La scuola non è morta perché noi viviamo
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Caro Bobo,
“La scuola non è morta perché noi viviamo”.
Sono stufo di leggere “necrologi” della scuola, la mia esperienza quotidiana è DIVERSISSIMA! Come direbbe il don Gius. “E’ drammaticamente bella”.
Drammatica perché il vuoto che respirano attorno a loro le mie alunne rischia di inaridire il loro desiderio, la loro domanda. Bella perché non avendo più preconcetti ideologici di qualsiasi tipo sono disposte ad ascoltare e a seguire chi si dimostra appassionato alla propria e alla loro vita, alla propria e alla loro felicità. Allora ascoltano con stupore e meraviglia uno che parla loro di Dante, di Leopardi o di Rimbaud, cercando di mettere sempre in relazione le parole e l’esperienza umana di quei geni, con la loro esperienza umana, coi loro desideri, le contraddizioni, gli insuccessi, le domande.
L’altro giorno una mia alunna confessava in classe: “Prof mi sono fatta spesso la domanda: ma io qui sulla terra che ci sto a fare? Ma dato che quasi nessuno se la pone più e io non riesco a trovare una risposta, sono arrivata alla conclusione che non c’è risposta”. Altro che i giovani non hanno domande! Il problema è che raramente incontrano adulti che se le pongono e le mettano a tema in tutto quello che dicono, pronti a riporsele, a reimpararle, a riaffrontarle insieme con loro. Ma appena ciò accade, in classe si diffonde un clima di silenzio, di ascolto, di attenzione, che denota una curiosità e la voglia di affrontare le grandi questioni della vita.
Lo stesso accade per i rapporti affettivi: moltissimi giovani notano che sono vissuti in modo superficiale, insignificante, avendo come modello la trasmissione “Amici” di M. De Filippi, ma sono i primi a riconoscere che ciò li lascia profondamente insoddisfatti e sono molto interessati a scoprire il vero e profondo significato dell’esperienza amorosa. Per questo si appassionano tanto all’incontro e all’esperienza di Dante e Beatrice o al messaggio di Leopardi in “Aspasia” e “Alla sua donna”.
C’è in loro un desiderio di verità, di autenticità, anche se spesso dimenticato, o contraddetto. Vogliono capire perché li esalta tantissimo l’esperienza di dire alla persona amata: “Ti voglio bene per sempre, ti voglio bene infinitamente”, sfortunatamente incontrano spesso adulti che dicono loro che si tratta semplicemente di modi di dire, o peggio di sogni, di illusioni senza alcun fondamento reale, che non rivelano nulla di come è fatto il loro “cuore”. Ma appena incontrano qualcuno che vive le stesse cose e suggerisce loro che le suddette espressioni sono la manifestazione del desiderio infinito che alberga nel cuore di ogni uomo, lo ascoltano con interesse e spesso decidono di fidarsi e di seguirlo.
Negli ultimi anni ho conosciuto parecchie ragazze desiderose di scoprire se sia mai esistito o se esista qualcuno che prenda veramente sul serio il desiderio di felicità della loro vita.
Molte di loro mi hanno scritto delle mail, o dei temi in cui testimoniano la bellezza di questa scoperta e l’inizio di una ricerca, di un lavoro, di un cammino per non far cadere le domande che il rapporto in classe e le cose che ci diciamo suscitano.
Il problema è che queste esperienze nessuno le conosce e ai media sembrano non interessare, fa molta più “audience” parlare di bullismo, di filmini coi cellulari, di insulti ecc.
Questo mi fa ritenere che quando si parla di emergenza educativa, di battaglia per l’educazione, o non si sa che cosa voglia dire, oppure non ci si crede, gli scopi sono altri, ad esempio attirare il consenso dalla propria parte politica, fare uno scoop giornalistico, non interessa il bene dei ragazzi.
Scrivevo l’altro giorno a “Il Giornale”: possibile che ogni ministro della P.I. si trasformi in ministro della Pubblica Distruzione, nel senso che ogni ministro si limita a distruggere tutto quello che ha fatto il collega precedente? Possibile che, al di là delle differenze politiche ed ideologiche, non si trovi mai un accordo sulla riforma della scuola?
Purtroppo il dato evidente oggi è che lo Stato non ama i suoi figli, questo lo si vede non solo per quanto riguarda la scuola, ma anche in altri campi, penso ad esempio a come è gestito in Italia il problema dell’affido.
Tu dici su “Tempi”: “Facciamo uno “Scuola day” o quel che volete. Ma facciamo qualcosa”
Sono d’accordo. Cominciamo a far conoscere le centinaia di esperienze educative significative che ogni giorno si realizzano nelle scuole.
Chiediamo a questi insegnanti cosa ritengono più urgente perché la loro esperienza venga maggiormente valorizzata, facilitata, aiutata, quali riforme ritengono più necessarie. Perché io penso che se mai ci sarà una riforma della scuola, dovrà partire dalla valorizzazione delle suddette esperienze, non si può pensare una riforma a tavolino.
Se questa iniziativa non è possibile a livello statale, lottiamo per realizzarla a livello regionale, per esempio in Lombardia, non possiamo accettare passivamente i diktat del Ministro Fioroni (sic!) a proposito della proposta Formigoni sulla scuola. Lanciamo uno “Scuola day” a Milano in cui rendere pubbliche le esperienze educative più significative, ricominciamo a parlare di educazione, ma non a parole, ma con i fatti, con le esperienze. Potremmo anche proporre “un tavolo” regione-scuola per l’ascolto delle esperienze più significative e per mettere insieme le richieste più urgenti che nascono dal lavoro quotidiano. Lanciamo lo slogan:
“La scuola non è morta, perché noi viviamo”.
Spero di sentirti presto, ti saluto cordialmente, Franco Bruschi.