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Il cerchio di gesso del Caucaso

Fonte:
CulturaCattolica.it
Da luglio a settembre 2012 Father & Son si occupa di un medesimo tema, imperniato sul rapporto tra il generare e il diritto. E’ il tema, attualissimo e moderno, della domanda che Gesù rivolge ai suoi: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?» (Mc 3; 33). Sembra che Gesù proponesse un’idea del tutto nuova dei rapporti familiari. La riflessione può proseguire; a mio avviso l’opera teatrale di Brecht che oggi prendo in esame è pertinente.

Il Cerchio di gesso del Caucaso di B. Brecht (1) narra di un bambino di nobile nascita, abbandonato dalla madre all’indomani di una rivoluzione e raccolto da una serva, Gruša, che lo alleva superando prove, sacrifici e rischi.
Diversi anni dopo, la donna che l’ha partorito ritorna e pretende che il figlio le venga reso. Il caso viene sottoposto ad un giudice. Costui è un personaggio alquanto singolare: corrotto, alcolizzato, indegno della funzione che ricopre, egli si fa beffe degli avvocati e, accorgendosi che non ne viene a capo, procede con un insolito test: fa disegnare a terra un cerchio con un gesso, e ordina che il bambino vi sia posto nel mezzo. Ordina alla ricorrente e all’imputata di tirare ciascuna un braccio del piccolo: «la vera madre avrà la forza di tirare il bambino fuori dal cerchio, verso di sé». Ma Gruša non tira, anzi non fa una mossa. Non solo: ella si prostra davanti al giudice, chiede perdono e propone una soluzione compromissoria: «Se potessi tenerlo finché sappia dire tutte le parole! Adesso ne sa solo qualcuna». Non male, per una plebea. Il giudice non perde l’occasione per redarguirla: «Scommetto che tu non ne sai più di venti». E, sordo alla sua supplica, fa ripetere la prova. Ma anche questa volta la donna lascia andare il bambino: «L’ho allevato! Devo farlo a pezzi? Non posso!». Al che il giudice conclude: «E in tal modo questa Corte ha chiarito qual è la vera madre (corsivo mio)». Affida senza esitazioni il bambino a Gruša, spingendola a lasciare la città nel timore che possa subire ritorsioni, e ordina anche all’altra di andarsene, prima che egli la condanni «per frode». I beni di cui il bambino è titolare diverranno demanio civico per farne parchi per l’infanzia. Infine il giudice, dopo aver beffeggiato una coppia di anziani che si erano rivolti a lui per ottenere il divorzio, li invita al ballo in suo onore e si allontana, togliendosi la toga per non indossarla mai più, soddisfatto per il lavoro appena svolto.
Chi stabilisce chi sono i genitori? La natura o il diritto? Che cosa ci vuole per essere genitori? Osservo che nel corso del ‘900 la psicologia ha trasformato il quesito in: che cosa ci vuole per essere buoni genitori? Non so che cosa risponderebbe Brecht, ma questo testo contiene una lezione inattesa: quel giudice, infatti, ben aldilà delle apparenze, rappresenta in modo efficace il funzionamento stesso del diritto: «Questa Corte ha esaminato il vostro caso e non è riuscita a stabilire con certezza quale sia la vera madre di questo bambino». Ed ecco che, nella frase successiva, il giudice «si smarca» dalla biologia dichiarando: «Nella mia veste di giudice, sono obbligato a trovare una madre per lui (corsivi miei)».
Egli procede sanzionando gli atti delle due donne: vera madre è colei la cui condotta permette e favorisce il bene del bambino: nel caso in esame, la sopravvivenza stessa. Il resto non conta. Nel lessico dei nostri giorni si può dire che istituti giuridici quali potestà, responsabilità e capacità genitoriali vi sono in un certo senso ricompresi o riassunti, senza ulteriori specificazioni.
Il giudizio processuale emesso sulla base dell’osservazione della realtà fattuale è del tutto rispettoso della realtà psichica del minore, il cui pensiero potrebbe essere espresso all’incirca così: «madre è colei che mi ha trattato agendo in mio favore». (2) Nella salute, infatti, il giudizio riguarda la condotta - altrui e propria - non le viscere o l’interiorità. Il concetto di imputabilità è centrale sia per la scienza giuridica che per la scienza psicopatologica. E il finale del Cerchio di gesso mostra molto bene un caso di imputazione premiale.
Attualità: l’opera brechtiana e l’episodio di Salomone commentato la volta scorsa rappresentano il conflitto tra due sedicenti madri. Ma oggi il caso incontrato più frequentemente nelle aule dei tribunali è quello - forse più grave - del figlio conteso tra un uomo e una donna, cioè i genitori divenuti ex-coniugi via separazione e divorzio. Tali procedimenti, sempre più numerosi e complessi, comportano anni di carte, in un certo senso non meno pesanti di quelli di piombo. Nonostante enormi investimenti di pensieri, affetti e risorse economiche da parte dei contendenti, quasi mai tali cause approdano a soluzioni realmente soddisfacenti per entrambe le parti.
Un articolo riguardante il mobbing genitoriale riporta un episodio molto istruttivo di cui l’Autore è stato testimone: «Un genitore che si era visto negare, come invece suggerito dalla c.t.u. (3) espletata, l’affidamento del minore, e, in sentenza, aveva per di più visti ridotti i giorni di frequentazione, in totale e attivo contrasto con le richieste del consulente, aveva interpellato irritualmente il magistrato che aveva deciso il disposto in questione e che aveva poi accettato il breve colloquio. Il magistrato in questione, però, dopo aver risposto a una o due delle domande postegli da quel genitore, si era irritato, allorché questi gli aveva chiesto come poteva spiegare al figlio che, dopo quella sentenza, doveva vedere di meno quel genitore: «Gli dica che deve vederlo di meno perché il Presidente XY [sé stesso, ndr] è uno s***! Gli dica che è per questo, perché il dott. XY è un grande s***!»: aveva risposto urlando il magistrato, interrompendo il colloquio.»
A mio modo di vedere quel magistrato, sia pure in modo un po’ rude, ha saputo rappresentare bene il punto terminale del conflitto, ovvero la funzione che l’ordinamento giuridico svolge attraverso la sentenza e il suo dispositivo. Egli ha agito come il giudice nell’opera di Brecht.

NOTE
1. L’opera, rappresentata per la prima volta nel 1948, prende spunto dal precedente lavoro Der Kreidekreis (1925) di un altro scrittore tedesco (Klabund, pseudonimo di Alfred Henschke), il cui tema centrale è a sua volta una riedizione del Cerchio di gesso di certo Li Hsing Tao, autore cinese del XIII secolo. Le citazioni sono tratte da: B. Brecht, Il cerchio di gesso del Caucaso, Einaudi, Torino, 1963.
2. Cfr. G.B. Contri, op. cit. In particolare, segnalo l’illustrazione del concetto di legge di moto (la pulsione freudiana): «Allattandomi, mia madre mi ha eccitato al bisogno di venire soddisfatto per mezzo di un altro», pag. 24n.
3. C.t.u., o consulenza tecnica d’ufficio: è la perizia nei procedimenti civili.
4. Cfr. G. Giordano, Verso uno studio delle "transazioni mobbizanti": il mobbing genitoriale e la sua classificazione, consultabile in: www.psichomedia.it. Il brano citato è preceduto dalle righe seguenti: «A questo punto, il vero problema è constatare come la nostra cultura tende a gestire la conflittualità in genere e quella genitoriale in particolare attraverso un sistema fondato sulla conflittualità.» Non condivido invece il breve commento dello stesso Giordano, secondo il quale l’episodio «indica come, a volte, la tensione di questi conflitti travolge anche coloro che dovrebbero gestirli al meglio».

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