Sfida al nichilismo
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Un anno dopo la morte di don Giussani. «È stato padre di molti», aveva detto l'allora cardinale Ratzinger nell'omelia dei funerali in Duomo, celebrati insieme all'arcivescovo Tettamanzi. Ma: «Non ci siamo sentiti orfani», scrive in una lettera alla Fraternità di Comunione e Liberazione don Julián Carrón, successore di Giussani alla guida del Movimento. Ripensi a quanta gente gremiva il Duomo quel giorno di un anno fa, e quanto commossa. Eppure, quell'affermazione quasi fiera: non siamo orfani, «un'eredità presente continua a sfidarci».
Oltre la morte - che spesso invece lascia solo meste commemorazioni. Dov'è per voi ora, don Carrón, la presenza di Giussani?
Lo stesso Ratzinger in quell'omelia aveva detto che Giussani non ha legato le persone a sé, ma a Cristo, e così ha legato i cuori. È questa presenza di Cristo che noi vediamo all'opera tra di noi in quest'anno, in un modo che ci stupisce: per la nostra unità, per l'intensità della vita fra noi, per ciò che continua a accadere. L'eredità di Giussani è viva, la sua presenza permane.
Lei si è detto grato a Giussani di averla resa consapevole di tutta la profondità del desiderio dell'uomo. È l'ampiezza di questo desiderio, ciò che dell'insegnamento di Giussani continua a attrarre i giovani?
Sì, perché i ragazzi hanno ancora vivo tutto il desiderio nel cuore. Questo richiede che si sia all'altezza di tale desiderio. È difficile, ormai, incontrare un adulto che a 40 anni non sia scettico. I ragazzi stanno a guardare, e quando vedono che una dopo l'altra tutte le loro aspettative di felicità non hanno compimento pensano che, forse, non c'è una risposta, e si rassegnano. Trovare una persona che vuole vivere con intensità per tutta la vita non lascia indifferente chi abbia a cuore la propria felicità: Giussani è stato questo.
Riprendendo un tema a lui caro, lei ha scritto recentemente che viviamo in una cultura che ha dimenticato il Mistero, e ha ridotto la realtà alla sua apparenza. In un nichilismo senza inquietudine. Come è possibile reagire?
Solo qualcosa di reale e presente, in grado di trascinare il cuore, può sfidare il nichilismo. La gente è sempre più apatica, perché mancano proposte che affascinino l'Io. Ma è solo quando il Mistero rivela il suo volto che l'uomo trova la chiarezza e l'energia per aderire. Abbiamo bisogno del Mistero presente, di una presenza viva di cui innamorarci. Ci vuole un'attrazione carnale, come quella del bambino per la madre. Niente di meno basta all'uomo.
E come è possibile innamorarsi di Cristo in questo modo?
Ci occorre la presenza di un altro uomo. Occorre che il Mistero sia diventato carne. Questo è il cristianesimo, come ha detto Benedetto XVI nella Deus caritas est: i concetti che erano astratti, in Cristo si sono fatti carne e sangue. Questo realismo inaudito, questo coinvolgimento con il Mistero è la sola possibilità di essere salvati. Nessuna riduzione del cristianesimo a spiritualismo o etica è in grado di ridestare gli uomini. Giussani ha ripetuto mille volte una frase di Giovanni Paolo II: «Noi crediamo in Cristo morto e risorto, presente qui e ora». Il "qui e ora" è la contemporaneità a ogni uomo. E, come afferma la Veritatis splendor, la contemporaneità di Cristo all'uomo si chiama Chiesa. Il suo Corpo è segno tangibile e storico, che porta nel grembo il Mistero.
Eppure, anche fra noi cristiani c'è spesso malinconia e quasi senso di sconfitta, come se la pienezza promessa sfuggisse sempre.
Proprio per questo ci occorrono degli uomini che testimonino questa pienezza per tutta la vita. Ci occorrono dei testimoni. Giovanni Paolo II lo è stato, Giussani fino alla fine ci ha mostrato che una pienezza di vita è possibile. Il cristianesimo è in grado di abbracciare tutto l'umano e portarlo a compimento, senza alcuna riduzione.
Non è il senso, quest'ultimo, della Deus caritas est?
Infatti: nell'enciclica il Papa dimo stra come l'esperienza cristiana viva dialoghi con Nietzsche, e affronti l'eros, senza togliere niente all'intensità del desiderio dell'uomo. Ma è accaduto in passato che il cristianesimo fosse ridotto a morale o a poco di più di un discorso corretto. Come disse Giovanni Paolo II: abbiamo cambiato lo stupore del Vangelo con delle regole. E dunque leggendo questa enciclica, che ci riporta alla novità dell'inizio, ci stupiamo. Così come stupiva l'inizio. È lo stupore del Vangelo. Davanti alla capacità di Cristo di rispondere agli uomini, di perdonare, alla sua tenerezza non era possibile non dire: non abbiamo mai incontrato un uomo come questo.
Il contributo del Movimento - lei scrive - è mostrare la ragionevolezza della fede. In che modo affrontate oggi questa sfida?
Occorre intervenire su questa atrofia spirituale, per cui in molti hanno dimenticato il loro desiderio ultimo di felicità. È l'apatia che spesso gli insegnanti vedono negli studenti, quasi non capissero più la ragione di studiare; è la fatica nei matrimoni e in famiglia. È l'ora di mostrare un cristianesimo non ridotto nella sua natura. Ma il problema è di metodo: bisogna presentare la proposta cristiana rendendo possibile la verifica della sua verità, e mostrando la ragionevolezza dell'adesione.
Dunque è una questione che riguarda l'educazione.
L'educazione è per noi certamente l'emergenza più drammatica. Stiamo riproponendo ovunque Il rischio educativo di Giussani. Occorre tornare a educare, contro quello che Augusto Del Noce chiamava nichilismo gaio, e che è l'assenza del «cor inquietum» di S.Agostino. Solo qualcosa di presente e di reale può ridestarci. Questa è la battaglia.
Il Papa recentemente ha accostato nichilismo e fondamentalismo, quali comuni minacce per l'uomo. Come guarda all'ondata di violenza anti-cristiana in alcuni Paesi islamici?
La prima cosa è non sottovalutare il pericolo di questa minaccia. In ogni caso, quanto sta accadendo è occasione per approfondire la coscienza della nostra identità, nella consapevolezza che questo è l'unico modo per vivere la testimonianza cristiana, come ha ricordato il Papa dopo la morte di don Santoro: «Il Signore faccia sì che il sacrificio della sua vita contribuisca alla causa del dialogo fra le religioni e della pace tra i popoli». Questo non toglie che si facciano tutti gli sforzi per evitare il dilagare della violenza, e che si debba essere attenti alla tutela della libertà religiosa da parte delle autorità dei singoli Paesi e delle istituzioni internazionali.
Come guarda all'Italia nell'imminenza delle prossime elezioni?
Rispetto alla crisi profonda di cui ho detto, non ci aspettiamo dalla politica la risposta, ma speriamo in una politica che dia spazio a quei soggetti sociali che possano offrire un contributo nell'affrontare questo disagio. Una politica che non sia statalismo, che non tagli le gambe all'iniziativa della società.
Non teme che l'Italia possa affrontare un'offensiva laicista come quella della Spagna, il suo Paese?
Zapatero in Spagna ha incontrato poche resistenze. In Italia c'è una maggiore tenuta del corpo intermedio della società. Certo, se non si affronta l'emergenza educativa, il rischio c'è. C'è una spinta forte nella cultura dominante in Italia, ed è la pretesa di assoluta autonomia dell'uomo, come si è visto nel referendum sulla legge 40. In questo senso la sfida del Movimento è seguire la eredità che ci ha lasciato Giussani: educarci a sentirci figli, e dunque a convertirci continuamente. Che è anche il solo modo per non invecchiare.