Così parlò Salomone
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Ogniqualvolta un uomo e una donna regolano i loro rapporti secondo una norma di beneficio, cui eventualmente altri possono annettersi, essi, padre e madre, sono entrambi padri. Debbo a G.B. Contri l’aver osservato «la correttezza dell’uso linguistico spagnolo che chiama padres i genitori: ciò è logico, una volta definito il padre come quello che adotta, anche quando ha procreato biologicamente». (1) I casi illustrati nella rubrica da luglio a settembre ne sono tre documentazioni.

Propongo di leggere, o rileggere, la pagina veterotestamentaria che celebra la saggezza di Salomone, terzo Re d’Israele dopo Saul e David, il cui regno risale al X secolo a.C. L’episodio è conosciuto anche come giudizio di Salomone. (2)
«Un giorno vennero dal re due prostitute e si presentarono innanzi a lui. Una delle due disse: «Perdona, mio signore! Io e questa donna abitiamo nella stessa casa; io ho partorito mentre lei era in casa. Tre giorni dopo il mio parto, anche questa donna ha partorito; noi stiamo insieme e non c'è nessun estraneo in casa fuori di noi due. Il figlio di questa donna è morto durante la notte, perché lei gli si era coricata sopra. Ella si è alzata nel cuore della notte, ha preso il mio figlio dal mio fianco, mentre la tua schiava dormiva, e se lo è messo in seno e sul mio seno ha messo il suo figlio morto. Al mattino mi sono alzata per allattare mio figlio, ma ecco, era morto. L'ho osservato bene al mattino; ecco, non era il figlio che avevo partorito io». L'altra donna disse: «Non è così! Mio figlio è quello vivo, il tuo è quello morto». E quella, al contrario, diceva: «Non è così! Quello morto è tuo figlio, il mio è quello vivo». Discutevano così alla presenza del re. Il re disse: «Costei dice: “Mio figlio è quello vivo, il tuo è quello morto”, mentre quella dice: “Non è così! Tuo figlio è quello morto e il mio è quello vivo». Allora il re ordinò: «Andate a prendermi una spada!». Portarono una spada davanti al re. Quindi il re aggiunse: «Tagliate in due il bambino vivo e datene una metà all'una e una metà all'altra». La donna il cui figlio era vivo si rivolse al re, poiché le sue viscere si erano commosse per il suo figlio, e disse: «Perdona, mio signore! Date a lei il bimbo vivo; non dovete farlo morire!». L'altra disse: «Non sia né mio né tuo; tagliate!». Presa la parola, il re disse: «Date alla prima il bimbo vivo; non dovete farlo morire. Quella è sua madre». Tutti gli Israeliti seppero della sentenza pronunziata dal re e provarono un profondo rispetto per il re, perché avevano constatato che la sapienza di Dio era in lui per rendere giustizia». (3)
Anzitutto:
- in questo racconto non compaiono né sono chiamati in causa sposi, padri o testimoni: né al momento della nascita dei figli, né quando uno di questi muore, né durante la querelle giudiziaria;
- le dichiarazioni e le istanze delle due donne - non a caso nella narrazione due prostitute - sono identiche e speculari;
- il bambino, un neonato, non ha percezione né consapevolezza di ciò che sta accadendo e del rischio che corre.
In questo caso letterario-giudiziario il fine è il discernimento di quale donna meriti il titolo di madre. E’ opportuno aggiungere che nel testo non compare l’espressione vera madre, che ai nostri giorni potrebbe designare uno stereotipo fonte di equivoci dannosi e patogeni.
Sicuro del suo modo di procedere, dopo avere chiesto a Javhè il dono della sapienza o saggezza, Salomone cerca anzitutto la certezza del diritto. Nel caso in esame, egli vuole dare il bambino alla donna… che lo vuole davvero.
La frase che leggiamo: «La donna il cui figlio era vivo si rivolse al re, poiché le sue viscere si erano commosse» (3; 16) mi pare un’interpretazione dell’estensore del brano, non necessaria né del tutto legittima: infatti per emettere il suo giudizio, Salomone non ha a disposizione l’informazione su chi sia quella che oggi è detta la madre biologica e - ancor più rilevante - non è scritto che sia questo il suo obiettivo.
Seguiamo la logica dei suoi atti: merita il titolo di madre, e con esso il rapporto con il bambino, colei che ne ha cura e che addirittura permette che venga allevato dall’altra, se il negare tale possibilità si dimostrasse mortifero per il neonato. Ecco la finalità dello stratagemma di Salomone. Per inciso: l’aggettivo «salomonico» oggi ha assunto il significato di «fare a metà», fifty-fifty o soluzione paritetica: proprio ciò che il racconto biblico intende criticare.
Mi piace pensare un Salomone così saggio da essere, almeno lui, immune da stereotipi come quello detto. Ad ogni modo, l’insistenza della cronaca nera può essere istruttiva nel mostrare che non esiste alcun istinto materno.
Ci si può chiedere: che cos’è la pretesa pervicace di avere, o riottenere, il figlio? Almeno nel contesto moderno, essa si configura come richiesta di un risarcimento. A fronte di che? Quale sarebbe il danno che il figlio è chiamato a risarcire, addirittura a sua insaputa? Rispondo: una non meglio precisata mancanza che sarebbe insita nell’essere donna, secondo una teoria patologica molto diffusa. (4)
NOTE
1. G.B. Contri, Il pensiero di natura, 3^ edizione, Sic Edizioni, Milano, 2006, pag. 269, nota.
2. Una delle raffigurazioni più celebri è l’affresco eseguito nel 1726 dal Tiepolo nella Sala Rossa del Palazzo Patriarcale di Udine.
3. 1° Libro dei Re (3; 16-28). La Bibbia, Nuova versione ufficiale della CEI, Ed. San Paolo, 2009.
4. Il tema era già stato individuato da Freud, e ha ricevuto ulteriore incremento da G.B. Contri (cfr: Il pensiero di natura, op. cit., passim).