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Elia: il Dio geloso

Fonte:
CulturaCattolica.it ©
Ferdinand Bol, Elia e l'Angelo, 1660-63

Dopo molto tempo, il Signore disse a Elia, nell’anno terzo: «Su mostrati ad Acab; io concederò la pioggia alla terra» (1 Re 18, 1)
Mentre in Samaria c’era ancora una grande carestia (v. 2) Elia si presentò ad Abdia, maggiordomo di Acab, uomo timorato di Dio che aveva salvato cento profeti del Signore dalla furia omicida di Gezabele, nascondendoli in caverne e gli disse: «Su, di’ al tuo padrone: C’è qui Elia» (v. 8). Angustiato per questo comando Abdia risponde che Acab ha fatto cercare Elia per ogni dove e se gli rispondevano: «Non c’è!» egli faceva giurare[…] di non averti trovato. Ora tu dici: «Su di’ al tuo signore: C’è qui Elia! Appena sarò partito da te, lo spirito ti porterà in un luogo a me ignoto. Se vado a riferirlo ad Acab egli non trovandoti mi ucciderà» (vv. 10-12)
Queste scomparse improvvise erano una costante nella storia di Elia (cfr. 2 Re 2,16), l’ultima quella definitiva, sarà quella che lo consacrerà come il profeta del ritorno. Tutto nella vita del profeta è segno per il popolo e anche queste sparizioni repentine sono il segno di un rapporto di Dio con il suo popolo divenuto conflittuale, segnato dalla instabilità. Il comportamento idolatra del popolo provocava la gelosia di Dio, costringendolo, per così dire, a ritrarre il suo volto.
Questa volta però il ritorno di Elia segna la fine del silenzio indignato di Dio, e dà inizio, nel contempo, all’esplosione della sua gelosia divina. Elia infatti incontra Acab e lo sfida: Appena lo vide, Acab disse a Elia: «Sei tu la rovina d’Israele!» Quegli rispose: «Io non rovino Israele, ma piuttosto tu insieme con la tua famiglia, perché avete abbandonato i comandi del Signore e tu hai seguito Baal. Su, con un ordine raduna tutto Israele presso di me sul monte Carmelo insieme con i quattrocentocinquanta profeti di Baal e con i quattrocento profeti di Asera, che mangiano alla tavola di Gezabele».
La scena è imponente: da una parte ben ottocentocinquanta profeti; dall’altra un uomo solo, Elia; in mezzo il monte Carmelo. La scelta del monte Carmelo fu strategica, infatti le sue pendici si stendono lungo la costa al confine tra Israele e il territorio dei Fenici. In mezzo a un paesaggio per lo più desertico la sua cima si erge verdeggiante, tanto che la parola carmel era diventata sinonimo di giardino.
Perciò il monte Carmelo declinando da un lato verso la pianura di Izreèl, fedele al culto di Javhè, e dall’altro verso le terre dei fenici devoti a Baal, si prestava a rendere in modo plastico il cammino zoppicante del popolo, che ora indugiava su un versante, ora sull’altro. Nel mezzo di questo scenario Elia proclama al popolo: «Fino a quando zoppicherete con due piedi? Se il Signore è Dio, seguitelo! Se invece è Baal, seguite lui!» Il popolo non rispose nulla. Elia aggiunse al popolo: «Sono rimasto solo, come profeta del Signore, mentre i profeti di Baal sono quattrocentocinquanta» (1 Re 18, 21-22).
Secoli prima il popolo si era già sentito rivolgere una simile domanda. Giosuè figlio di Nun, a Sichem aveva chiesto: «Se vi dispiace di servire il Signore, scegliete oggi chi volete servire: se gli dei che i vostri padri servirono oltre il fiume oppure gli dei degli Amorrei, nel paese dei quali abitate. Quanto a me e alla mia casa, vogliamo servire il Signore» (Gs 24,15) Allora il popolo aveva risposto: «Lungi da noi abbandonare il Signore per servire altri dei!» (Gs 24,16) Qui invece il popolo tace (1 Re 18, 21).
Questo mistero del vacillare del popolo, del tergiversare su vie non buone, attraverserà la storia della salvezza. Il profeta Osea - secoli dopo - annuncerà nuovamente un silenzio di Dio teso alla correzione del popolo, un silenzio ricolmo della sua gelosia: Ecco l’attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore… e avverrà in quel giorno - oracolo del Signore- mi chiamerai: Marito mio, e non mi chiamerai più: Mio padrone. (Os 2, 16) Nel testo ebraico dove la traduzione dice mio padrone si trova la parola Baal che, come abbiamo già detto, significa “padrone”, “signore” e anche “marito”. Dove invece l’italiano traduce mio marito l’ebraico ha - letteralmente - mio uomo, un termine che - a differenza del primo che pone l’accento sulla sudditanza della sposa allo sposo- sottolinea l’intimità del legame coniugale. Il riferimento all’idolatria nell’ebraico è più esplicito.
Anche sulla cima del monte Carmelo c’è, da un lato, Baal a cui il popolo sincretisticamente sovrapponeva Javhè e dall’altra c’è un uomo solo, un uomo di Dio: Elia il cui nome significa El Jah: JHWH è Dio
La sfida prende il via. I profeti di Baal scelgono per primi, tra due giovenchi, la vittima. La immolano ponendola sull’altare del sacrificio e invocano Baal affinché conceda un fuoco dal cielo capace di consumare il sacrificio. Lo stesso dovrà fare Elia. La divinità che risponderà concedendo il fuoco è Dio.
Dal mattino fino al primo pomeriggio i profeti di Baal invano invocarono il loro dio, si fecero incisioni, urlarono più forti incitati e beffeggiati da Elia, ma - commenta la Scrittura- non si sentiva alcuna voce, né una risposta, né un segno di attenzione. (1 Re 18, 29) Venuto allora il momento in cui si sogliono fare i sacrifici Elia fece avvicinare tutto il popolo… prese dodici pietre, secondo il numero delle tribù dei discendenti di Giacobbe… eresse un altare al Signore, scavò intorno un canaletto. … Dispose la legna, squartò il giovenco. Quindi disse: “Riempite quattro brocche d’acqua e versatele sull’olocausto e sulla legna!” Ed essi lo fecero. Egli disse: Fatelo di nuovo!”. Ed essi ripeterono il gesto. Disse ancora: “Per la terza volta!”. Lo fecero per la terza volta. L’acqua scorreva intorno all’altare; anche il canaletto si riempì d’acqua. (vv. 31-35)
La scena potrebbe persino apparire comica: da un lato una turba di invasati che inneggiavano a Baal, dall’altro il sarcasmo di Elia che gridando al loro indirizzo diceva: «Gridate con voce più alta, perché egli è un dio! Forse è soprappensiero oppure è indaffarato o in viaggio; caso mai si fosse addormentato si sveglierà»
Eppure i profeti di Baal non erano né stupidi né ridicoli, essi disponevano di una lunga esperienza, arricchita da un rituale complesso che consentiva loro di attendersi che Baal parlasse, come aveva sempre fatto fino allora. La drammaticità di questa scena si fonda proprio su due certezze a confronto. Da un lato la certezza degli adoratori di idoli, dall’altro la certezza di Elia, colui che sta alla presenza del Dio unico e vero.
Che cosa sarebbe successo, si chiede uno studioso ebreo, Neher, se Baal avesse risposto? Nulla, perché abbiamo ragione di credere che il Signore Dio avrebbe ingaggiato contro la risposta di Baal, una gara simile a quella che Mosé sostenne con i maghi dell’Egitto. Baal però non risponde e l’ironia della scena giunge al suo culmine quando Elia, giocando il tutto per tutto, si dispone ad offrire il sacrificio.
I gesti pacati del profeta fanno da contrasto all’eccitazione dei suoi numerosi “colleghi” e, come se non bastasse, egli forza la mano rendendo umanamente impossibile l’accensione di un fuoco: bagna la legna con ben 12 brocche d’acqua. Uno spreco inutile se si pensa alla siccità che stava attanagliando il paese.
La simbologia del rituale di Elia è ricchissima. Era l’ora in cui si sogliono offrire i sacrifici. Sono tre i momenti propizi per essere esauditi dal Dio di Israele: il mattino, il mezzogiorno e l’ora del vespro. Li ritroviamo frequentemente nei salmi: Al mattino, al mezzogiorno e alla sera, mi lamento e sospiro ed egli ascolta la mia voce. I primi due momenti li avevano consumati invano i profeti di Baal, ad Elia restava l’ultima opportunità.
L’altare viene costruito con dodici pietre, il numero delle tribù di Giacobbe. Nonostante la divisione in due regni - ed Elia agisce nel regno di Israele comprendente dieci tribù - unico resta il popolo di Dio. Ogni sacrificio è questo unico popolo di Dio che lo offre, per quanto diviso possa risultare storicamente. Anche le brocche sono d’acqua sono dodici, come le tribù e quanto più abbondante è l’acqua che impregna la vittima, tanto più dovrà essere ardente il fuoco capace di prosciugare e incendiare la legna del sacrificio. Quasi a simboleggiare la lontananza del popolo dal suo Dio e nel contempo la potenza della misericordia del Signore.
Giunto a questo punto infatti Elia prega, invocando la conversione dei cuori: «Signore, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe, oggi si sappia che tu sei Dio di Israele e che io sono tuo servo e che ho fatto tutte queste cose per tuo comando. Rispondimi Signore, rispondimi e questo popolo sappia che tu sei il Signore Dio e che converti il loro cuore!»
Che cosa sarebbe successo, a questo punto, se Dio non avesse risposto? Se il Signore, Dio di Israele, avesse taciuto come Baal? (cfr. Neher) Un inquietante interrogativo a cui risponderà il capitolo successivo, strettamente legato a questo, tanto da formare un dittico.
Cadde il fuoco del Signore e consumò l’olocausto, la legna, le pietre e la cenere, prosciugando l’acqua del canaletto. A tal vista tutti si prostrarono ed esclamarono: « Il Signore è Dio! Il Signore è Dio!” Elia disse loro: “Afferrate i profeti di Baal; non ne scappi neppure uno!» Li afferrarono. Elia li fece scendere nel torrente Kison, ove li scannò.
La crudele uccisione dei profeti è l’ultimo atto del pieno ristabilimento del culto al vero Dio, risponde infatti all’applicazione della legge (Es 22, 19) che voleva votati allo sterminio coloro che avevano sacrificato agli idoli.
Ed ecco finalmente il dono promesso. Salendo fin sulla cima del Carmelo Elia si prostra a terra implorando il dono dell’acqua. Quando all’orizzonte si profila una nuvoletta grande come una mano d’uomo, egli manda il suo ragazzo dal re: «Va’ a dire ad Acab: attacca i cavalli al carro e scendi perché non ti sorprenda la pioggia» Subito il cielo si oscurò per le nubi e per il vento; la pioggia cadde a dirotto. (1 Re 18, 44-45)

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