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Elia: Il Dio nascosto

Fonte:
CulturaCattolica.it ©
Icona XX sec, Elia e il corvo Lina Delpero

A Elia fu rivolta questa parola del Signore: «Vattene di qui, dirigiti verso oriente; nasconditi presso il torrente Cherit, che è a oriente del Giordano. Ivi berrai al torrente e i corvi per mio comando ti porteranno il tuo cibo» Egli eseguì l’ordine del Signore; andò a stabilirsi sul torrente Cherit, che è a oriente del Giordano. I corvi gli portavano pane al mattino e carne alla sera; egli beveva al torrente. (1Re 17, 2-6)
La forza evocativa di questi cinque versetti è straordinaria. In poche righe viene rievocata tutta l’esperienza di Israele, da Abramo a Mosé. Il primo comando rivolto a Elia: «Vattene!», rimanda infatti ad Abramo, allorché Dio gli ingiunse di lasciare la sua terra, la sua gente per seguire la voce del Signore. Mentre però il comando rivolto ad Abramo sottintendeva uno sradicamento: vattene dalla tua patria, dalla casa di tuo padre ecc., ad Elia si dice, letteralmente: Vattene di qui, cioè da questo luogo in cui sei ora, un luogo che non ti appartiene, che non è la tua patria. Viene così delineata in modo velato, la condizione di sradicamento che già viveva Elia. Vattene di qui e volgiti verso oriente I padri della chiesa e gli autori medioevali hanno visto in questa precisazione oriente un riferimento a Cristo, e quindi ad Elia come l’annunciatore della salvezza, della vera luce che Cristo è venuto a portare. Tuttavia c’è un altra indicazione preziosa e più aderente al testo che il termine oriente ci fornisce; il vocabolo ebraico qedmah oppure qedem, indica in senso spaziale ciò che è davanti, quindi l’oriente, ma se usato in senso temporale indica ciò che era al principio, in antico e in certo senso le origini.
Ecco allora che ad Elia viene detto non tanto va verso la verità di te, come era stato detto ad Abramo, quanto: va verso il principio, torna alle origini. E quali siano queste origini e indicato nei vocaboli successivi. Anzitutto: nasconditi presso il torrente Cherit.
Il pensiero corre verso il Giordano che scendendo verso il mar Morto riceve, all’altezza del lago di Genezaret, alcuni affluenti, tra i più importanti, sul lato sinistro, ricordiamo lo Jarmuk e soprattutto lo Jabbok, tra i quali vi è appunto anche il torrente Cherit. Quindi è un invito a ripercorrere l’esperienza dei patriarchi, prima Abramo, ora Giacobbe con il riferimento implicito allo Jabbok. Lungo questo fiume, lo sappiamo, Giacobbe rimase solo, lottò con Dio e venne costituito popolo: non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele.
Elia viene invitato a nascondersi tra gli anfratti delle rocce del torrente, a bere di quell’acqua, a cibarsi della carne e del pane che misteriosi corvi, inviati dal cielo, gli avrebbero procurato. In pochi tratti viene riproposta l’esperienza dell’esodo. Nel deserto infatti il popolo bevve acqua dalla roccia, si cibò di manna, che la tradizione biblica successiva chiamerà il pane del deserto, e si nutrì di quaglie piovute miracolosamente dal cielo. La figura di Elia profeta viene accostata, e non solo qui come vedremo, a quella di Mosé. Abramo, Mosé ed Elia saranno i modelli di ogni profetismo in Israele.
Ma l’esperienza del ritorno alle origini che Elia deve fare è ancora più radicale, la menzione dei corvi infatti rimanda al tempo del diluvio, quindi a quell’alleanza che ha preceduto i patriarchi definita alleanza noachica, quando Noè dall’arca inviò un corvo per vedere se erano le acque si erano ritirate. Il corvo nell’antichità veniva considerato da un lato annunciatore di sventure, e dall’altro uccello vicino agli dei e conoscitore del destino degli uomini. Per la Torah (Lv 11,15) è un animale impuro perché si ciba di carogne e la tradizione rabbinica, ratifica tale impurità, sostenendo che il corvo e il cane furono gli unici animali ad accoppiarsi durante i quaranta giorni del diluvio. Il fatto che proprio dei corvi portino cibo al profeta è segno di un ritorno alla pace primitiva, a quell’intimità con Dio di cui godeva il primo uomo nell’Eden, giardino posto appunto, a oriente.
Il cibo e l’acqua di cui gode il profeta in un momento tanto drammatico sono il segno che egli è l’unico, in tutto Israele, in cui risuona la Parola divina. Egli è l’uomo di Dio, colui che sta alla sua presenza, e che quindi conosce e trasmette la sua volontà. La scomparsa di Elia, perciò, segna per il popolo caduto nell’infedeltà e nell’idolatria, il silenzio di Dio. Dio si nasconde, nascondendo il suo profeta.

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