Lettera ad una alunna sulla felicità - 2
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Franco Bruschi, insegnante a Tradate
Queste sono le considerazioni che scrivevo agli amici un anno fa.
A distanza di un anno ho ripreso una mail in cui riflettevo sul dialogo avuto con una mia alunna.
Quello che mi ha spinto a farlo è prima di tutto la passione per il destino delle persone che mi sono affidate, ma in secondo luogo la convinzione che non è vero che i giovani non hanno domande, infatti non passa giorno che non emergano. Il problema è che normalmente nella scuola non trovano nessuno disposto a condividerle, appassionato alle domande e ai drammi dei ragazzi perchè non si riconosce che quelli altro non sono che le proprie domande e i propri drammi. Sembra incredibile, ma nella scuola di oggi non si parla quasi più dell’uomo, del suo “cuore”, dei suoi desideri, anche se non c’è disciplina, contenuto che non ne offra l’occasione, ecco perchè le lezioni diventano spesso una noia mortale e i ragazzi si chiedono: perchè mai dovrei studiare delle cose che non c’entrano con la mia vita?
Educare, insegnare, lo dico sempre, è il lavoro più bello del mondo, perchè risveglia, fa rinascere l’umanità di chi ti sta di fronte e quindi scuote, sfida anche la tua, non ti fa stare tranquillo, ti costringe ogni giorno ad offrire ragioni ed esperienze a riguardo di quello che vivi e proponi.
E’ per questo che sono sempre più deluso e arrabbiato ascoltando i dibattiti sulla scuola, perchè raramente centrano il problema, che pure è così semplice. La scuola è un rapporto fra un adulto che sulla base della propria esperienza, della propria storia ha delle ipotesi di significato della realtà da offrire a dei giovani che queste ipotesi desiderano conoscere per poter poi decidere se vale la pena verificarle. La scuola non è prima di tutto un problema di strutture, regole, materie ecc., la scuola è fatta dalle persone che in essa operano ed è su questa risorsa che bisogna investire, è dalla conoscenza, ascolto e valorizzazione delle risorse umane e delle esperienze che quotidianamente si vivono che occorre partire per qualsiasi riforma.
Invece si sente solo parlare di rinvii della riforma, di nuove regole o provvedimenti disciplinari.
Carissimi, volevo riprendere la mail scritta alla mia alunna.
Ti ricordi l’esperienza della tristezza di cui parlava la mia alunna Francesca?
Lei diceva: a me piace tantissimo andare a ballare in discoteca con gli amici e mi diverto tantissimo. Poi finita la festa gli amici mi accompagnano a casa, li saluto e salgo in camera mia. Quando mi metto sotto le coperte c’è qualche minuto prima di addormentarmi, in quei momenti mi sento insoddisfatta e triste, per fortuna arriva subito il sonno a farmi dimenticare quel brutto sentimento.
Chi di noi non ha vissuto questa esperienza? Vado a una festa, vado a ballare, mi diverto, ma dopo c’è questa strana tristezza.
Il punto qual è? Cosa imparo da questa esperienza di tristezza. Normalmente non imparo nulla, non ci penso e così dopo un po’ mi dimentico di quella tristezza e torno come prima.
Ma allora è stato inutile andare alla festa, andare a ballare, se non ho imparato nulla di me stesso, nulla di come è fatto il mio IO, il mio CUORE!
Se invece ci penso a quel che mi è successo, se cerco di capire, di giudicare quel che mi è successo, imparo qualcosa di importante di me
stesso: che il mio IO, il mio cuore è più grande della festa, del ballo!
Allora incomincio a capire perché sono triste: dipendo tutto dalla grandezza del mio IO, del mio cuore, del mio desiderio.
L’esperienza (l’essere andata alla festa, a ballare) serve a capire come sono fatta, serve a capire come è grande il mio desiderio (de-sidereus= mancanza di stelle).
Il primo problema non è la risposta a questo desiderio, ci aiuteremo poi a scoprirla, ma il prendere atto, il riconoscere come è fatto il mio cuore e che nulla e nessuno può rispondere.
Questo è importantissimo per non farmi ingannare, per non correre dietro come un’oca a tutte le cose che mi propongono e non mi possono rendere felice!
Un amico diceva: è come se uno mi desse un’aspirina per guarire un tumore!
No, io non ci sto perché so quanto è grande il mio bisogno. Dobbiamo diffidare da tutti i venditori, i mercanti di felicità.
Dobbiamo avere la semplicità di riconoscere quanto è grande il nostro cuore, di non bloccare l’ampiezza, la grandezza del nostro desiderio quando lo sentiamo vibrare dentro di noi (quando per esempio vogliamo bene a una
persona) e affidarci a chi ci dimostra di prendere sul serio, di non barare sulla questione decisiva della nostra felicità.
Ma la questione essenziale è prima di tutto imparare dalla nostra esperienza.
Ciao, Franco