenza, periodo segnato da alcune principali tendenze:
▪ l'ulteriore perfezionamento del capillare controllo interno, in particolare la repressione di ogni opposizione tramite la Stasi;
▪ l'ulteriore perfezionamento del regime di confine - Honecker era personalmente informato di ogni fuggitivo ucciso al Muro;
▪ il tentativo, in larga misura dotato di successo, di far riconoscere lo Stato a livello internazionale;
▪ una politica economica mirata ad una maggiore e migliore disponibilità di prodotti di consumo per i cittadini, politica che ha contribuito ad aumentare il debito della DDR nonostante il continuo flusso di denaro e di merci dalla Repubblica Federale;
▪ il lento ma inesorabile declino economico della DDR.
Contrario al processo di riforme portato avanti da Michail Gorbačëv in URSS, si pose in autonomia da Mosca.
In seguito all'affermarsi nel Partito di tendenze vicine alle idee di Michail Gorbačëv (tra i sostenitori di queste idee l'avvocato Gregor Gysi che diverrà poi leader del PDS), ed alla situazione internazionale che vedeva la dissoluzione dei Paesi socialisti in Europa orientale, nell'ottobre 1989 Honecker si dimise da tutte le sue cariche, il 3 dicembre fu escluso dal partito. Nello stesso mese venne aperta l'istruttoria per abuso d'ufficio e per alto tradimento da parte della magistratura della DDR.
Honecker, riparato a Mosca, venne estradato dalla Federazione Russa alla Germania nell'estate del 1992; in considerazione della sua età e del suo stato di salute venne aperto prioritariamente un processo ritenuto più importante, contro Honecker e diversi altri responsabili politici del regime di confine, in dodici casi di omicidio (Totschlag) come rei indiretti (mittelbare Täter).
Honecker difese le sue scelte politiche ed anche la costruzione del Muro con necessità politiche e sottolineando il numero di morti relativamente basso, confrontato a quello della Guerra del Vietnam. Con riferimento al suo stato di salute Honecker - sofferente di tumore al fegato in stato avanzato - chiese l'interruzione del processo, concessa poi dopo una decisione della Corte Costituzionale Regionale il 12 gennaio 1993, come da articolo 206a dell'Ordinamento di Procedura Penale, considerando la certificata rimanente aspettativa di vita, con ogni probabilità inferiore alla prevedibile durata del processo, un impedimento a procedere. Sospeso, per lo stesso motivo, il giorno successivo anche un secondo processo per reati economici, Honecker si trasferì in Cile, presso la famiglia di sua figlia, dove morì 16 mesi dopo.

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