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Emergenza Scuola

Fonte:
CulturaCattolica.it
Rinvio volentieri al mese prossimo la prosecuzione del tema trattato in luglio e in agosto: i rapporti familiari e il diritto. Al suo posto, propongo qualche riflessione su quella che potremmo chiamare l’emergenza scuola. Oggi 12 settembre in gran parte d’Italia riaprono le scuole.

L’occasione mi è data da un libro di Marco Lodoli, Il rosso e il blu (1), la cui lettura mi è stata suggerita in questi giorni da mia moglie. Dico subito che il libro mi è piaciuto moltissimo: prima ancora che una denuncia, è il frutto del lavoro libero di un uomo che insegna lettere da trent’anni in un istituto professionale alla periferia di Roma. E’ una raccolta di annotazioni tratte dall’osservazione quotidiana, utile a studenti, genitori e insegnanti. Lavorare prendendo nota è sempre una buona, preziosa abitudine.
Leggendo nelle prime pagine l’elogio dei “quaderni Pigna”, ho subito pensato a Ricordi di scuola di Mosca: il maestro elementare che sfida il capobanda a colpire un moscone con la fionda è giustamente passato alla storia. (2) Inoltre, nell’ultimo decennio alcuni ottimi film hanno riproposto il difficile rapporto maestro-allievo, che si articola con quello padre-figlio senza coincidere con esso: Ti va di ballare? (2006), Coach Carter (2005), e Freedom Writers (2007), per citarne alcuni. Ma ne Il rosso e il blu, mio avviso, vi è di più.
«La scuola è cambiata profondamente dopo il ’68, quei ragazzi idealisti e generosi chiedevano di aprire le porte al mondo, di aggiungere ai soliti programmi quanto di emozionante circolava nello spirito e nelle conversazioni di quegli anni. (…) Quella porta tra la scuola e il mondo è rimasta spalancata, non poteva essere diversamente, e quando anch’io sono diventato insegnante ho visto cosa il mondo, anno dopo anno, scaricava in classe. E’ stata una lenta discesa agli inferi, un progressivo accumulo di spazzatura fumante.» (3)
Non mi attardo nelle esemplificazioni, anche per lasciare il gusto della lettura di prima mano. Segnalo invece il tono accorato con cui Lodoli espone il suo giudizio:
«Il problema è che [i giovani] non riescono a ragionare su nessun argomento, perché qualcosa nella testa si è sfasciato. Vi prego di credermi, non sono un apocalittico, non grido al lupo al lupo solo per creare apprensione. Sono semplicemente un testimone quotidiano di una tragedia immensa. Il nostro mondo è in pericolo non solo per l'inquinamento, la violenza, l'ingiustizia, il prosciugamento delle risorse prime. La nostra civiltà rischia grosso soprattutto perché la confusione sta producendo esseri disadattati, creature che non saranno in grado di cavarsela, milioni di giovani infelici che strada facendo - la strada che noi adulti abbiamo disegnato - hanno perduto il pensiero.» (4)
«I giovani delle borgate sono avvolti da un'ottusità che fa male. Veramente non capiscono nemmeno chi sono e cosa stanno facendo (…) Sono perduti a una demenza progressiva e spaventosa. Crescono rintronati dalla televisione, dalla pubblicità e da miti bugiardi, da una promessa di felicità a buon mercato, da mille sirene.» (5)
In un suo recente articolo, Lodoli così scrive del pensiero:
«Certo, si legge poco (…). Ma forse la magagna sta ancora prima, nelle modalità del pensiero. Si scrive male perché non c’è più fiducia e confidenza nel pensiero, perché sono saltati i nessi logici, la capacità di legare una riflessione a un’altra, un aneddoto a una considerazione, un prima e un poi. La lingua in fondo è soprattutto l’arte di annodare, incollare, saldare, è lo strumento fondamentale per dare un ordine al caos delle sensazioni e delle esperienze. (…) Ma i ragazzi della scuola non sentono più il bisogno di metter a punto questo strumento (…): ridono, piangono, si arrabbiano, sono felici, vivono il caos senza credere più nella logica, vivono senza parole e senza sintassi.» (6)
Che cosa sono la logica e la sintassi? Strumenti di lavoro intellettuale, quel lavoro che Freud chiama pensiero pratico. E’ un pensiero procedurale: la connessione articolata tra un soggetto, sempre competente, e la realtà esterna con tutte le sue offerte. Offerte buone, meno buone o niente affatto buone (cioè patogene), che ciascuno incontra nella vita di tutti i giorni. Un lavoro che ha di mira la soddisfazione.
Lodoli formula una diagnosi precisa e severa: «Tutto è cominciato a precipitare nel momento in cui qualcuno ha stabilito che l'emotività è l'unico campo in cui si realizza il giovane.» (7) Vero: l’emotività senza l’esercizio del giudizio può portare al caos, e ciò vale a qualsiasi età.
Tratteggiando atteggiamenti e posizioni degli insegnanti, l’autore ci fa entrare nella sala professori. Delicatamente, senza voyeurismi, ci fa capire che sono anzitutto questi a dover essere sostenuti in un lavoro tutto da reinventare, senza attendere riforme o circolari ministeriali. Cito: «Ci vorrebbe un ponte nuovo, almeno un pilone su cui poggiarsi (…)». (8) Ed è qui che, a mio avviso, Freud può venire in loro (e nostro) aiuto. Ecco quel che scrive in una pagina autobiografica poco nota, in occasione del 50° anniversario del liceo che aveva frequentato a Vienna quarant’anni prima (9):
«L'emozione che provavo incontrando i miei vecchi professori del ginnasio mi induce a fare una prima ammissione: è difficile stabilire che cosa ci importasse di più, se avessimo più interesse per le scienze che ci venivano insegnate o per la persona dei nostri insegnanti. In ogni caso questi ultimi erano oggetto per tutti noi di un interesse sotterraneo continuo, e per molti la via delle scienze passava necessariamente per le persone dei professori; molti si sono arrestati a metà di questa via, e per alcuni (perché non ammetterlo?), essa è risultata in tal modo sbarrata per sempre.»
Gli studenti, infatti, apprendono se e in quanto prendono, ed è un processo che avviene sul terreno robusto degli affetti che accompagnano e compongono ogni giudizio: nulla a che vedere con la psicologia delle emozioni.
Freud prosegue: «Li corteggiavamo o voltavamo loro le spalle, immaginavamo che provassero simpatie o antipatie probabilmente inesistenti, studiavamo i loro caratteri e formavamo o deformavamo i nostri sul loro modello. Essi suscitavano le nostre rivolte più forti e ci costringevano a una completa sottomissione; spiavamo le loro piccole debolezze ed eravamo orgogliosi dei loro grandi meriti, del loro sapere e della loro giustizia. In fondo li amavamo molto, se appena ce ne davano un motivo; non so se tutti i nostri insegnanti se ne sono accorti. (…) Già nei primi sei anni dell'infanzia il piccolo essere fissa la natura e la tonalità affettiva delle sue relazioni con le persone del suo stesso sesso e dell'altro sesso; da allora in poi egli potrà svilupparle e trasformarle in certe direzioni, ma non potrà più eliminarle. Le persone in rapporto alle quali egli fissa in tal modo il proprio tipo di comportamento sono i suoi genitori e i fratelli. (…) Ma fra le imagines che si sono formate in un'infanzia di cui di solito si è perduto il ricordo, nessuna è più importante, per il giovane o per l'uomo adulto, di quella del proprio padre (…) In questa fase del suo sviluppo ha luogo l’incontro del ragazzo con gli insegnanti.»

Le righe citate possono essere un viatico per ciascun insegnante: mostrano che a scuola, in un modo o nell’altro, per il meglio o per il peggio, gli insegnanti non portano solo un bagaglio fatto di lezioni e nozioni. Gli studenti osservano come essi si muovono, oltre che come insegnano; registrano la forma dei loro moti e lo stile delle loro relazioni; danno loro un credito inizialmente pressoché illimitato. Non diversamente, a ben vedere, da quel che accade in ogni cura psicoanalitica.

NOTE
1. Marco Lodoli, Il rosso e il blu. Cuori ed errori nella scuola italiana, Einaudi, Torino, 2009. Su questo stesso sito, Lodoli è citato in un articolo di F. Bruschi: http://www.culturacattolica.it/default.asp?id=515&ricerca=lodoli&id_n=28795. Il 21 settembre uscirà del film di Giuseppe Piccioni liberamente tratto da Il rosso e il blu, interpretato da Riccardo Scamarcio.
2. Giovanni Mosca, La conquista della VC, in: Ricordi di scuola, Rizzoli, 1939; Rizzoli BUR, 1977.
3. Op. cit. pag. VI-VII.
4. M. Lodoli, Il silenzio dei miei studenti che non sanno più ragionare, La Repubblica, 4 ottobre 2002.
5. Ibidem.
6. M. Lodoli, L’ita(g)liano a scuola sempre più sconosciuto, La Repubblica, 15 marzo 2012. Corsivi miei.
7. M. Lodoli, Basta con la scuola del cuore ricominciamo a far pensare, La Repubblica.it, 31 agosto 2011.
8. Lodoli “santo subito”, come usa dire oggi? L’enfasi è fuori luogo, ma certo meriterebbe un posto da consulente al MIUR.
9. I brani sono tratti da: S. Freud, Psicologia del Ginnasiale (1914) Opere di S. Freud, Boringhieri, vol. VII, pagg. 475-480. Corsivi miei. Il testo completo è reperibile anche in http://www.glaucomariagenga.it/S.%20FREUD%20-%20PSICOLOGIA%20DEL%20GINNASIALE.pdf

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