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“Mater dolorosa”

Fonte:
CulturaCattolica.it
Canti tradizionali sardi di Quaresima
“Stabat Mater” - “Non mi giamedas Maria”

Per iniziare un piccolo percorso di immedesimazione con i misteri della Settimana Santa che ci apprestiamo a vivere, volevo proporre due brani che non rientrano nella categoria di musica “classica” (come le musiche proposte finora), ma che, a diritto, sono da considerare altrettanto nobili. Perché nobili? Perché “tradizionali”. Il canto della tradizione, ancor più di qualsiasi altra espressione vocale, è il canto di un popolo. È la voce di un popolo, delle sue credenze, della sua religiosità e del “suo” cuore. I canti che ci sono arrivati e che consideriamo “tradizionali”, cioè espressioni della cultura di un popolo, sono quelli che hanno superato lo scoglio del tempo. Così, quando ascoltiamo questi canti popolari, sentiamo storie ed esperienze reali: il pescatore, il falegname, il pastore, l’innamoramento, il matrimonio, la guerra. L’uomo, nella musica (accade anche ora, spesso sentimentalmente, ma accade), ha sempre raccontato la sua vita. È questo il motivo per cui non ci dobbiamo stupire se una grandissima fetta di canti tradizionali esprime la fede e la religiosità del popolo. Proprio perché la fede cristiana è un fatto vivo, presente: un fatto umano. Non è un caso che i canti sacri tradizionali sono rivolti principalmente al periodo di Natale e a quello di Quaresima e di Pasqua. Proprio per questi ultimi, la fede e la cultura delle popolazioni della Sardegna hanno dato origine, nel corso dei secoli, a riti suggestivi e canti struggenti, incentrati sulle figure di Cristo sofferente e della Madonna che, intimamente, partecipa al suo dramma. La cosa che più mi ha colpito al primo ascolto di queste musiche è stata la grande umanità, la grande “concretezza” dei testi. Cosa ci raccontano? Lo Stabat Mater è tratto dal celebre testo di Jacopone da Todi e, nella storia etnomusicale sarda, rientra nei Gosos, canti tradizionali eseguiti nelle processioni religiose. Nel 1760 circa Monsignor Bonaventura Licheri ne fece una rielaborazione in uno dei tanti dialetti di quella terra. Due secoli dopo, Maria Carta, la più grande cantautrice sarda (da non confondere con Marco…), l’ha messo in musica riprendendo (in parte) alcune melodie tradizionali. La versione che vi propongo è cantata da Andrea Parodi, storico ed indimenticato leader dei Tazenda, morto nel 2006: una delle voci più belle e fascinosamente delicate del panorama italiano. «Scrivendo la musica – racconta Parodi in uno dei suoi concerti – Maria Carta si è immaginata la scena della Madonna che piange il Cristo morto non in Palestina ma in un paesino sardo, con le donne che, curiose, nello spingersi generale, vedendo la Madonna piangere dicono: “Perché piange? Non dice di essere la Madre di Dio?”. Allora la Madonna, sentendo queste voci, risponde, e fa capire loro il dolore di quel momento. Quale dolore, per una madre, è più grande di avere tra le braccia il Figlio morto?». Le prime quattro terzine sono le parole delle donne; le ultime tre quelle di Maria.

STABAT MATERSTABAT MATER
Nadelu, Segnora mia
sezis cussa lastimada
chi giaman Maria?
Mama proite cuades
sa cara bianca che nie
nadenos pro chie?
Sa Segnora nostra ha piantu
totta sa notte a succuttu
mannu es su curruttu.
Su sambene s’est’asciuttu
in sas venas de una rosa
mama dolorosa.
Sas ispinas disattentas
affliggidu han sas intragnas
de su Fizzu ’e Deu
Ahi, isculta Fizzu meu
salvalu s’omine reu,
perdonalu culpidu.
Amen.
Mamas chi fizzos penades
mirade cantu dolore
mortu es su Segnore
Amen, amen.
Dite, Signora mia
siete quella afflitta
che chiamano Maria?
Madre, perché nascondete
il volto bianco come la neve,
diteci, per chi?
La nostra Signora ha pianto
singhiozzando tutta la notte
è grande il suo lutto.
Il suo sangue si è asciugato
nelle vene di una rosa
madre dolorosa.
Le spine disattente
hanno afflitto le carni
del Figlio di Dio.
Ascolta Figlio mio,
salva l’uomo reo,
perdona il peccatore.
Amen.
Madri che penate mettendo al mondo i figli,
guardate quanto dolore:
è morto il Signore.
Amen, amen


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La Madonna, afflitta, guarda Gesù morto tra le sue braccia e gli dice: “Ascolta Figlio mio, salva l’uomo reo, perdona il peccatore. Cosi sia”. Capite quando vi dico che la fede cristiana era “viva” nel popolo? Il frutto della loro fede era la speranza, la speranza di un destino buono. E così pregavano la Madonna di intercedere per la loro salvezza. Una religiosità viva. Solo per questo può essersi tramandata anche attraverso i canti.
Il secondo brano che vi propongo è un altro Gosu. Si tratta di “Non mi giamedas Maria”, anch’esso scritto da Monsignor Licheri nella seconda metà del ’700. L’alternanza tra strofa e ritornello fa sì che il solista canti le strofe e il popolo, in processione, canti il ritornello. Anche qui l’accento è posto sul dolore di Maria, “Madre di dolore”. La versione che ascolterete è cantata proprio da Maria Carta.

NON MI GIAMEDAS MARIANON CHIAMATEMI MARIA
Sende mortu cun rigore
su coro’ e s’anima mia,
Non mi giamedas Maria,
né de grazia piena
ma de dolores e pena,
de turmentu e agonia.

Non mi giamedas Maria,
si no mama’ de dolore.

Non mi nedas beneitta.
Intro ‘e sas feminas ria’
S’intende s’anima mia
triste, dolente e afflitta,
dando l’appo dadu sa titta
senza e tanto’ dolore.

Non mi giamedas Maria,
si no mama’ de dolore.

Poiché è morto fra i tormenti
il cuore dell’anima mia,
non chiamatemi Maria,
né piena di grazia
ma di dolore e pena,
tormento e agonia

Non chiamatemi Maria,
ma Madre di dolore.

Non mi dite benedetta.
È fra le donne infelici
che si trova l’anima mia;
triste, dolente e afflitta,
perché gli ho dato la mammella
senza aver tanto dolore.

Non chiamatemi Maria,
ma Madre di dolore.


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I misteri della Settimana Santa non si esauriscono nel dolore, carnale ed umano, di Maria. La grandezza della nostra storia è proprio la Pasqua, la resurrezione di Cristo, cioè la vittoria sulla morte e sul peccato. Tuttavia non si può non valorizzare tali espressioni, popolari e devozionali, di religiosità, fede e umanità.

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