"Il sergente nella neve": un inedito Nobel per la pace a Rigoni Stern?
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Una pagina straordinaria de Il sergente nella neve, a quasi sessanta anni dalla sua pubblicazione (1953), ci offre l’esempio di un sorprendente modo di operare, vòlto al beneficio proprio e altrui, sebbene in condizioni quasi disperate e inimmaginabili quali si verificarono, per l’appunto, durante la ritirata di Russia. (1)
Il protagonista, stremato dalla fame e dal freddo, dopo aver visto cadere i suoi commilitoni, incalzato dai russi che tentano di impedire la ritirata dell’esercito italiano (invasore), trova riparo in un’isba, una capanna abitata da contadini. Il sergente entra, determinato a trovare del cibo ma, una volta entrato, con il fucile in spalla, si accorge che, oltre ai civili, vi sono dei soldati russi, anch’essi armati. Stanno mangiando. Trascrivo la pagina. (2)
«Corro e busso alla porta di un’isba. Entro. Vi sono dei soldati russi, là. Dei prigionieri? No. Sono armati. Con la stella rossa sul berretto! Io ho in mano il fucile. Li guardo impietrito. Essi stanno mangiando attorno alla tavola. Prendono il cibo con il cucchiaio di legno da una zuppiera comune. E mi guardano con i cucchiai sospesi a mezz’aria. - Mnié klocetsia iestj, (3) - dico. Vi sono anche delle donne. Una prende un piatto, lo riempie di latte e miglio, con un mestolo, dalla zuppiera di tutti, e me lo porge. Io faccio un passo avanti, mi metto il fucile in spalla e mangio. Il tempo non esiste più. I soldati russi mi guardano. Le donne mi guardano. I bambini mi guardano. Nessuno fiata. C’è solo il rumore del mio cucchiaio nel piatto. E d’ogni mia boccata. - Spaziba, - dico quando ho finito. E la donna prende dalle mie mani il piatto vuoto. - Pasausta, (4) - mi risponde con semplicità. I soldati russi mi guardano uscire senza che vi siano mossi. Nel vano dell’ingresso vi sono delle arnie. La donna che mi ha dato la minestra è venuta con me per aprirmi la porta e io le chiedo a gesti di darmi un favo di miele per i miei compagni. La donna mi dà il favo e io esco. Così è successo questo fatto. Ora non lo trovo affatto strano, a pensarvi, ma naturale di quella naturalezza che una volta dev’esserci stata tra gli uomini. Dopo la prima sorpresa tutti i miei gesti furono naturali, non sentivo nessun timore, né alcun desiderio di difendermi o di offendere. Era una cosa molto semplice. Anche i russi erano come me, lo sentivo. In quell’isba si era creata tra me e i soldati russi, e le donne e i bambini un’armonia che non era un armistizio. Era qualcosa di molto più del rispetto che gli animali della foresta hanno l’uno per l’altro. Una volta tanto le circostanze avevano portato degli uomini a saper restare uomini. Chissà dove saranno quei soldati, quelle donne, quei bambini. Io spero che la guerra li abbia risparmiati tutti. Finché saremo vivi ci ricorderemo, tutti quanti eravamo, come ci siamo comportati. I bambini specialmente. Se questo è successo una volta potrà tornare a succedere. Potrà succedere, voglio dire, a innumerevoli altri uomini e diventare un costume, un modo di vivere». (5)
Rigoni Stern ne esce illeso. Non li rivedrà mai più. Che cosa è successo? Il pensiero di ciascuno dei presenti non ha sollevato obiezioni al suo atto di parola: «voglio mangiare». I nemici sono diventati per un momento, stranamente, quasi dei commensali. Le opposte ideologie, le deprivazioni, le ferite, i lutti reiterati e gli orrori, di cui tutti sono stati testimoni fino a quel momento, hanno perso la loro forza. Si può pensare che abbia vinto in tutti l’istinto di sopravvivenza. Tuttavia, rileggendo quella pagina, bisogna ammettere che in quelle condizioni il finale avrebbe potuto essere del tutto diverso, e ugualmente spiegabile. La disperazione e l’odio per il nemico avrebbero potuto sfociare, in modo altrettanto comprensibile, in un massacro. Un regista del calibro di Tarantino, per esempio, avrebbe saputo creare uno scenario pulp: non una fiction, ma una realtà fatta di sangue e cadaveri. Invece i protagonisti hanno fatto posto ad un atto semplicemente umano. Umano perché colto, ossia pensato come possibile. Nulla lo comandava e nulla lo impediva.
Su wikipedia ho letto che questo sarebbe «un libro privo di felicità». Tuttavia l’Autore, vissuto fino a 87 anni, è rimasto lucido e attivo fino alla morte, senza cedere alla tentazione del suicidio, che ha visto soccombere altri reduci, celebri e non. Spiace un po’ constatare che la sceneggiatura, pubblicata nel 2008 e firmata da Ermanno Olmi e dallo stesso Rigoni Stern, non riporti il passaggio centrale di quell’episodio: lo scambio verbale tra il sergente e la contadina russa. Gli sceneggiatori hanno sì aggiunto un breve commento - «ora mangiano tutti insieme come se fuori non ci fosse la guerra» (6) - ma hanno voluto avvolgere l’intera scena nel silenzio.
Quale bene più prezioso del cibo in quelle condizioni? Un’ovvia e quasi ragionevole avarizia avrebbe potuto guidare la condotta dei soldati russi che potevano, in quell’isba, vantare maggiori diritti sulla zuppiera dalla quale la donna aveva attinto. Ma così non è stato. Rigoni Stern mostra come, in condizioni estreme, o almeno tutt’altro che favorevoli, sia possibile l’atto del domandare: una facoltà individuale, in questo caso addirittura sovrana, che può ridisegnare tutte le mappe della coesistenza civile in ogni epoca e latitudine. (7)
Anche oggi possiamo imbatterci in una scena analoga a quella dell’isba. Penso alla presenza di extracomunitari o migranti che si fa sempre più massiccia nel nostro Paese: le strategie di controllo sono sempre più perdenti o risibili, nonostante l’ingente mobilitazione delle forze dell’ordine.
Se fosse ancora vivo, Rigoni Stern meriterebbe il Nobel per la pace: in quell’isba egli ha pensato e agito da erede: infatti ha saputo trattare i beni presenti in quell’isba (cibo e persone) come possibili fonti del proprio beneficio. (8) In questo modo ha arricchito se stesso, insieme a coloro che grazie a lui, inaspettatamente, per un momento, ma anche da quel momento, sono diventati suoi partners.
NOTE
1. Nella ritirata di Russia (1942-43) persero la vita molte decine di migliaia di soldati italiani. Mario Rigoni Stern (Asiago, 1° novembre 1921 - 16 giugno 2008), dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, fu fatto prigioniero dai tedeschi e deportato in un campo di concentramento nella Prussia Orientale. Ritornò a casa solo nel maggio 1945 attraversando a piedi le Alpi. Aveva frequentato le scuole fino alla terza avviamento al lavoro, per poi impiegarsi nella ditta di famiglia. Dopo la guerra e il successo editoriale raggiunto dalle sue opere (anzitutto Il sergente nella neve, che continua ad essere riproposto nelle scuole medie italiane ancora oggi), ha ricevuto due lauree honoris causa, in scienze forestali ed ambientali (Padova, 1998) e in scienze politiche (Genova, 2007), oltre a molti riconoscimenti ed onorificenze internazionali. E’ interessante l’intervista di Fabio Fazio a Rigoni Stern in Che tempo che fa (3-12-2006): http://www.youtube.com/watch?v=kltRxrxbrJI e http://www.youtube.com/watch?v=vyDPxx6O4Ag. Oppure quella di Carlo Mazzacurti e Carlo Paolini (1999): http://www.youtube.com/watch?v=Mw-10y2kAqQ
In un’intervista a cura di Giulio Milani (2002), leggiamo: «Perché a volte, vede, guardandosi intorno, si dice [che in] questo mondo economico dove tutto è virtuale, anche l’economia è virtuale… E allora a un certo punto diciamo: ci vorrebbe una grande crisi per ridimensionare questa cosa. Però, purtroppo, la grande crisi prende sempre di mezzo la povera gente… Ma piuttosto che una guerra, è meglio una grande crisi per stravolgere un po’ questo mondo, per metterlo sulla strada giusta, per far capire che non è più la borsa che deve governare». Forse non senza motivo qualcuno propose di nominarlo senatore a vita (2003).
2. M. Rigoni Stern, Il sergente nella neve. Ricordi della ritirata di Russia, Einaudi, 3^ ed.,2008.
3. «Voglio mangiare».
4. Spaziba: «Grazie». Pasausta: «Prego».
5. M. Rigoni Stern, op. cit., pag. 108. Corsivi miei.
6. E. Olmi, M. Rigoni Stern, Il sergente nella neve. La sceneggiatura, a cura di G.P. Brunetta, Einaudi, Torino 2008, scena 142, pp. 171-2. Il film, così caro ad entrambi, non fu mai realizzato per più motivi, bene illustrati nel saggio conclusivo a firma del curatore.
7. Parte del presente articolo rielabora un contributo di G.Pediconi, G.M. Genga, L. Flabbi (Invidia versus profitto. Altruismo o costituzione individuale del principio di beneficio) presentato al Simposio Internazionale «L’invidia al lavoro. Costi emotivi e costi economici dell’invidia nelle organizzazioni», Torino, settembre 2011.
8. Assumo la definizione elaborata da G. B. Contri intorno al concetto di erede: «L’agire di un soggetto secondo una legge che tratta un ambito, cioè un universo di rapporti, e i beni di esso, come fonte del suo beneficio, cioè secondo una legge di successione, è un agire da erede». Cfr. G. B. Contri, Il pensiero di natura. Dalla psicoanalisi al pensiero giuridico, Sic Edizioni, 3^ ed., 2006, pag. 134. Molto pertinenti anche i due articoli comparsi sul suo blog Think! (http://www.giacomocontri.it/index2.htm) il 19 e 20 aprile scorsi, in cui egli propone «il reale come il successo, il successo come l’accadere (…), e l’accadere come del tutto diverso dal divenire dei filosofi». «Mettere il reale dalla parte del successo, questo non era ancora stato fatto (…): allora, reale è il successo, reale è l’imputabilità, reale è la verità (…). Il reale non è neutro, né indifferente, e neppure ostile: solo la realtà è ostile. La guerra è realtà, la pace è reale (ne sappiamo pochissimo, anche in periodi prolungati di … pace)».