Il «piccolo ateo» è soltanto «piccolo»
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Non è neppure una versione secolarizzata del monaco, dell’abbazia, dell’abate: non è solo questo. Tanto meno è una propensione signorile: mi sottraggo al problema della sussistenza e della risposta al tema della sussistenza, per potermi dedicare alla contemplazione. E’ invece precisamente né un passo indietro né un passo avanti, ma un passo a lato, per poter andare nel profondo: il passo a lato necessario nella torre a riprendere il cammino di scavare nella polvere.
(Fausto Bertinotti - Luglio 2005)
Nel rapporto madre-figlio, quando la madre si allontana, il figlio viene tranquillizzato con la parola “ritorno”. Con essa si promette che l’angoscia per l’assenza verrà risolta. Con essa si colma un’assenza con la determinazione di una presenza. Questo processo è fede. Il primo atto di fede è la fiducia nella persona che parla. Ogni essere umano deve dare un senso a ciò che vede accadere attorno a sé. Questo significato non è altro che una interpretazione. Quando si ascolta un maestro (cioè il soggetto a cui si riconosce autorevolezza) e si vuole seguire un ragionamento da lui proposto è necessario riporre nelle sue mani la propria fiducia. Questa è una spiegazione razionale del concetto di fede. Una spiegazione che può essere accolta da credenti e non credenti. In pratica una esegesi laica. Se io oggi volessi cercare una spiegazione scientifica e razionale dell’esistenza di Dio, ovviamente non riuscirei a trovare elementi che mi soddisferebbero completamente. Se volessi cercare elementi probatori, rimarrei deluso. Troverei molti indizi, ma anche i famosi RIS mi lascerebbero insoddisfatto. Razionalmente io potrei spiegare il concetto di trascendenza, rifacendomi al pensiero filosofico che individua il carattere di una realtà concepita come superiore. Una realtà “al di là” di un’altra. Spiegare però la scelta di una persona che sposa in toto questa realtà altra, non è scientificamente possibile. Sappiamo ormai, che l’uomo non è solo biologia e chimica, sappiamo che il materialismo ha svelato i suoi limiti e ragionevolmente dovremmo almeno porci qualche “perché”. Oggi, come potrei io privo della fede in Dio stringere una comunanza con un uomo che ha deciso di dedicare la propria vita al Signore? Come potrei considerare mio amico, compagno di battaglie una persona come Don Gabriele Mangiarotti che proprio sull’esistenza di Dio ha fondato la sua vita? Posso farlo solamente riconoscendo nella sua essenza di uomo, la ragionevolezza e la validità della sua impresa su questa terra, per la verità, la vita, e l’ascolto. E come potrei condividere il pane, un percorso di partecipazione e una battaglia comune con una donna come Maria Gloria Riva, che addirittura ha scelto la clausura e l’adorazione perpetua come scelta di vita? Posso farlo solamente riconoscendo nel suo cammino l’amore per la bellezza universale, il suo desiderio d’incontro e la sensibilità del suo sguardo. Ma in definitiva cos’è questa fiducia che io ripongo in loro? A che dimensione appartengono verità, vita, ascolto, bellezza, incontro e sensibilità? Al Cristianesimo. Al Cristianesimo come specificità culturale che appartiene a credenti e non credenti e dalla quale il nostro essere trae origine antropologica e identitaria. Il Cristianesimo è parte integrante della nostra storia, della nostra tradizione e della nostra cultura. Rinunciarvi equivale a produrre un’evirazione della nostra specificità di uomini. Alla luce di tutto questo come potremmo non considerare stupida, involutiva e bigotta la tentazione di taluni anticlericali di affondare il proprio pensiero nella negazione del Cristianesimo? Una discussione sull’esistenza di Dio può anche divenire viatico proficuo per la crescita individuale, alla condizione però che non sia affrontata alla stregua di una rappresentazione cabarettistica o peggio ancora giocata sul paradosso dell’irrazionalità. “Il piccolo ateo”, volumetto per bambini che sta girando in alcune scuole è proprio l’esempio di questa banalizzazione. Produce analfabetizzazione non coscienza. Essere atei è un fatto, la sua interpretazione ideologica è l’ateismo. In questa accezione s’inserisce “l’anti catechismo” per giovani, scritto da un appartenente all’UAAR. “Anti” in questo contesto significa “contro” e sottende una elaborazione che si pone in negazione. L’intento dell’estensore è chiaramente ideologico, non pedagogico e neppure critico. La critica, infatti, è un esame attento e ragionato con cui si analizzano fatti, circostanze, notizie e dottrine, per farsi un’idea personale del loro significato, della loro validità o verità. Un processo educativo serio pretende un’analisi seria della realtà. Ai bambini, destinatari del sopracitato testo invece si chiede di sposare una critica, avulsa dall’esperienza, amputata della tradizione e delle proprie origini. L’autore chiede “fiducia” nel suo “insegnamento” ma diversamente dal Cristianesimo, la sua pedagogia procede attraverso un pensiero “contro”, “anti”, in “contrapposizione”. “Il piccolo ateo” è un testo dal respiro davvero corto, concettualmente povero e sinceramente ininfluente. Va salvata, ad onor del vero, la verve cabarettistica. La pedagogia, la critica e l’educazione però sono altra cosa.