Persino l’economia ne sarebbe sollevata
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Oltre ad essere, come ripetono i radicali, una "battaglia di civiltà", ora i pacs spingerebbero anche l'economia. Lo afferma un editoriale del Corriere della Sera. Il ragionamento è: due terzi dei giovani italiani sotto i 35 anni vivono ancora nella famiglia di origine. Nel resto d'Europa le unioni di fatto sono la modalità prevalente di convivenza fra i ragazzi. Dove esistono i pacs, si sostiene, molte di queste unioni si regolarizzano. Dunque, i pacs aiutano i giovani a rendersi autonomi dalla propria famiglia: introdurli sarebbe affrontare "un nodo davvero critico" per il modello sociale italiano. Ma davvero i ragazzi italiani aspettano solo, per uscire di casa, i pacs? A guardarsi attorno sembrerebbe piuttosto che aspettino di trovare un lavoro non precario, e una casa a un affitto abbordabile. Ma vale la pena di fare qualche cifra. Le unioni di fatto in Italia sono 555 mila su oltre 22 milioni di nuclei familiari. Siamo lontanissimi dai 2 milioni e mezzo di convivenze della Francia - l'Italia, si sa, tarda colpevolmente ad adeguarsi alla modernità. Tutta la questione dei pacs, che vien fatta passare per un'emergenza nazionale, riguarda il 3,9% della popolazione. Di queste 555 mila coppie, aggiunge l'Istat, il 47% è formato da un celibe e una nubile, il che lascia supporre che si tratti di giovani alla prima esperienza di rapporto stabile. Secondo poi il sondaggio Eurispes 2006, il 38,4% dei conviventi ha l'intenzione di sposarsi. Tutto questo per dire, come scrive anche l'Istat, che in Italia le unioni di fatto sono in buona parte delle unioni prematrimoniali. Nella precarietà del lavoro, nella difficoltà a trovare una vera casa, nella ristrettezza dei mezzi si inizia a vivere insieme, nel monolocale di lui o di lei. Con l'idea, purtroppo ormai diffusissima, di "provare se funziona"; dubbio che d'altronde non manca di una sua spiegazione se si tiene conto che la generazione dei giovani d'oggi si è abituata alla separazione e al divorzio come fosse una norma, e spesso li ha subìti in casa. Tuttavia, le ricerche fra i più giovani indicano che l'80% desidera come ideale un'unione che duri tutta la vita (Ipsos 2002). A fronte di questo quasi censurato desiderio di un rapporto "per sempre", già contrastato dal precariato, dai soldi, della casa, contro un'aspirazione che già realtà e cultura dominante sospingono indietro, nella necessità di vivere alla giornata, non viene in mente di incrementare le politiche familiari o l'accesso alla casa delle coppie giovani. No, occorre introdurre i pacs. Cioè patti di una "solidarietà" civile, reversibilità di una pensione che chissà se i ventenni avranno, e del contratto d'affitto. Un piccolo surrogato delle unioni vere, stabili, come a codificare la precarietà anche negli affetti, come a insegnare ai ragazzi ad accontentarsi di poco, chè quel desiderio - "per sempre" - è roba adolescenziale. Chissà a quante giovani coppie, che vorrebbero sposarsi e magari avere figli, interesserà davvero questo surrogato minimale e un po' triste. In realtà, i pacs potrebbero riguardare quella metà delle unioni di fatto che si riferisce a separati e divorziati. Poco più di 250 mila coppie. Per il demografo Massimo Livi Bacci, che pure ai pacs è decisamente favorevole, "non più di 15 mila coppie nei primi anni" chiederebbero i pacs. Quindicimila, una faccenda davvero cruciale per un Paese di 56 milioni di abitanti. Un grande aiuto per i giovani. O una questione ideologica, gonfiata per perseguire alla fine la legalizzazione per esempio delle coppie gay? Che è un altro discorso, ma ovvio che parlare di spinta all'economia e ai giovani suona meglio.