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Con lo sguardo al futuro

Autore:
S. E. Mons. Renato Corti
Fonte:
Centro Culturale Peguy, Novara
Pubblichiamo questo straordinario intervento di Mons. Renato Corti, Vescovo di Novara: "Nel ricordo di don Giussani a un anno dalla morte"

Centro Culturale Peguy

Novara, 26 febbraio 2006

Vorrei dire una parola su don Giussani ed esprimere due proposte concrete. Ma, come premessa, dico la mia gioia di partecipare a questo incontro che mette in primo piano la questione educativa. Essa è oggi estremamente rilevante, non nel senso che una volta l’educazione, in particolare degli adolescenti, non fosse cosa complessa; bensì nel senso che oggi siamo avvolti da un’atmosfera che “taglia le gambe” all’educazione. Riflettere sul “rischio di educare” è di enorme urgenza. Lo è per la Chiesa e lo è per la comunità civile. Lo è anzitutto per ogni famiglia, la quale non ha nessun compito maggiore di questo; nemmeno il lavoro, pure necessario e nobile, deve sopravanzare, nel pensiero dei papà e delle mamme, l’educazione dei figli.

L’urgenza che investe la responsabilità degli adulti viene alimentata in ciascuno di noi da un uomo come don Giussani. Egli ha scelto di incontrare gli uomini perché trascinato verso di loro da Gesù Cristo, “Verbo di Dio fatto uomo”. Lo ha fatto in ogni luogo e in ogni tempo con una passione avvertibile già nel suo sguardo e nelle sue parole che sembrano volere scavare continuamente nella roccia viva della realtà. Ha affrontato di petto i giovani a scuola, con le loro domande, le loro attese, le loro inerzie o ribellioni. Ha lasciato così emergere una grande capacità di guardare al futuro e, proprio con questa passione e tensione, ha affrontato la sfida delle nuove generazioni. Come qualcuno ha scritto nei giorni scorsi, egli ha intuito che i giovani si lasciano educare se motivati, se prevale l’esempio del “vieni e seguimi”, se credere diventa esperienza e storia. Con la sua testimonianza fervida ci stimola a guardare al futuro.
È importante fare memoria di un grande educatore. L’incontro che stiamo vivendo già mette in atto questa esigenza perché, accostandoci alla sua riflessione su “Il rischio di educare”, siamo spronati a fare nostro patrimonio personale e comunitario la scommessa che egli ha sempre affrontato con i giovani. Mi chiedo quale sia la maniera migliore di frequentare questa “scuola”. La risposta mi sembra evidente: conoscerlo con qualche profondità, cogliere la sua intuizione nel momento in cui è nata, osservare ciò che ha fatto da fondamento a tutto il suo agire, esaminare le iniziative che hanno dato volto al suo progetto, considerare, insieme con i contenuti della sua proposta, la metodologia gradualmente elaborata, messa alla prova, mantenuta ferma e flessibile nel medesimo tempo.
Insieme con don Giussani, altri cristiani - uomini e donne - sono illuminanti e trascinanti testimoni. Conoscerli e amarli, ci evita lamentazioni inutili e che non servono a nulla; ci dona coraggio, passione, luminosità, bellezza. Chi sta in loro compagnia ne assimila il coraggio e l’unità interiore, la gioia e la perseveranza. E così, in qualche misura, anche noi diventiamo eloquenti nelle parole e nelle opere. In tal modo, attraverso di noi, come attraverso Giovanni Battista o l’apostolo Filippo, Gesù Cristo sarà incontrato, amato, seguito, sperimentando insieme con noi, il centuplo in questa vita, anche con le persecuzioni, e la vita eterna.

A questo ricordo di don Giussani aggiungo due proposte. La prima, già emersa da quanto ho ascoltato in riferimento agli adulti, e in particolare ai genitori, mi è suggerita da un grande educatore che don Giussani conosceva e amava: Romano Guardini. Egli invita gli educatori a non sentirsi mai arrivati e a vivere dentro di sé il travaglio educativo. Con una parola evangelica, potremmo chiamare questa esperienza la necessità di una continua conversione; o, insieme con Agostino, dire che il “quaerere Deum” è sempre reale anche quando abbiamo trovato Dio e siamo stati trovati da lui. Ha scritto Guardini: “Noi non possiamo mai considerarci ‘a posto’, ma cresciamo e diveniamo educatori continuamente. Io stesso lotto per essere educato. Questa lotta mi conferisce credibilità come educatore; per il fatto che lo sguardo medesimo che si volge all’altra persona è rivolto anche su di me. La più potente ‘forza dell’educazione’ consiste nel fatto che io stesso in prima persona mi protendo in avanti e mi affatico a crescere. Siamo credibili solo nella misura in cui ci rendiamo conto che un’identica verifica etica attende me, e colui che deve essere educato. Innanzitutto vogliamo entrambi essere ciò che dobbiamo essere” (citato in Anna Ascenzi, “Lo spirito dell’educazione”, pag. 137-138).
La seconda proposta è l’invito ad una alleanza educativa. Ciascun educatore ha la sua responsabilità e sarebbe un errore sottovalutarla. Tuttavia nessun educatore deve credere di essere autosufficiente. Tutti coloro che hanno una sensibilità educativa devono stringersi gli uni agli altri per rendere più vera e profonda la loro azione. In questo modo si tiene anche conto che già il bambino della Scuola Materna incontra altre persone rispetto ai familiari, e ha già un contatto con i mass-media. Più avanti la complessità delle relazioni aumenta sempre più. Perciò è bene affrontare l’impegno educativo compiendo la ricerca di luoghi, modi e tempi nei quali coltivare un’alleanza educativa molto ampia e, naturalmente, la più vera possibile. Nella difficile condizione culturale attuale, siamo sospinti dallo Spirito Santo ad aiutarci gli uni gli altri, pur nelle differenze di accentuazione e di sensibilità. Ciò vuol dire coltivare un reciproco sostegno fra tutti i soggetti che, in un modo o in un altro, hanno una concreta responsabilità: i genitori, gli insegnanti, gli educatori ecclesiali. Penso che anche a livello socio-politico la questione educativa dovrebbe stare in primo piano ed è compito, in particolare, dei cristiani essere portatori convinti di questa esigenza. È così infatti, e non in altro modo, che si ha cura del futuro della vita di un popolo. In questo contesto è da riconoscere particolarmente importante, dal punto di vista metodologico, non lasciare soli i ragazzi e offrire invece loro una vivace esperienza di comunità che veda presenti adulti significativi.

Il nostro incontro è iniziato con le note di Chopin. Darei a lui l’ultima parola. Abbiamo gustato il Preludio in re minore (“La goccia”): una melodia semplice che don Giussani ha imparato a casa sua - da suo papà - e poi lo Studio in do minore (“La Révolutionnaire”), scritto in un momento drammatico per la città di Varsavia. L’accordo di settima, più volte ripetuto all’inizio dello Studio, è come sospeso in attesa di una risoluzione; essa giunge con l’accordo finale in do maggiore. Quasi a dire, in questo modo, che la vita umana è drammatica, ma non finisce in tragedia. La nota fondamentale del Preludio in re minore è invece come una mano forte che regge la melodia. Sta quasi a dire che nella vita, anche quando vi sono incertezze e oscurità, può rimanere acceso un canto delicato che le difficoltà non bastano a spegnere. Noi cristiani non siamo esenti né da problemi, né da fatiche. Ma nel nostro cuore abita una speranza, radice di felicità. È il Signore Gesù Cristo la speranza e il fondamento sicuro della felicità.

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