Il caso del discorso del re
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La frase è tratta dal bellissimo film con Colin Firth e Geoffrey Rush, Il discorso del re (2010) (1): 4 Oscar su 12 nomination, oltre a moltissimi premi e riconoscimenti in tutto il mondo. Film garbato e prezioso per molte ragioni, da gustare più volte, possibilmente anche in lingua originale. Per un approfondimento, segnalo l’ottimo documentario-intervista realizzato da 60 Minutes (CBSnews) e reperibile su YouTube. (2)
Il principe Albert (Bertie per i familiari), secondogenito del re Giorgio V d’Inghilterra, era schivo, introverso e affetto da balbuzie, (3) ma non senza ragione secondo quanto ci mostra il film. Dovette attraversare molte difficoltà, prima e dopo che il fratello David (Edoardo VIII) abdicasse al trono per sposare Wallis Simpson; e tutto ciò alla vigilia dello scoppio della seconda guerra mondiale, con la minaccia incombente di Hitler sull’intera Europa. Le registrazioni audio e video dei discorsi di Bertie-Giorgio VI (4) documentano l’entità del problema e il travaglio personale di quest’uomo. L’attore Colin Firth, nell’intervista citata, ha dichiarato che non avrebbe voluto affatto trovarsi al posto del duca di York.
All’indomani della morte del padre, il duca ripercorre e confida a Lionel Logue i ricordi della prima infanzia: dalla correzione per imparare ad usare la destra poiché era nato mancino, alla correzione delle gambe a x, alla prima tata che lo maltrattava e lo lasciava a lungo senza mangiare, fino al dispiacere per la morte del tredicenne John, il più piccolo dei suoi fratelli: poiché era affetto da epilessia, la sua esistenza e la sua morte dovevano restare celate a tutti.
Poco importa sapere se una sola seduta (logoterapia? psicoterapia?) abbia potuto concentrare in sé la rielaborazione di così tanti fatti o se invece la loro ricostruzione sia avvenuta nel corso di più sedute, che peraltro si succedevano quotidianamente. In ogni caso quei ricordi si riferiscono ad una serie di atti così rilevanti, nei confronti dei quali il sintomo della balbuzie, comparso poco dopo la prima infanzia, si mostra per quel che è: un caso di fuga nella malattia, alla ricerca di un guadagno secondario. Due elementi della psicopatologia clinica su cui anche Freud stava lavorando a Vienna da qualche decennio.
Il film mostra molto bene la cornice di quella terapia: l’originalissima relazione tra un sovrano dell’impero britannico, all’epoca il più grande e popolato del mondo, e un suo suddito borghese, che un tabloid di quegli anni definì con disprezzo il medicastro del re. Originario dell’Australia (colonia britannica fino al 1931), Lionel Logue è l’altro grande protagonista di questa ascesa al trono: egli non esita un momento nel prendere in cura il secondogenito del re. Pur non immune da timori, ingenuità ed errori, Logue è consapevole di essere allo stesso tempo sovrano («mio il castello, mie le regole») e laico: una sovranità che non dipende da sangue e casato, e una laicità che non attende alcun certificato di abilitazione da un Ordine professionale.
Logue, prima del suo trasferimento dall’Australia a Londra, aveva curato i reduci della prima guerra mondiale, affetti da nevrosi di guerra, una diagnosi che a quei tempi era una assoluta novità. Non so se Logue avesse letto Freud, ma certo la sua tecnica non ricorreva solo ad accorgimenti meccanici, ma voleva indagare il conflitto psichico. Anche in questo caso, molto correttamente, Logue non si impedì di guidare il suo nobilissimo paziente a riconoscere e superare il conflitto che risaliva all’infanzia e al rapporto problematico con il padre Giorgio V. (5)
Con le parole di Geoffrey Rush, anch’egli australiano: «In un certo senso questa è una storia un po’ shakespeariana: c’è il grande mondo esterno e lo sguardo nella vita della persona. E’ il viaggio per diventare re, o per diventare un essere umano». Shakespeare è forse l’ultimo autore che abbia saputo proporre e rappresentare il tema della sovranità.
La statura intellettuale e morale di Giorgio VI è tutta nell’avere desiderato di essere all’altezza della sovranità in prima persona. (6) Il suo è un caso di agorafilia, ovvero di amicizia per la dimensione pubblica dei propri atti, desiderio-ambizione a trattare ogni atto come destinato all’universo intero. (7)
Chiunque può ritrovare nei propri ricordi una personalissima impasse come quella di Bertie a Wembley. (8) Può esserci capitato di declamare una poesia a memoria o recitare in un saggio per la fine dell’anno scolastico, e di aver dovuto subire un surplus di attenzione, un carico di aspettative, una speciale impazienza altrui che appesantiva il nostro parlare di bambini. Irretiti e sorpresi, abbiamo pensato: to speak or not to speak? That is the question! Ci siamo ritrovati con una competenza ferita, e più malleabili all’ingresso nella malattia. Da quel momento anche per noi parlare non era più così facile.
Questo film narra la storia di un successo - personale e mondiale, come è ogni vero successo - e di una successione, cui Bertie non voltò le spalle, giungendo ad amare e giudicare al tempo stesso il proprio padre, che pure aveva avuto parte nella patogenesi del suo disturbo.
Giorgio VI e Lionel Logue rimasero amici per tutta la vita, come è provato dal loro epistolario: più di cento lettere, in cui troviamo menzione anche dei libri che si scambiavano. Un successo a due posti, raggiunto nel tempo e con un lavoro assiduo svolto in regime di partnership.
Giorgio V, che in punto di morte aveva ammesso la propria stima per il figlio Bertie, avrebbe avuto motivo di compiacersene e - perché no? - di recitare il nunc dimittis.
NOTE
1. The King’s Speech, (Il discorso del re), regia di Tom Hooper, con Colin Firth, Geoffry Rush, Helena Bonham Carter, Guy Pearce; prod. UK/Australia/USA 2010, sceneggiatura di David Seidler, durata 114 min, disponibile in DVD video (T). Il secondo dvd contiene diverse interviste (sottotitolate in lingua originale), in cui attori, regista, sceneggiatore ed altri ancora raccontano sia la vicenda storica di Giorgio VI che il clima di grande collaborazione ed entusiasmo in cui il film è stato realizzato.
2. http://www.youtube.com/watch?v=aHTZWMr0xn8.
3. Sarah Bradford. The Reluctant King: The Life and Reign of George VI, 1895-1952.
4. Su YouTube si trova, ad esempio, la registrazione audio del discorso del 3 settembre 1939, col quale Giorgio VI annuncia l’entrata in guerra della Gran Bretagna due giorni dopo l’invasione nazista della Polonia: http://www.youtube.com/watch?v=opkMyKGx7TQ. E’il discorso del re evocato dal titolo del film. Anche il ricordo che ne traccia Arrigo Levi sul Corriere della Sera (2 giugno 2012), in occasione del Giubileo di diamante di Elisabetta II, è commovente: «Soltanto l’Inghilterra di Giorgio VI e di Winston Churchill non si era piegata, e ci aveva salvati tutti.»
5. Cfr. anche il libro di Mark Logue e Peter Conradi Il discorso del re. Come un uomo salvò la monarchia britannica, Ed. Tecniche Nuove, 2011.
6. Una nota personale: ho vivo in me il ricordo del maestro che, alle elementari, ci spiegava il plurale maiestatis: gli brillavano gli occhi, e ciò accresceva in noi la sorpresa per quella bizzarra invenzione linguistica, che oltretutto andava in un senso contrario alle regole grammaticali che lo stesso maestro ci insegnava! Pensavo: perché solo il Papa o il Re dicono noi, e perché lo fanno solo nei discorsi ufficiali?
7. Ho consultato più di un dizionario, niente da fare: la parola agorafilìa non figura, o tutt’al più compare come sinonimo di esibizionismo, tendenza o impulso incontrollato a compiere atti sessuali in luoghi pubblici. Niente di più sbagliato.
8. Il film inizia con il discorso tenuto allo stadio di Wembley di Londra nel 1925 in occasione della chiusura dell'Empire Exhibition.