«Ci hai insegnato a vivere un’ora di bellezza»
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«Ci hai insegnato a vivere un’ora di bellezza» mi hanno scritto gli alunni di una classe quando hanno saputo che l’anno successivo mi sarei trasferito da Monza a San Marino. Ricordavano così quello che avevo loro raccontato dopo uno straordinario incontro con una suora libanese che, in quel periodo così drammatico per la storia del suo paese, aveva dato inizio all’«ora della bellezza» con i suoi alunni, certa che questa esperienza avrebbe segnato per sempre, in modo positivo, le loro esistenze. Mi sono ricordato questi due episodi leggendo il testo del Papa sulla «via pulchritudinis» come strada per conoscere ed amare il Signore.
Vi trascrivo alcune delle parole di Suor Maria di Nazareth del Carmelo Saint-Joseph - Beirut Ovest, pronunciate al Meeting di Rimini qualche anno fa: sono ancora di una attualità sconvolgente. E come sarebbe bello se indicassero una via per le nostre scuole di oggi, qui in Italia! A me comunque pare che alcune delle esperienze di educazione riportate nel sito (Franco Bruschi, Luisella Saro, Matteo Lusso, Claudio Mereghetti…) siano già una bella esemplificazione di questa novità in atto.
«Se qualcuno ci dice: “Quando vi vediamo così pacifiche questo ci dà coraggio per vivere”, per noi è un gioia. Un esempio di animazione è quello che noi chiamiamo “L’ora della bellezza”. È una cosa molto semplice: si presenta agli allievi un’opera bella, di un poeta, di un musicista, o di un pittore. Si inizia a guardare quest’opera o ad ascoltare. San Paolo ha detto: “Quello che uno vede deriva da quello che non è apparente”. Noi cerchiamo di vedere quello che non è apparente, che non è visibile. In secondo luogo condividiamo quello che si è amato: ognuno confida, racconta agli altri quello che ha amato (non è un tempo di dibattito, di discussione, ma è un tempo di condivisione). In terzo luogo, facciamo silenzio e osiamo entrare al nostro interno per poter incontrare Colui che è presente sia nei musulmani che nei cristiani, ed è un momento enorme di unione fra di noi. Mi è stato spesso chiesto se speriamo di ricostruire il Libano attraverso questa “ora della bellezza”. Non è una cosa che abbia tanto peso, tuttavia nella misura in cui impariamo e insegniamo alle persone a meravigliarsi, a stupirsi, diamo loro la chiave della conoscenza profonda e reale. Un padre della Chiesa dice: “I concetti creano degli idoli, solo lo stupore può veramente permetterci di cogliere e fare nostro qualcosa”. La quarta cosa che cerchiamo di fare è la formazione dei cristiani. Ne abbiamo centocinquanta e vorrei leggervi, per cominciare, due preghiere fatte da dei cristiani. Sono delle preghiere scritte quest’anno e prima della maturità francese. La prima è stata composta da una ragazza armena di diciotto anni che si chiama Tania (vorrei attirare la vostra attenzione sulle parole che usa): “Sappiamo Signore che solo tu, attraverso la tua volontà, sei l’artigiano della novità, sappiamo che tu solo potrai far sì che noi siamo decisi a strapparci alla morte, all’illusione, alla ripetizione per lanciarci nell’avventura, l’avventura del vivere, l’avventura del fare di noi degli uomini, delle donne, decisi, risoluti a non scegliere altro che la vita, perché noi sappiamo che tu solo sei realmente senza esitazioni, come lo hai dimostrato sia ai tuoi giudici che pensavano di poterti condannare sia ai discepoli che pensavano di poterti salvare”. La preghiera che segue è stata composta da un’ortodossa che si chiama Angela (13 anni): “Tu uomo se nasci, se sei marchiato dal sigillo della terra, se non ricevi niente, se non sai niente, se dimentichi tutti, se sei cacciatore d’uomini, se sei ricco, sei povero, se sei padrone, se sei schiavo, se sei umiliato, disprezzato, solo, respinto, se sei amato, rispettato, sappi che il mondo è tuo, sappi che lassù, dov’è l’inizio e dov’è la fine, là vi è qualcuno che ti ama, che ti ammira, che si rallegra in te. Sappilo uomo. Se impari questo, eccoti rinnovato, nuovo, ricco, povero, felice, vero, libero. Signore, ascolta le mie grida, fammi conoscere la speranza. Vi è qualcuno che ti ama, che ti ammira, che si rallegra in te. Se sai questo, eccoti libero”. Sono risposte di questo genere che permettono a noi libanesi, di restare dignitosi, liberi, veri e pieni di speranza. L’altra scoperta che facciamo è che la violenza, la dominazione non è nel nostro vicino, ma è nel nostro cuore, la violenza inizia in noi, in me. Incomincia tutto da me. In Libano si è accusati di essere fratello o sorella dei peccatori, essere assieme significa essere peccatori tra i peccatori. Santa Teresa del Bambin Gesù, una vera carmelitana, dice: “Mi sono seduta al tavolo dei peccatori”. Quindi, a maggior ragione, noi che non siamo sante. Nasce nel nostro cuore un grande desiderio di dolcezza, siamo consce che la violenza distrugge la storia, qualsiasi violenza, qualunque maldicenza, qualsiasi aggressività e l’unico lavoro importante è imparare ad avere le mani vuote dinanzi al Signore ed allora il nostro cuore diviene come un albergo, un rifugio sul quale lo spirito santo può scendere. È lui il maestro d’opera di tutta la storia che scende sull’altare, ma non lo fa senza di noi, lo fa nella misura in cui noi acconsentiamo ad essere poveri.» [Ecco il testo integrale]