Torah e Vangelo 2 - Cosa dice Benedetto XVI
- Autore:
- Curatore:
- Fonte:
Benedetto XVI spiega bene in cosa consiste questo salto, anzitutto precisando che superamento – compimento non vogliono dire frattura o violazione. Esaminiamo in sintesi la sua ipotesi: se si interpreta la questione come frattura si rischia di interpretare il Nuovo Testamento in modo puramente spirituale, privandolo di ogni rilevanza sociale e politica. Il che sembra giustificato dal fatto che appare impossibile costruire un ordinamento sociale, una comunità, un popolo con il discorso della Montagna, cioè, per dire alcuni aspetti già accennati da Guardini, con il perdono al posto della giustizia, con il conferire lo stesso valore all’atto interiore e a quello esteriore.
Proprio qui, nell’evitare questo pericolo, sta il valore, dice Benedetto, del giusto intreccio tra Antico e Nuovo Testamento, cosa che per il Papa emerito è un elemento costitutivo per la Chiesa. Infatti la Torah è stata l’espressione di un ordinamento sociale che, ispirato al rapporto con Dio, si è tradotto in modo concreto nella storia di un popolo, commisurato alle possibilità concrete di una società in una situazione culturale e storica ben determinata; in tal senso si tratta di un diritto condizionato storicamente, e per questo ha anche avuto, nell’ambito stesso veterotestamentario, una sua storia, anche involutiva, in quanto, con il variare delle circostanze era divenuto ingiusto e non capace di tradurre le indicazioni divine. Queste norme storiche, concrete, nella storia della Torah, sono sempre intrecciate alle norme divine che il Papa chiama metanorme o “diritto apodittico”. Si tratta del nocciolo divino della Torah. Per esemplificarle il Papa emerito cita ad esempio Es.22,20;23,9-12, cioè non molestare il forestiero, non maltrattare la vedova e l’orfano. Le metanorme sono perenni, ma sono state tradotte nelle varie circostanze storiche costituendo il diritto casuistico e hanno sempre rappresentato un’istanza critica nei confronti di quest’ultimo. Altre metanorme, fondamentali, presenti nel Vecchio Testamento e confermate dal Nuovo, sono l’amore verso Dio e verso il prossimo. Nel diritto casuistico l’identificazione di questo prossimo ha però subito la sua storicizzazione e quindi anche il suo allontanarsi dalla volontà di Dio.
Ora ecco che fa il Cristo: riprende la dialettica che era già all’interno della Torah, tra legge e profeti, cioè tra diritto casuistico e diritto apodittico, alla luce del quale si deve continuamente misurare il primo diritto. Gesù, dice il Papa, nel discorso della Montagna, ci sta davanti come l’interprete profetico della Torah che non abolisce ma compie perché indica alla ragione umana che agisce nella storia lo spazio della sua responsabilità. Ma, molto importante, non si rivolge più solo a Israele, pertanto le metanorme che indica sono rivolte a tutti gli uomini, sono la base stabile che garantisce la dignità dell’uomo a partire dalla dignità di Dio, sono la base ampia che apre a tutti gli sviluppi storici. Ogni cristianità, dice Benedetto, dovrà rielaborare e riformulare continuamente gli ordinamenti sociali alla luce delle metanorme.
Per riprendere l’equiparazione giustizia-amore-perdono, si tratterà di non confondere giustizia con vendetta e di avvicinarsi all’ideale del perdono nel fare la giustizia.