Allergia ai numeri e... non solo
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Sì. Credo proprio di soffrire di una grave, incurabile forma di allergia. Allergia ai grafici, ai sondaggi, alle tabelle, alle rilevazioni statistiche. Neutralizzano l’individuo, gli tolgono la cosa più preziosa che lo contraddistingue: l’umanità, e lo fanno diventare numero. I numeri, si sa, non parlano, e dunque possono essere usati per supportare le teorie più disparate. Non si ribelleranno.
E’ capitato anche questa volta.
L’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) ha divulgato un rapporto dal quale emergerebbe che le bocciature costituiscono un danno economico per i paesi in cui avvengono, e un danno formativo per gli studenti che le subiscono.
E così, in questi giorni, sui quotidiani, gli studenti sono diventati numeri, e molti “esperti” (Ocse, ma non solo), come in un déjà vu hanno dato il peggio illustrando una sfilza di teorie (peraltro già sperimentate e dai risultati che ahimè conosciamo) a sostegno della presunta bontà di una promozione “politica” di massa, senza se e senza ma.
Caso patologico complicatissimo, il mio. Ebbene sì. Soffro di un’altra grave, incurabile, forma di allergia. Allergia agli “esperti”, che, quando parlano di scuola, sempre più spesso danno l’idea di essersi persi nei corridoi (degli istituti scolastici e/o della loro mente) e di non aver mai varcato la soglia di un’aula con della gente che vi si reca nove mesi l’anno, vuoi per imparare, vuoi ad insegnare.
Sì, perché chi “esperto” non oserebbe mai definirsi, ma è stato (ed è) nelle classi e quotidianamente si rapporta a studenti in carne ed ossa, e non ha ancora dimenticato quanto sia importante saperli guardare “ad uno ad uno”, scende dal piedistallo delle teorie, distoglie lo sguardo dai grafici, umilmente accosta l’orecchio alla realtà, e così sente dalla bocca di quelli bravi che cosa desiderano e sente, dal racconto di chi fa fatica, che difficoltà sta incontrando.
E’ complesso, complessissimo, il mondo della scuola. Forse oggi più di sempre (o forse anche no…). Ma una cosa resta certa. Bando alle statistiche e ai “rapporti”, i ragazzi, magari a volte maldestramente, chiedono “promozione umana”, prima ancora che la promozione all’anno successivo. E cioè adulti autorevoli, che sappiano far emergere i desideri e le domande del loro cuore; capaci di prenderli per mano e di introdurli alla vita.
I “bravi”: quelli che frequentano con regolarità, che si impegnano, che hanno scelto consapevolmente “la tal scuola” e sono motivati, checché se ne dica vogliono solo due cose. Imparare (la prima) e che sia riconosciuto loro il merito (la seconda). Detestano l’idea del tritacarne delle statistiche e non tollerano il livellamento, l’appiattimento al ribasso.
C’è un grande senso di giustizia, nelle classi! Chi ha a cuore l’educazione, oltre che l’istruzione, sa quanto sia importante rispettarlo, orientarlo, coltivarlo.
Credo che tanti “esperti” che in questi giorni sproloquiano sui giornali difendendo il “sei politico” non abbiano mai osservato i ragazzi davanti ai tabelloni, al termine dell’anno scolastico. Farebbero bene a guardare i loro volti e ad ascoltare i loro commenti, prima di esprimersi “a prescindere”.
Andrebbe ascoltato seriamente, pazientemente, anche chi ha difficoltà, perché è vero che chiede alla scuola corsi di recupero o insegnanti di sostegno. Ma ha soprattutto bisogno di capire, con onestà e franchezza, se quella che frequenta è la scuola per lui e cioè l’indirizzo che sappia davvero valorizzare i talenti che ha, o piuttosto una scuola destinata a fargli vivere frustrazione e senso di inadeguatezza dal primo all’ultimo giorno, fino al diploma “d’ufficio” con… pedata finale nel mare magnum di un mondo in cui presumibilmente sarà destinato ad annaspare.
Non è promuovendo all’anno successivo sempre e comunque questi studenti che magari hanno sbagliato strada, che si farà il loro bene. Li si depista. Gli si dà l’illusione di “essere fatti per” quel percorso, quel lavoro, quel posto nel mondo, quando, orientati da persone che hanno davvero a cuore il loro destino, potrebbero dare il meglio di sé, gratificati, in un contesto diverso.
Chi ha difficoltà certamente va supportato, ma, in un rapporto di collaborazione e non di competitività tra scuola e famiglia, va educato ad una giusta autostima e, accompagnato, gli si può e gli si deve chiedere tutto ciò che può dare. Nulla di meno. La vita non fa sconti e compito di chi educa resta innanzitutto quello di preparare i giovani alla vita.
I ragazzi veri (che quasi mai corrispondono al ritratto virtuale che esce dalle statistiche), chiedono adulti appassionati, capaci di testimoniare che la fatica e l’impegno hanno un senso e pagano. E’ questo, credo, uno degli obiettivi più importanti che dovrebbe perseguire la scuola oggi, in un mondo in cui (le “raccomandazioni” dell’ Ocse tristemente lo confermano!) impera l’idea del “massimo risultato, minimo sforzo”.
Non è così mai, se non nei reality, nelle fiction, nel mondo virtuale.
Lo sanno bene, i ragazzi! L’hanno imparato dallo sport che praticano. O dalla musica che suonano, tanto per citare due realtà con cui si confrontano quotidianamente. Possibile immaginare come strada perseguibile che la scuola – proprio la scuola! – diventi “cattiva maestra” e racconti bugie, azzerando l’evidenza del fatto (e della vita) che solo se ti alleni seriamente in uno sport, e sudi, otterrai risultati, altrimenti no? O che, senza esercitarti con tenacia e con costanza, quella sonata di pianoforte, o il brano della tua band preferita non imparerai mai a suonarli?
Sono scaltri, i ragazzi. Se solo fiutano che l’idea degli “esperti” (Ocse ma non solo) potrà diventare realtà, garantito che il passaparola sarà più veloce della luce. Tutti promossi? E chi me lo fa fare, allora, di stare ore ed ore sui libri?
Sono scaltri, i ragazzi. Ma è la scaltrezza immatura di chi ancora non ha imparato cosa significa volere davvero bene alla propria vita. E’ la scaltrezza del mondo, quella che conoscono e che imiteranno: quella insegnata dalla tivù, dai video games e dagli adulti “furbetti”.
Ecco, appunto. Gli “adulti”. Se gli adulti sono questi, e cioè gli “esperti” che a tavolino, giocando con i numeri, valutano “costi e benefici” (in termini economici, più che in termini di crescita personale) e dicono che strategicamente la bocciatura non “conviene”, perché “costa”allo Stato e può essere un tantinello dolorosa per il pargolo, a chi devono guardare i giovani, per diventare uomini (e donne)?
L’emergenza educativa c’è, eccome, e riguarda, in primo luogo, gli adulti.
Forse si occuperà di questo il prossimo “rapporto Ocse”. Forse…