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Tra morte e resurrezione: tensione pasquale

Fonte:
CulturaCattolica.it
Per riflettere sul tema centrale del cristianesimo

Una nota laica sul lutto

«Si dice che è difficile credere alla resurrezione dei morti. Ma il difficile è pensare che [qualcuno cui si era legati] è morto.» [1]
Torno volentieri sulle parole che G.B. Contri scrisse all’indomani della scomparsa di J. Lacan, suo analista e maestro: esse dicono in maniera sorprendentemente facile che cosa è il lutto. Qui non rileva tanto chi fosse il defunto, quanto piuttosto quel che se ne può trarre circa il lavoro del lutto, espressione introdotta da Freud nel saggio intitolato, appunto, Lutto e melanconia. [2]
È difficile pensare che sia morto qualcuno che fino a poco prima era lì con noi, o anche solo raggiungibile. Potremmo dire che è difficile credere alla notizia della sua morte; ma ciò vale anche dopo che si è preso commiato dal defunto partecipando alle esequie, etc. Nei giorni del lutto prevale una specie di prepotente, legittimo estraniamento.
L’esattezza, e la bontà, dell’osservazione di Contri risiede tutta in quella distinzione tra pensare e credere: «Si dice che è difficile credere alla resurrezione dei morti. Ma il difficile è pensare che [il tale] è morto.»
Circa il pensare: allorché amiamo qualcuno, è difficilissimo pensare che non ci sia più.
Circa il credere, il primo significato che leggiamo nel Dizionario Battaglia è: «tener per vera una cosa, avere la persuasione che essa sia quale si presenta a noi, quale la apprendiamo dalle parole o dalle affermazioni altrui, o quale vorremmo che fosse.» (corsivo mio) [3]
Aiutiamoci chiamando in causa il pensiero del bambino. Un esempio: al funerale di un amico di famiglia, un bambino di quattro anni chiede ai genitori: “Chi l’ha ucciso?” Ecco un pensiero che, se da un lato ignora l’esistenza di malattie (cause naturali) che portano alla morte, dall’altra sa interrogare i suoi prossimi, alla ricerca di qualcuno cui imputare quella morte inaspettata. Avrebbe persino potuto chiedere all’adulto che gli era accanto di resuscitare la salma di quell’amico: sarebbe stato un atto ragionevole. Consideriamo l’invito evangelico “se non ritornerete come bambini…”: se volessimo prestare questa frase a Freud, ebreo laico e miscredente, il finale sarebbe: “…non guarirete mai.” La guarigione dalla patologia psichica è, infatti, un nuovo inizio.
Aggiungo un ricordo personale. Quando mi recai, diciottenne, nello studio di Contri, mentre lo ascoltavo, l’occhio mi cadde su un biglietto che egli stesso aveva scritto e appoggiato sul ripiano del suo elegante trumeau intarsiato. Lessi queste parole: «Mi sono votato alla sovversione del soggetto». Appresi in seguito che la frase era tratta dalla quarta di copertina degli Scritti di Lacan, dove fin dalla prima pubblicazione (1966), il direttore delle edizioni Seuil aveva definito la psicoanalisi «una riforma che è sovversione del soggetto».
Col tempo imparai che vi sono forme diverse del pensiero: ve n’è una per la quale è facile, o sufficiente, constatare la morte di chicchessia, nonché difficile credere in una generica e improponibile resurrezione; ma vi è un’altra forma con la quale, dopo avere fatto tutto un “giro” che ricapitola l’intera esperienza, il pensiero scopre che è difficile pensare alla morte di una persona amata e facile ammettere la possibilità della resurrezione, qualora si venga raggiunti da tale notizia. [4]

Di che cosa è morto Gesù?

Nel corso di una conversazione, Contri mi raccontò come avesse imparato a chiedersi di che cosa fosse morto Gesù in croce: fu grazie al suo professore di fisiologia, Rodolfo Margaria. «Io che sono anche un medico, per curiosità professionale mi sono chiesto di che cosa è morto [Gesù]. Il Prof. Margaria, laicista vecchia maniera, si divertiva come un pazzo se poteva dire le solite cose sulla Chiesa, Dio, i preti, etc. Uno dei suoi cavalli di battaglia era dimostrare, anche con i suoi grafici sulla funzione respiratoria, di che cosa era morto Gesù Cristo: boccia una studentessa perché le chiede di che cosa sia morto Gesù e la studentessa risponde che è morto di tetano. L’ha bocciata perché il tetano ha un tempo di incubazione di due settimane e quindi non avrebbe fatto a tempo a morire di tetano. Invece era morto di arresto cardiaco, causato da una crescente pericardite essudativa: il pericardio è un sacco inestensibile e a poco a poco si è riempito di questo liquido e ha bloccato il cuore.» [5]
Cercando in Google, non ho trovato chi si sia dedicato a porre una simile diagnosi: troverete solo qualche pagina sui chiodi e sulle corde che immobilizzavano le vittime in questo tremendo supplizio che anche Cicerone condannava e che i Romani usavano frequentemente per punire sadicamente schiavi e ribelli (in quegli anni, furono migliaia gli ebrei morti in croce). Ma nulla che riguardi specificatamente la causa della morte di Gesù. Ritengo si tratti di una rimozione di quanto era accaduto sul Golgota: l’esecuzione di una persona scomoda per i contemporanei di allora, una morte scomoda per i posteri.

Chi oggi augura Buona Pasqua?

Un’infermiera molto esperta, che lavora da anni presso l’RSA della comunità ebraica di Milano nonché al domicilio dei pazienti, assistendo e curando molti anziani, mi ha appena raccontato di avere ricevuto non uno, ma tre regali pasquali. Che c’è di strano? direte. Il dato curioso è la provenienza di questi omaggi: i donatori sono un ebreo, un induista e un ortodosso. La cosa non mi lascia indifferente.
Mentre scrivo, si avvicina la mezzanotte di Pasqua: una festività che, a differenza del Natale sempre luccicante e più o meno maniacale, non offre alcunché di osservabile. Certo, le strade di una città come Milano sono meno affollate, con l’eccezione delle enclave degli aperitivi in Corso Garibaldi o in zona Ticinese - soliti cocktail, solite mise perlopiù stravaganti e quel che è peggio soliti discorsi - ma nulla di diverso da quanto accade durante qualsiasi “ponte” legato ad altre festività.
Agli occhi della maggioranza, oggi si direbbe del mainstream, chi crede nella resurrezione di Gesù sembra davvero un alieno.

Il discorso sarebbe lungo: lo riprenderò in occasione dell’Ascensione.

Milano, 8-9 aprile 2023

NOTE

1 G. Contri, Il Sabato, 15 settembre 1981. La frase completa è: «Si dice che è difficile credere alla resurrezione dei morti. Ma il difficile è pensare che Lacan è morto. Lacan mi ha fatto compagnia: mi ha accompagnato per tredici anni. Anch’io.»
2 In Lutto e melanconia (OSF, vol. VIII, pagg.102-118), forse il più filosofico fra tutti i suoi saggi, Freud prende le mosse dall’accostare - per distinguerli - i due fenomeni che danno il titolo a quelle pagine: nel lutto vi è la perdita di un “oggetto d’amore”, come egli scrive (di solito, ma non sempre, una persona cara e scomparsa); nella melanconia, che pur si presenta in modo molto simile, non vi è invece alcuna perdita reale. Il lutto è un affetto fisiologico, per quanto dolorosissimo; la melanconia è invece patologica. Il lettore meno informato si sorprenderà nell’apprendere che al giorno d’oggi questa distinzione, facile e comprensibile, è praticamente scomparsa, per lasciare il campo a diagnosi affrettate e inutili di… depressione: e più non dimandare, prendendo a prestito le parole di Dante.
3 L’illusione «non è necessariamente falsa, cioè irrealizzabile o in contraddizione con la realtà»; sua caratteristica, infatti «è il suo derivare dai desideri umani.» (S. Freud, 1927, L’avvenire di un’illusione, OSF, vol. X, pag. 461)
4 A questo proposito, Grammatica dell’assenso (1870) di John Henry Newman (1801-1890), è un’opera straordinaria, che andrebbe riscoperta per il modo in cui vi sono trattati gli atti di pensiero, la competenza linguistica ed altro ancora, ben aldilà delle finalità che l’autore dichiara.
5 GBC, Think! 5 aprile 2003.

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